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Sanzione disciplinare: il rifiuto porta a nuove sanzioni

Un lavoratore si è ripetutamente rifiutato di eseguire una sanzione disciplinare di sospensione, presentandosi al lavoro. L’azienda ha irrogato due nuove e più gravi sanzioni per questa insubordinazione. Il Tribunale del Lavoro ha parzialmente ridotto la prima nuova sanzione per il principio di proporzionalità, ma ha confermato integralmente la seconda, ritenendo il comportamento del dipendente una grave violazione dei doveri di subordinazione. Il caso chiarisce che ignorare una sanzione disciplinare costituisce un’autonoma e grave infrazione.

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Pubblicato il 23 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Sanzione Disciplinare: Rifiutarsi di Eseguirla Può Costare Caro

Una recente sentenza del Tribunale del Lavoro di Venezia offre uno spunto fondamentale per comprendere i doveri del lavoratore nel contesto del potere disciplinare del datore. Quando viene comminata una sanzione disciplinare, come la sospensione dal servizio, il dipendente non può semplicemente ignorarla e presentarsi al lavoro. Tale comportamento, come chiarito dal giudice, costituisce un’autonoma e grave violazione che legittima l’irrogazione di una nuova e più severa sanzione. Analizziamo insieme questo caso emblematico.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un dipendente, direttore di un ufficio, che ha ricevuto una sanzione disciplinare di sospensione dal lavoro e dalla retribuzione. Invece di contestare il provvedimento nelle sedi opportune, il lavoratore ha deciso di ignorarlo deliberatamente in due distinte occasioni.

Primo Rifiuto

Alla comunicazione che la sospensione sarebbe stata eseguita in una certa data, il lavoratore si presentava comunque in servizio. Nonostante i solleciti del suo superiore, il dipendente comunicava la sua intenzione di non rispettare la sanzione, adducendo motivazioni personali sulla “resistenza alla fascistizzazione aziendale”. Questo primo atto di insubordinazione portava all’avvio di un nuovo procedimento disciplinare, che si concludeva con l’irrogazione di una sospensione di tre giorni.

Secondo Rifiuto

Successivamente, dovendo eseguire un’altra giornata di sospensione derivante da un precedente provvedimento, il lavoratore ripeteva il medesimo comportamento. Rifiutava di ritirare la comunicazione ufficiale, si presentava in ufficio il giorno della sospensione e si allontanava solo dopo l’intervento personale di un responsabile delle risorse umane. Anche questo episodio portava a una seconda sanzione disciplinare di tre giorni di sospensione.

L’Analisi del Tribunale sulla Sanzione Disciplinare

Il lavoratore ha impugnato entrambe le nuove sanzioni, ma il Tribunale ha ritenuto la sua condotta di particolare gravità. Il giudice ha sottolineato che il rifiuto di adempiere a una sanzione disciplinare mina alla radice il potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro, che è un elemento essenziale del rapporto di lavoro subordinato (art. 2105 c.c.).

Le giustificazioni fornite dal dipendente sono state considerate “totalmente eccentriche” rispetto alla contestazione. Il fatto che fosse anche un rappresentante sindacale (RSU) non è stato ritenuto rilevante, poiché le sue dichiarazioni e azioni sono avvenute nell’ambito di un procedimento disciplinare che riguardava la sua condotta individuale come dipendente.

Le Motivazioni della Decisione

Il Tribunale ha preso due decisioni distinte per le due sanzioni.

1. Prima Sanzione (ridotta a due giorni): Per il primo episodio di rifiuto, pur riconoscendo la gravità della condotta, il giudice ha deciso di ridurre la sanzione da tre a due giorni di sospensione. Questa scelta è stata motivata dal principio di progressività delle sanzioni, secondo cui la risposta punitiva deve essere graduale, specialmente di fronte alla prima manifestazione di un certo tipo di insubordinazione.

2. Seconda Sanzione (confermata integralmente): Per il secondo episodio, invece, la sanzione di tre giorni è stata interamente confermata. Il giudice ha qualificato il comportamento del lavoratore come un rifiuto “pervicace”, ovvero ostinato e deliberato. La ripetizione della medesima infrazione ha dimostrato una chiara volontà di sottrarsi ai propri doveri, rendendo la sanzione pienamente proporzionata e legittima, senza margini per una riduzione.

Infine, il giudice ha deciso per la compensazione delle spese legali, motivandola con “gravi ed eccezionali ragioni”, tra cui la scelta della società di procedere in giudizio anziché tentare una via conciliativa.

Le Conclusioni

La sentenza è un monito chiaro: un lavoratore che ritiene ingiusta una sanzione disciplinare non può farsi giustizia da sé. L’ordinamento mette a disposizione strumenti specifici per contestare i provvedimenti datoriali, come l’impugnazione giudiziale o le procedure di conciliazione e arbitrato. Scegliere la via dell’insubordinazione e del rifiuto deliberato non solo è inefficace, ma costituisce un’autonoma e grave infrazione disciplinare. Questo comportamento espone il lavoratore al rischio concreto di subire nuove e più severe sanzioni, che possono arrivare fino al licenziamento, compromettendo irrimediabilmente il rapporto di fiducia con il datore di lavoro.

Un lavoratore può rifiutarsi di eseguire una sanzione disciplinare che ritiene ingiusta?
No. Secondo la sentenza, il lavoratore deve rispettare la sanzione e, contemporaneamente, utilizzare gli strumenti legali previsti dall’ordinamento (come l’impugnazione davanti al giudice) per contestarne la legittimità. Il rifiuto di eseguirla costituisce un atto di insubordinazione.

Cosa rischia un lavoratore che ignora una sanzione disciplinare come la sospensione?
Ignorare una sanzione è considerata una grave infrazione disciplinare a sé stante. Come dimostra il caso, questo comportamento può portare all’applicazione di una nuova e più severa sanzione, poiché mina il potere direttivo del datore di lavoro e il rapporto di subordinazione.

Perché il giudice ha ridotto una sanzione da tre a due giorni e ha confermato integralmente l’altra?
Il giudice ha applicato il principio di progressività e proporzionalità. Ha ridotto la prima sanzione per il primo atto di rifiuto, considerandolo meritevole di una punizione leggermente meno severa. Ha invece confermato la seconda sanzione perché la ripetizione del comportamento dimostrava un’ostinazione (pervicacia) nel violare i propri doveri, giustificando così la piena misura della punizione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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