Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 32512 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 32512 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/12/2024
paziente/aggressione verbale al primario) e del 19.2.2020 (allontanamento dalla sala operatoria) la contestazione era tardiva perché, trattandosi di atto recettizio, ai fini del computo dei termini
ciò che contava era il giorno in cui il destinatario aveva ricevuto la notifica (11.6.2020) e non quello in cui l’atto era stato formato (8.6.2020);
oltre a ciò, la contestazione andava considerata tardiva, in quanto l’efficacia della sospensione del termine per effetto della normativa emergenziale Covid decorreva dal 17.3.2020, data della pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale del d.l. n. 18 del 2020 e non dall’antecedente 19 febbraio;
la Corte d’Appello, nonostante l’eccezione di tardività, aveva considerato legittima la sanzione sostenendo che essa fosse proporzionata anche solo per il comportamento del 19.2.2020, rispetto al quale la contestazione era ritenuta da essa comunque tempestiva, con ciò indebitamente sostituendosi al datore di lavoro, in quanto il giudice di merito non ha in realtà il potere di rideterminare la sanzione, né di ritenerla congrua o meno se riferita ad una violazione anziché a tre;
2.
la questione sul mancato rispetto dei termini è infondata;
in proposito va in effetti rilevato che, secondo l’art. 103, co. 5 del d.l. n. 18/2020, conv. con mod. in l. n. 27 del 2020, « i termini dei procedimenti disciplinari del personale delle amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ivi inclusi quelli del personale di cui all’articolo 3, del medesimo decreto legislativo, pendenti alla data del 23 febbraio 2020 o iniziati successivamente a tale data, sono sospesi fino alla data del 15 aprile 2020 », poi prorogato al 15 maggio dall’art. 37, co. 1, del d.l. n. 23 del 2020, infine convertito, nel proprio testo in parte qua immodificato, dalla l. n. 40 del 2020 a definitivo suggello della protrazione fino a quella data della sospensione;
2.1
il tema che si pone è quello della decorrenza di tale sospensione, potendosi sostenere che essa operi a far data dall’entrata in vigore
del d.l. n. 18 cit. (17.3.2020), seppure con riferimento ai procedimenti già pendenti al 20 febbraio o iniziati successivamente;
una tale interpretazione è indubbiamente coerente con il piano testuale, nel senso che « iniziati » dopo il 23.2.2020 possono essere solo i procedimenti disciplinari e non i loro termini per i quali si dovrebbe semmai parlare di inizio della ‘decorrenza’;
sennonché, in tal modo, il richiamo alla data del 23.2.2020 sarebbe sostanzialmente inutile, perché, se alla data di entrata in vigore del d.l. n. 18 cit. i termini fossero già spirati, gli effetti decadenziali opererebbero senza che la pendenza al 23.2 rilevi in alcun modo e, se invece i termini fossero ancora pendenti, essi da quel momento avrebbero potuto essere sospesi, senza necessità alcuna di fare riferimento alla data del 23.2.2020;
ma anche il riferimento all’inizio del procedimento « successivamente » a tale data non avrebbe granché senso, perché comunque si determinerebbe la sospensione a far data dall’entrata in vigore del d.l., sicché sarebbe bastato disporre la sospensione, senza null’altro precisare;
per attribuire un significato all’indicazione temporale sulla pendenza al 23.2, essa va invece intesa nel senso che la norma ha portata retroattiva, finalizzata a regolare la situazione verificatasi a partire dal primo momento individuato come rilevante rispetto all’epidemia;
essa va dunque letta unitamente al comma 1 del medesimo art. 103, che, rispetto ai procedimenti amministrativi, stabilisce che « non si tiene conto del periodo compreso » tra il 23.2.2020 e il 15 aprile 2020, poi 15.5.2020, non avendo alcun senso una diversa disciplina di questi ultimi rispetto ai procedimenti disciplinari, pur in ambito ‘privatizzato’, presso le medesime PP.AA.;
né vi è da ipotizzare una irragionevolezza, per l’estendersi della sospensione a periodi in cui le misure restrittive erano
territorialmente limitate (d.l. n. 6 del 23 febbraio 2023 e successivi DPCM di sua attuazione);
a parte il fatto che analoga estensione caratterizza in generale la sospensione di cui al comma 1, cit., è evidente l’intento del legislatore di intervenire in modo unitario ed uniforme;
una tale scelta risponde ad una logica di semplificazione che, data anche la limitatezza temporale dell’effetto retroattivo e la concomitanza di esso con il progressivo espandersi dell’epidemia e, dal 23.2 al successivo 4.3, delle parimenti progressive limitazioni su base territoriale poi divenuta nazionale, risulta tutt’altro che irragionevole;
la normativa risponde infatti all’esigenza di evitare che le Pubbliche Amministrazioni, non solo in ragione delle limitazioni ufficiali mano a mano introdotte, ma anche delle difficoltà indotte dall’espandersi della malattia, potessero restare in tal modo pregiudicate, dovendosi tenere conto anche del lasso di tempo che non poté non intercorrere tra effetti dell’epidemia e misure di salvaguardia, inevitabilmente sempre successive, anche rispetto ai profili giuridici della vicenda;
l’art. 103, co. 5, va dunque inteso nel senso che i termini dei procedimenti disciplinari pendenti al 23.2.2020 e di quelli iniziati successivamente a quella data sono rimasti sospesi fino al 15.4.2020 e poi, per effetto dell’art. 3 del d.l. n. 23 del 2020, fino al 15.5.2020;
3.
