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Salvaguardia pensionistica: i limiti dell’applicazione

La Corte di Cassazione ha stabilito che un lavoratore in mobilità non ha diritto alla salvaguardia pensionistica se, durante il periodo di fruizione dell’indennità, matura i requisiti per la pensione sia secondo la vecchia che la nuova normativa. La finalità della norma è tutelare chi rimarrebbe senza reddito e pensione, condizione non verificatasi nel caso di specie. Il ricorso dell’ente previdenziale è stato quindi accolto.

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Pubblicato il 11 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Salvaguardia Pensionistica: la Cassazione chiarisce i requisiti

La salvaguardia pensionistica rappresenta un’ancora di salvezza per molti lavoratori rimasti intrappolati nelle maglie delle riforme previdenziali. Tuttavia, il suo perimetro di applicazione non è illimitato. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è intervenuta per chiarire un punto cruciale: il beneficio non spetta a chi, pur essendo in mobilità, matura comunque i requisiti per la pensione secondo le nuove e più severe regole. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti del Caso: tra vecchi e nuovi requisiti

Il caso esaminato riguarda un lavoratore licenziato e posto in mobilità nel 2014. Durante il periodo in cui percepiva l’indennità di mobilità, che si sarebbe concluso nel 2018, egli ha maturato i requisiti per accedere alla pensione secondo due distinti regimi normativi:

1. Secondo la normativa previgente alla riforma del 2011, avrebbe potuto andare in pensione dal 1° giugno 2016.
2. Secondo la nuova normativa (post-riforma), avrebbe maturato il diritto alla pensione in data 31 dicembre 2017.

L’ente previdenziale gli aveva riconosciuto la pensione con decorrenza dal 1° gennaio 2018, applicando la nuova normativa. Il lavoratore, ritenendo di aver diritto alla clausola di salvaguardia, si era rivolto al Tribunale, che gli aveva dato ragione, anticipando la decorrenza della pensione al 1° giugno 2016. Decisione confermata anche dalla Corte d’Appello. L’ente previdenziale ha quindi presentato ricorso in Cassazione.

La Decisione della Corte sulla Salvaguardia Pensionistica

La Corte di Cassazione ha ribaltato le decisioni dei giudici di merito, accogliendo il ricorso dell’ente previdenziale. Secondo gli Ermellini, la Corte d’Appello ha errato nel ritenere che la norma sulla salvaguardia non distinguesse tra chi matura solo i vecchi requisiti e chi, nel frattempo, matura anche quelli nuovi. La Suprema Corte ha chiarito che l’interpretazione deve tenere conto della finalità della legge.

Le Motivazioni: la Ratio Legis della norma

Il cuore della decisione risiede nell’interpretazione della ratio legis (la finalità) della salvaguardia pensionistica. Queste norme derogatorie sono state introdotte per proteggere i lavoratori che, a causa dell’improvviso innalzamento dei requisiti pensionistici, si sarebbero trovati in un limbo: senza più l’indennità di mobilità e non ancora in possesso dei requisiti per la pensione. In sostanza, lo scopo è evitare che una persona rimanga priva di qualsiasi forma di reddito.

Nel caso specifico, il lavoratore non si trovava in questa situazione di vulnerabilità. Pur dovendo attendere una data successiva rispetto a quella prevista dalla vecchia normativa, egli avrebbe comunque avuto accesso al trattamento pensionistico previsto dalla nuova riforma prima della fine del periodo di mobilità. Non si è verificata, quindi, quella scopertura economica che la norma di salvaguardia intende prevenire.

La Corte ha sottolineato che, trattandosi di un beneficio in deroga e contingentato, la sua interpretazione deve essere rigorosa e finalizzata a garantire la sostenibilità del sistema pensionistico. Estendere la tutela a chi, come il controricorrente, ha comunque maturato i requisiti della nuova riforma, snaturerebbe la funzione stessa della salvaguardia.

Le Conclusioni: un principio di stretta necessità

La sentenza consolida un principio fondamentale: la salvaguardia pensionistica è uno strumento di tutela eccezionale, da applicare solo quando strettamente necessario per evitare un vuoto di reddito. Non può essere invocata per ottenere semplicemente un pensionamento anticipato se, durante il periodo di tutela (come la mobilità), si perfezionano comunque i requisiti richiesti dalla nuova legislazione. La Corte, cassando la sentenza impugnata, ha rinviato il caso alla Corte d’Appello territoriale per una nuova valutazione basata su questo principio di diritto.

A chi si applica la clausola di salvaguardia pensionistica secondo la Corte?
La clausola si applica ai lavoratori che, a causa di una riforma pensionistica, si troverebbero senza reddito, ovvero senza più l’indennità di mobilità e senza aver ancora maturato i nuovi requisiti per la pensione. Lo scopo è proteggerli da un vuoto economico.

Perché in questo caso specifico il lavoratore è stato escluso dalla salvaguardia pensionistica?
Il lavoratore è stato escluso perché, durante il periodo in cui percepiva l’indennità di mobilità, ha maturato i requisiti per la pensione non solo secondo la vecchia normativa, ma anche secondo quella nuova e più restrittiva. Pertanto, non rischiava di rimanere senza alcuna forma di sostegno al reddito.

Qual è il criterio interpretativo principale usato dalla Cassazione per decidere?
La Cassazione ha basato la sua decisione sulla ratio legis, cioè sulla finalità della norma. Ha stabilito che, essendo la salvaguardia un’eccezione alla regola generale e una misura di deroga, deve essere interpretata in modo restrittivo, escludendo dal beneficio coloro per i quali non si realizza la condizione di vulnerabilità economica che la legge intende prevenire.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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