Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 7358 Anno 2024
Civile Sent. Sez. L Num. 7358 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 19/03/2024
Oggetto: Pubblico impiego – licenziamento sostituito da sospensione dal servizio in sede di conciliazione giudiziale
AVV_NOTAIO NOME COGNOME
Presidente –
AVV_NOTAIO NOME COGNOME
AVV_NOTAIO rel. –
AVV_NOTAIO COGNOME
AVV_NOTAIO –
AVV_NOTAIO NOME COGNOME
AVV_NOTAIO –
AVV_NOTAIO NOME COGNOME
AVV_NOTAIO –
SENTENZA
sul ricorso 24222-2022 proposto da:
NOME, rappresentato e difeso dall ‘ avvocato NOME COGNOME, con domicilio legale come da pec Registri di Giustizia;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa ope legis dall ‘ RAGIONE_SOCIALE presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla INDIRIZZO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 318/2022 della CORTE D ‘ APPELLO di MILANO, depositata il 11/04/2022 R.G.N. 5/2022;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/01/2024 dal AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO; udito il P.M. in persona del AVV_NOTAIO Procuratore AVV_NOTAIO COGNOME AVV_NOTAIO , che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l ‘ AVV_NOTAIO COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La Corte d ‘ appello di Milano respingeva l ‘ impugnazione proposta da NOME COGNOME, dipendente dell ‘ RAGIONE_SOCIALE con inquadramento nella terza area F3, CCNL RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, profilo di analista di laboratorio e mansioni di analista di laboratorio -responsabile di prova, avverso la sentenza del locale Tribunale che aveva rigettato la sua domanda intesa ad ottenere la declaratoria di illegittimità della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio e dalla retribuzione per sei mesi ex art. 67 del c.c.n.l. RAGIONE_SOCIALE, in relazione a false attestazioni della presenza in ufficio dal 27 giugno al 30 giugno 2016 nella fascia temporale dalle ore 12 alle ore 16.
Inizialmente, contestandosi al COGNOME, la violazione dell ‘ art. 55quater , lett. a ), del d.lgs. n. 165/2001 (per fatti emersi nell ‘ ambito di un procedimento penale iscritto a carico dello stesso), con comunicazione del 910/5/2017 era stato avviato dall ‘ RAGIONE_SOCIALE il procedimento disciplinare che si e era concluso con l ‘ irrogazione del provvedimento di licenziamento senza preavviso.
Impugnato tale provvedimento, in sede giudiziale le parti erano addivenute ad una conciliazione, con accordo per la sostituzione della sanzione del licenziamento con quella della sospensione dal servizio e dalla retribuzione per sei mesi e con riammissione in servizio a far data dal 15/2/2018.
Era quindi intervenuta sentenza n. 1859 del 25/7/2019 del GUP del Tribunale di Milano, passata in giudicato, che aveva mandato assolto il COGNOME perché il fatto non sussiste.
A seguito di tale assoluzione, tuttavia, l ‘ RAGIONE_SOCIALE, nonostante la richiesta del dipendente, non aveva disposto la riapertura del procedimento disciplinare né annullato la sanzione applicata.
Tale comportamento aveva formato oggetto di successivo ricorso del COGNOME il quale aveva, appunto, lamentato, il mancato riavvio del
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procedimento disciplinare e dedotto l ‘ illegittimità della applicata sanzione disciplinare in ragione della sopravvenuta assoluzione in sede penale.
Il Tribunale aveva respinto il ricorso.
La Corte d ‘ appello concordava con quanto statuito da Tribunale quanto alla insussistenza di un obbligo di riapertura del procedimento disciplinare stante, peraltro, l ‘ intervenuto accordo in sede di conciliazione giudiziale sulla sanzione da applicare, previa nuova qualificazione della condotta attribuita al COGNOME.
Evidenziava in ogni caso la diversità dell ‘ addebito oggetto del procedimento penale rispetto all ‘ addebito disciplinare come definito in sede di conciliazione.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso NOME COGNOME con cinque motivi successivamente illustrati da memoria.