ciò posto, va altresì precisato come questa S.C. abbia già chiarito che la sospensione dei procedimenti disciplinari nei confronti del personale alle dipendenze della P.A. -disposta dall’art. 103, comma 5, del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, conv. con modif. dalla l. 24 aprile 2020, n. 27, e successivamente prorogata dall’art. 37, comma 1, del d.l. 8 aprile 2020, n. 23, conv. con modif. dalla l. 5 giugno 2020, n. 40 – si applica a tutti i termini indicati dall’articolo
55-bis del d.lgs. n. 165 del 2001, ivi compresi quelli per la trasmissione all’ufficio procedimenti disciplinari e per la contestazione dell’addebito da parte di quest’ultimo, con la conseguenza che, ai fini della normativa emergenziale, la pendenza del procedimento va riferita al momento in cui è acquisita la notizia di infrazione (Cass. 17 gennaio 2024, n.1867), sicché essa riguarda pienamente quanto qui oggetto del contendere, che concerne la fase anteriore alla contestazione;
3.1
su tali premesse i termini sono rispettati;
va intanto considerato che vale il principio per cui « in tema di procedimento disciplinare nel rapporto di pubblico impiego contrattualizzato, ai sensi dell’art. 55 bis, comma 4, del d.lgs. n. 165 del 2001, ai fini della decadenza dall’azione disciplinare occorre avere riguardo alla data in cui l’amministrazione datrice di lavoro esprime la propria valutazione in ordine alla rilevanza e consistenza disciplinare della notizia dei fatti rilevanti disciplinarmente e la consolida nell’atto di contestazione, assumendo rilievo l’eventuale ritardo nella comunicazione solo allorché sia di entità tale da rendere eccessivamente difficile l’esercizio del diritto di difesa da parte dell’incolpato » (Cass. 10 agosto 2018, n. 16900);
eseguendo il calcolo su tali presupposti, rispetto ai fatti del 13.2 la formazione dell’atto il 4.6.2020, tenuto conto della sospensione c.d. Covid calcolata nei sensi di cui sopra, è tempestiva in quanto il termine sarebbe scaduto il 5.6.2020 (9 giorni di febbraio + 16 di maggio + 5 di giugno), non potendosi poi evidentemente discorrere di eccessiva difficoltà nell’esercizio del diritto di difesa, per un lasso di tempo, fino al 11.6, in cui si è avuta la consegna alla destinataria, assai contenuto;
a maggior ragione la contestazione è tempestiva per i fatti del 19.2, rispetto ai quali la scadenza del termine (3 giorni di febbraio
+ 16 di maggio + 11 di giugno) coincide con la data della ricezione dell’atto da parte della Fasano;
3.2
la tempestività della contestazione rispetto ai fatti di entrambi i giorni finisce per rendere superfluo il ragionamento della Corte territoriale secondo cui, se anche fosse stata tempestiva la sola contestazione per i fatti del 19.2, la corrispondente violazione sarebbe stata tale da rendere comunque proporzionata e giustificata la sanzione;
infatti è tempestiva anche la contestazione rispetto ai fatti del 13.2 e quindi tutte le violazioni addebitate concorrono nell’integrare la fattispecie sanzionata dal datore;
4.