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
Il Procuratore AVV_NOTAIO ha depositato memoria concludendo per il rigetto del ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione/falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. cod. civ., con riferimento all ‘ art. 1965 cod. civ., nonché agli artt. 1339, 1418 e 1419 cod. civ. e agli artt. 55 e ss. del d.lgs. n. 165/2001 (in relazione alla transazione sottoscritta il 14.02.2018 tra il dottAVV_NOTAIO COGNOME e l ‘ RAGIONE_SOCIALE).
Censura la sentenza impugnata per aver ritenuto che la sottoscrizione della conciliazione fosse ostativa all ‘ applicabilità, al caso di specie RAGIONE_SOCIALE previsioni di cui all ‘ art. 55 e ss. del d.lgs. n. 165/2001 e segnatamente dell ‘ art. 55ter oltre che dell ‘ art. 653 cod. proc. pen. Si duole, altresì, del fatto che la Corte di merito abbia interpretato la transazione per cui è causa nel senso di ritenere che l ‘ art. 55ter d.lgs. n. 165/2001 sia applicabile esclusivamente nell ‘ ipotesi in cui, al dipendente, prima della definizione del giudizio penale, sia stata irrogata la sanzione del licenziamento.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione/falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. cod. civ., con riferimento agli artt. 1339, 1419 e 2113 cod. civ. ed all ‘ art. 55, comma 1 del d.lgs. n. 165/2001 (sempre in relazione alla transazione del 14.02.2018).
Lamenta che la Corte di merito abbia interpretato la transazione per cui è causa nel senso di ritenere che la stessa potesse validamente comportare la rinuncia, da parte del ricorrente, a diritti previsti da norme imperative attinenti alla disciplina del procedimento disciplinare costituenti un corpus normativo estremamente rigoroso e dettagliato (cfr. art. 55, comma 1, d.lgs. n. 165/2001) e/o a diritti futuri.
Assume che l ‘ intervenuta transazione non può affrancare il datore di lavoro dall ‘ obbligo di riattivazione del procedimento disciplinare previsto da norma imperativa, diversamente determinandosi un vulnus dell ‘ essenziale prerogativa del lavoratore di reagire al potere punitivo datoriale.
Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione/falsa applicazione degli artt. 1362 e 1364 cod. civ. (sempre in relazione alla transazione del 14.02.2018).
Deduce la non corretta interpretazione della transazione de qua con riferimento alla genericità ed indeterminatezza RAGIONE_SOCIALE clausole della stessa, come tali inidonee a far ritenere che parte ricorrente fosse consapevole di rinunciare all ‘ esercizio di cui diritti cui, invece, la Core territoriale ha ritenuto che egli abbia rinunciato.
Con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione/falsa applicazione degli artt. 55 e ss. del d.lgs. n. 165/2001 -segnatamente dell ‘ art. 55ter d.lgs. citato -, dell ‘ art. 653 cod. proc. pen., nonché dell ‘ art. 7 L. n. 300/70.
Lamenta la violazione, ad opera della sentenza gravata, del sistema normativo dei rapporti tra procedimento disciplinare e procedimento penale.
Assume che la sentenza impugnata di fatto ha annullato la portata innovativa dell ‘ art. 55ter volta ad evitare contrasti tra le risultanze del procedimento penale e quelle del procedimento disciplinare.
Sostiene che la rivisitazione della vicenda disciplinare doveva avvenire in sede di riapertura del procedimento disciplinare e non in sede giudiziale, oltre tutto prima di conoscere ed a prescindere dall ‘ esito del procedimento penale. Come tale la stessa non può ritenersi sostitutiva della riapertura de procedimento disciplinare
Con il quinto motivo il ricorrente denuncia la violazione/falsa applicazione degli artt. 1362/1372 cod. civ.
Critica la sentenza impugnata per aver erroneamente effettuato una equiparazione tra sentenza passata in giudicato e accordo transattivo sottoscritto tra le parti.
Il ricorso, in tutte le sue articolazioni è infondato.