il secondo motivo denuncia, in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c., la falsa applicazione del CCNL di area, nonché degli artt. 116 e 421 c.p.c., del CE 2003/88 mod. 20.4.2005, della Circolare n. 8 del 2005 del Ministero del lavoro, nonché degli artt. 1, 7 e 9 del d.l. n. 66 del 2003;
il motivo è sviluppato sostenendo che la Corte d’Appello non avrebbe considerato le eccezioni svolte dalla ricorrente con riferimento all’illegittimità dei turni;
la Corte d’Appello, infatti, mentre aveva dichiarato inammissibile tale eccezione quanto alla mancata presentazione in sala operatoria per l’8.6.2020, nulla aveva detto evidenzia la ricorrente – rispetto alla medesima eccezione formulata in relazione ai fatti del 19.2.2020 (abbandono della sala operatoria), trascurando come la ASL non avesse mosso contestazioni specifiche e comunque fosse evidente la violazione sulle regole orarie dettate dal CCNL e dalla normativa eurounitaria, con riferimento a circostanze destinate ad integrare profili rilevabili d’ufficio;
4.1
il motivo non può trovare accoglimento;
iniziando dalla vicenda del 19.2.2020, la Corte d’Appello ha argomentato ampiamente, evidenziando come, a prescindere dai diverbi insorti con il primario in quel frangente in ragione di chi e come dovesse praticare l’intervento, la Fasano non avrebbe dovuto lasciare la sala operatoria, « trattandosi -si legge nella sentenza impugnata -di intervento delicato, per il quale lei stessa aveva richiesto l’intervento del dott. COGNOMEil primario, n.d.r.) -deducendosene quindi che sarebbe stata necessaria la presenza di entrambi, a prescindere da chi praticava l’incisione e per di più d’urgenza »;
un allontanamento della Fasano motivato all’epoca perché erano stati superati i tempi dei turni non emerge dalla sentenza di appello e coinvolge un accertamento di circostanze in fatto sulle ragioni addotte dal medico nell’allontanarsi, che è certamente inammissibile in questa sede;
su tale premessa, il fatto in sé dell’esorbitanza oraria di quell’intervento rispetto ai turni non incide minimamente sulla censura mossa dalla ASL e dalla Corte territoriale al comportamento tenuto, non potendosi certo giustificare ex post in tal modo l’abbandono della sala in corso di operazione, tanto più nelle condizioni di delicatezza e urgenza evidenziate dalla sentenza impugnata;
non diversamente, quanto alla mancata presentazione in sala operatoria per l’intervento del 8 giugno 2020, anche a voler ritenere che il tema degli orari stato fosse dedotto in causa o dovesse essere esaminato d’ufficio come sostiene la ricorrente, è evidente che non è ciò quello che rileva;
anche in questo caso la Corte d’Appello non fa cenno al fatto che la Fasano avesse così giustificato l’accaduto al momento dei fatti;
pertanto, se anche vi fosse stata in ipotesi l’esorbitanza rispetto agli orari dovuti, il medico non poteva certamente in questo modo
giustificare in causa il fatto di non essersi presentato alla sala operatoria quando era stabilito che egli fosse in turno, costringendo a coinvolgere altro medico non di turno;
se il turno non era dovuto o era illegittimo altre sono le forme per farlo tempestivamente constare e far valere in propri diritti, sicché è sterile in questa sede discutere sul tema, perché è evidente, anche per l’episodio in esame, che il non presentarsi in sala operatoria quando ciò era stato previsto dalla turnazione del reparto realizza in sé appieno l’illecito disciplinare, non giustificabile ex post in quei termini;
in altre parole, l’insistenza sul tema degli orari è priva di decisività rispetto a violazioni che, nel frangente in cui si sono verificate, dati gli interessi che ne venivano coinvolti e gli obblighi di protezione che gravano sul medico, giuridicamente non tollerano difese postume in tal senso;
5.