Occorre premettere che un unico vincolo, logico e giuridico integrale per il datore di lavoro (comportante non solo l ‘ obbligo di riattivare, a richiesta, il procedimento disciplinare ma anche l ‘ assenza di margini di apprezzamento in sede interna: v. Cass. 6 marzo 2023, n. 6660) deriva dall ‘ assoluzione penale quanto all ‘ accertamento che il fatto non sussiste o non costituisce illecito penale ovvero che l ‘ imputato non lo ha commesso ( ex art. 653, comma 1, cod. proc. pen.; art. 55ter, comma 2 , d.lgs. n. 165/2001).
Deve, ovviamente, trattarsi dello stesso fatto che ha formato oggetto tanto del procedimento penale quanto del procedimento disciplinare.
Per il resto, residua sempre la possibilità di un autonomo apprezzamento, operando il principio secondo cui il giudicato penale non preclude, in sede disciplinare, una rinnovata valutazione dei fatti accertati dal giudice penale attesa la diversità dei presupposti RAGIONE_SOCIALE rispettive responsabilità, fermo solo il limite dell ‘ immutabilità dell ‘ accertamento dei fatti nella loro materialità – e dunque, della ricostruzione dell ‘ episodio posto a fondamento dell ‘ incolpazione operato nel giudizio penale (v. Cass., S.U., 9 luglio 2015, n. 14344; Cass., S.U., 24 novembre 2010, n. 23778; Cass., S.U., 18 ottobre 2000, n. 1120). Ciò vuol dire che il giudicato di assoluzione non determina automaticamente l ‘ archiviazione del procedimento disciplinare ben potendo l ‘ amministrazione rivalutare il fatto, fermo restando che lo stesso non può essere ricostruito in termini difformi rispetto a quelli accertati in sede penale (in tal senso, Cass. 13 marzo 2019, n. 11948; Cass. 12 febbraio 2021, n. 3659). Analogamente il giudicato di condanna impedisce di ritenere il dipendente estraneo ai fatti ma non preclude la possibilità di apprezzare, ai fini della gravità dell ‘ inadempimento, circostanze diverse da quelle valutate dal giudice penale.
Tranne le vincolanti ipotesi di cui si è detto, la regola prevista dall ‘ art. 55ter del d.lgs. n. 165 del 2001 resta sempre quella dell ‘ autonomia del procedimento disciplinare rispetto a quello penale (fra le tante, v. Cass. 28 agosto 2018, n. 21260; Cass. 17 maggio 2017, n. 12358; Cass. 10 giugno 2016, n. 11985).
Lo statuto normativo introdotto ha tenuto conto della circostanza che uno stesso fatto può essere considerato irrilevante sotto il profilo penalistico e nel contempo avere una rilevanza disciplinare tale da risultare persino idoneo a giustificare il licenziamento.
Nello specifico, come è pacifico in atti, l ‘ assoluzione penale è intervenuta per essere stata esclusa la sussistenza dell ‘ elemento soggettivo (dolo) necessario per la configurabilità dei reati di cui all ‘ imputazione.
È particolarmente significativo quanto riportato nella sentenza del giudice penale (puntualmente richiamata dal ricorrente ed allegata al ricorso per cassazione) circa l ‘ esito del processo di lavoro instaurato (tra gli altri) dal COGNOME, avverso il provvedimento di licenziamento irrogato dall ‘ RAGIONE_SOCIALE, avente ad oggetto le medesime condotte sottoposte al giudice penale. Precisa quest ‘ultimo che il ‘ licenziamento era stato motivato dalla qualificazione giuridica dei fatti come riconducibili all ‘ illecito penale di cui all ‘ art. 55 quinquies’ ed aggiunge che ‘ il giudice del lavoro, senza entrare nel merito, ha invitato le parti ad una conciliazione, a cui in effetti si è pervenuti, sulla base di una qualificazione RAGIONE_SOCIALE condotte non già come mezzi fraudolenti ma come ‘ fatti e comportamenti tesi all ‘ elusione dei sistemi di rilevamento elettronici della presenza e dell ‘ orario ‘ ex art. 67, comma IV, lett. g) del c.c.n.l. Comparto RAGIONE_SOCIALE fiscali, la cui integrazione comporta la sanzione massima di sei mesi di sospensione ‘. Precisa il giudice penale che ‘ la mera omissione non integra il mezzo fraudolento ma solo un fatto di elusione degli obblighi di timbratura ‘.
È allora di tutta evidenza che il fatto disciplinarmente rilevante che ha determinato la conciliazione in sede giudiziale con l ‘ adozione, concordata tra le parti, della sanzione conservativa della sospensione di sei mesi era diverso da quello per il quale il COGNOME è stato assolto.
Sul punto, corretta è l ‘ interpretazione della Corte territoriale dell ‘ atto di conciliazione giudiziale, peraltro conforme a quanto evidenziato dal giudice penale nella sentenza passata in giudicato.
Tanto esclude non solo la sussistenza di un obbligo datoriale di riapertura del procedimento disciplinare, come detto definito in sede di conciliazione giudiziale, ma anche la possibilità di una revisione della minor sanzione adottata.
Del suddetto procedimento disciplinare era stata esaurita non solo la fase amministrativa ma anche quella giudiziale e l ‘ intervenuta pronuncia penale non era integralmente trasponibile in sede disciplinare atteso che al lavoratore non era addebitato di aver commesso il reato escluso in diritto dal giudice penale, quanto fatti e comportamenti autonomamente valutabili ed in relazione ai quali in sede di conciliazione giudiziale era stata concordemente individuata la sanzione conservativa applicabile richiamandosi, in luogo della violazione dell ‘ art. 55quater , lett. a ), del d.lgs. n. 165/2001 (‘ falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l ‘ alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente, ovvero giustificazione dell ‘ assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o che attesta falsamente uno stato di malattia ‘), posta a base dell’ iniziale provvedimento di licenziamento (e della pronuncia penale), quella di cui all ‘ art. 67, comma 4, lett. g ) del c.c.n.l. del Comparto RAGIONE_SOCIALE fiscali del 28 maggio 2004, lettera introdotta dal comma 2 dell ‘art. 8 del c.c.n.l. 10 aprile 2008 (‘ fatti e comportamenti tesi all ‘ elusione dei sistemi di rilevamento elettronici della presenza e dell ‘ orario o manomissione dei fogli di presenza o RAGIONE_SOCIALE risultanze anche cartacee degli stessi. Tale sanzione si applica anche nei confronti di chi avalli, aiuti o permetta tali atti o comportamenti ‘).
Si aggiunga che era stato proprio il COGNOME a richiedere che fosse accertata, in sede del presente giudizio, l ‘ illegittimità di tale sanzione conservativa il che rende del tutto legittimo l ‘ accertamento operato dal giudice di merito che vi ha proceduto senza alcuna impropria sostituzione rispetto al datore di lavoro.
Né risultano conferenti le censure riguardanti la erronea equiparazione tra giudicato e transazione, sull ‘ assunto che l ‘ art. 55ter si applichi soltanto al caso dell ‘ irrogazione del licenziamento, e quella relativa all ‘ equiparazione fra accordo transattivo e giudicato essendo le stesse afferenti ad assunti decisori diversi da quelli sottesi alla sentenza impugnata ed incontrando, comunque, il limite del chiaro distinguo, operato dalla sentenza penale tra fatto penalmente rilevante (per il quale è stato escluso il dolo con conseguente pronuncia di assoluzione) e fatto disciplinarmente rilevante (oggetto di conciliazione giudiziale).
Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato.
La regolamentazione RAGIONE_SOCIALE spese segue la soccombenza.
Occorre dare atto, ai fini e per gli effetti indicati da Cass., Sez. Un, 20 febbraio 2020, n. 4315, della sussistenza RAGIONE_SOCIALE condizioni processuali richieste dall ‘ art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, RAGIONE_SOCIALE spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre accessori di legge e spese prenotate a debito.
Ai sensi dell ‘ art. 13 comma 1quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 13, se dovuto.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 9 gennaio 2024.