il terzo motivo adduce la violazione degli artt. 115, 116 e 421 c.p.c., del PNGLA 2019-2021, del PRGLA 2019-2021, della deliberazione del DG n. 1638 del 2021, del D.M. 30 aprile 2020 e di ulteriori normative sull’emergenza epidemiologica;
con esso la ricorrente assume -rispetto al fatto del 4.6.2020, consistente nel mancato ricovero di pazienti che erano in lista per essere operati il giorno successivo -che la Corte territoriale aveva erroneamente affermato l’assenza di prova e la tardiva deduzione della loro mancata ‘preeospedalizzazione’, quale circostanza giustificativa del diniego di accoglienza;
infatti, si trattava di circostanza non contestata e che comunque avrebbe potuto essere dimostrata con l’emissione dell’ordine di esibizione dei dati informatici, indebitamente anch’esso disatteso dalla Corte di merito;
5.1
il motivo va parimenti disatteso;
in realtà esso non replica all’affermazione della Corte territoriale in ordine al fatto che la circostanza era stata dedotta tardivamente, sicché non vi è luogo a discorrere di mancata contestazione, riguardando essa i fatti ritualmente addotti dalla parte (art. 416, co. 3, c.p.c.);
d’altra parte, l’applicazione della sanzione per quei fatti dimostra che la ASL non aveva certo riconosciuto giustificazioni rispetto ad essi;
quindi, a fondare un rilievo ex art. 115 c.p.c. nell’ambito di un motivo di ricorso per cassazione, avrebbero dovuto riportarsi le difese in cui quel profilo era stato evidenziato e le repliche della ASL, onde far constare il verificarsi di un tale effetto processuale, mentre l’impugnativa per cassazione sul punto è del tutto generica, in contrasto con i principi di cui all’art. 366 c.p.c.;
quanto all’ordine di esibizione, il motivo si limita a dire che « nell’istanza istruttoria vi erano elementi ed indicazioni tali da poter estrarre facilmente dal sistema informatico le informazioni necessaria »;
si tratta di affermazione assolutamente generica, che, come tale, non replica al rilievo della Corte d’Appello in ordine all’assenza di indicazioni più specifiche in relazione ai pazienti interessati e tanto basta;
tutto ciò rende dunque superfluo ogni ragionamento sui protocolli da seguire per le ospedalizzazioni e sulla normativa sanitaria richiamata nel motivo;
la censura contiene poi rilievi in ordine alla valutazione del ruolo svolto da tale dott.ssa COGNOME nella vicenda di quella mancata ospedalizzazione, sostenendo che l’assenza affermata dalla sentenza impugnata di compiti di quest’ultima in proposito sarebbe frutto di una ricostruzione «d el tutto inesatta e causata da una non corretta valutazione del materiale probatorio », in quanto
anche l’altro medico avrebbe potuto provvedere ai menzionati ricoveri;
il profilo di censura è inammissibile;
infatti, esso si traduce in una pretesa diversa valutazione del valore e del significato attribuiti dal giudice agli elementi delibati, così risolvendosi in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione. (Cass., S.U., 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass., S.U., 25 ottobre 2013, n. 24148; ora anche Cass. 22 novembre 2023, n. 32505);
si tratta peraltro di deduzioni anche inconferenti, in quanto se pure l’accaduto fosse da addebitare anche ad altro medico, ciò di certo non manderebbe esente la COGNOME dalle proprie responsabilità per non avere fatto anch’essa quanto necessario all’accoglienza di quei pazienti;
6.
il quarto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c. per avere la sentenza omesso di pronunciare sulla domanda di accertamento della ritorsività delle sanzioni applicate alla lavoratrice;
il motivo è infondato, in quanto non è vero che vi sta stata omissione di pronuncia, avendo la Corte d’Appello espressamente affermato che il tema della ritorsività era assorbito dalla « sussistenza dei fatti contestati e della proporzionalità delle sanzioni rispetto ad essi »;
ciò non significa certamente che, in sé, la decisione sulle sanzioni rendesse inutile la pronuncia sula ritorsività, quanto piuttosto, come è reso evidente dal richiamo non solo alla ‘sussistenza’ dei fatti, ma anche alla ‘proporzione’ delle sanzioni, che vi era stato un corretto esercizio del potere disciplinare, anche sotto il profilo
dell’equilibrio delle misure, che portava ad escludere un intento ritorsivo; ciò esprime la pronuncia sul tema ed una argomentazione che manifestamente esclude la fondatezza della denuncia in ordine all’apparenza della motivazione; 7. il ricorso va quindi integralmente disatteso e le spese del grado si regolano secondo soccombenza;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 4.000,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15 % ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro