Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 29042 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 29042 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 19315/2024 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO e NOME COGNOME;
-ricorrente-
contro
NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, rappresentati e difesi dagli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME e NOME COGNOME e domiciliati elettivamente in Roma, INDIRIZZO;
-controricorrenti-
avverso la SENTENZA della Corte d’appello di Milano n. 216/2024 del 7 marzo 2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/10/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La RAGIONE_SOCIALE (da ora solo la RAGIONE_SOCIALE) ha proposto appello contro la sentenza del Tribunale di Milano n. 2309/2023, il quale aveva stabilito che i redditi pensionabili degli avvocati controricorrenti fossero rivalutati, per la determinazione del trattamento pensionistico di vecchiaia e di anzianità, a partire dal 1980, sulla base della svalutazione del 21,10 per il periodo 1979/1980, del 18,70 per il periodo 1980/1981, del 16,30 per il periodo 1981/1982 e del 15,00 per il periodo 1982/1983, secondo i successivi indici Istat, fino al momento della liquidazione di tale trattamento.
Per l’effetto, la RAGIONE_SOCIALE era stata condannata a riliquidare il detto trattamento dalle date indicate in sentenza per ogni interessato.
La decisione aveva anche stabilito l’entità di siffatta riliquidazione e aveva condannato la RAGIONE_SOCIALE al pagamento degli importi arretrati, come quantificati.
La RAGIONE_SOCIALE ha proposto appello che la Corte d’appello di Milano, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 216/2024, ha rigettato.
La RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi.
Gli intimati si sono difesi con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo parte ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 10, 15, 16, 26 e 27 della legge n. 576 del 1980.
Contesta che la Corte territoriale avrebbe interpretato non correttamente la legge n. 576 del 1980 affermando che la prima rivalutazione dei redditi professionali avrebbe dovuto tenere conto, anche per le pensioni maturate dopo il 1982, della svalutazione intercorsa tra il 1980 e il 1979, pari al 21,1%. Al
contrario, detta rivalutazione sarebbe dovuta avvenire a far data dal 1983, sulla base della svalutazione misurata nel 1982 tra le annualità 1980 e 1981.
2) Preliminarmente vanno respinte le eccezioni di inammissibilità del ricorso avanzate dal controricorrente. Per un verso, il ricorso è sufficientemente specifico nell’indicare con chiarezza le censure addotte alla sentenza impugnata e le ragioni per le quali essa sarebbe errata. Per altro verso, il richiamo all’art. 360 bis, n.1 c.p.c. appare inconferente posto che vari precedenti di questa Corte sul tema sono intervenuti successivamente alla proposizione del ricorso, sicché può dirsi che l’orientamento di legittimità in materia si è formato solo in seguito al ricorso.
Si osserva, poi, che la procura speciale risulta regolarmente conferita.
Il primo motivo è infondato.
In fattispecie analoghe alla presente, dove era chiesta la rivalutazione del trattamento pensionistico di vecchiaia ai sensi dell’art. 2 legge n. 576 del 1980 in ragione di una diversa e maggiore rivalutazione dei redditi (artt. 15 e 16, comma 1), questa Suprema Corte (Cass. 9698/2010; Cass. 16585/2023; Cass. 27609/2024; Cass. 22836/2025; Cass. 23312/2025; Cass. 24925/2025) ha affermato che la rivalutazione dei redditi opera in conformità al disposto dell’art. 27, comma 4, ovvero secondo l’indice medio annuo relativo all’anno di entrata in vigore della presente legge, ossia l’anno 1980, e, dunque, sulla base della variazione dell’indice ISTAT registrata nell’anno precedente, ovvero nel 1979.
Le citate pronunce poggiano tutte sul rilievo contenuto nella sentenza resa a Sezioni Unite da questa Corte (v. Cass., Sez.Un., n.7281/2004) per cui, diversamente da quanto ritiene la RAGIONE_SOCIALE, l’art. 27, comma 4, non è norma di diritto transitorio, ma detta un criterio generale, applicabile non solo alle pensioni liquidate prima dell’entrata in vigore della legge n. 576 del 1980, bensì anche a quelle liquidate dopo (principio confermato anche da Cass. n.27609/2024). In particolare, il fatto che la legge si applichi alle pensioni di vecchiaia maturate dal primo gennaio del secondo anno successivo alla sua entrata in vigore, ovvero dal 1982 (art. 26, comma 1), non toglie che, ai fini del loro calcolo secondo il sistema retributivo, la media dei dieci migliori redditi, computati sui quindici anni solari anteriori alla maturazione del diritto a
pensione, opera previa rivalutazione di detti redditi, a partire dall’anno di entrata in vigore della legge e, quindi, dal 1980.
Si deve aggiungere che tale interpretazione non è smentita dalla sentenza di questa Suprema Corte a Sezioni Unite n. 7281/2004, nella parte in cui assume, invece, a riferimento l’indice ISTAT del 1981 relativo al 1980. Siffatta sentenza ha riguardato, infatti, la diversa tematica della rivalutazione delle pensioni, ai sensi dell’art. 16, comma 1, non già la rivalutazione dei redditi (art. 15), su cui calcolare l’ammontare della pensione secondo il sistema retributivo. Poiché le pensioni regolate dalla legge n. 576 del 1980 sono solo quelle che maturano dal 1° gennaio 1982, le Sezioni Unite hanno affermato che la rivalutazione della pensione avviene sulla base dell’indice del 1981 relativo al 1980 (ovvero dell’indice medio annuo relativo all’anno di entrata i n vigore della legge), e, alla fine, dell’indice precedente all’anno di prima erogazione, che tiene conto della svalutazione intervenuta nell’anno ancora precedente; in particolare, in detta sentenza viene spiegato che: facendo riferimento al meccanismo di rivalutazione della pensione, se una pensione maturata nel corso di un qualsiasi anno si rivaluta già l’anno immediatamente successivo, ciò comporta che si prenda come base di riferimento per operare la rivalutazione la delibera del consiglio di amministrazione della RAGIONE_SOCIALE, emessa lo stesso anno del pensionamento che, necessariamente, farà riferimento alla variazione intervenuta nel corso dell’anno precedente.
Nel caso di specie, invece, si tratta non di rivalutare le pensioni a far tempo dal primo anno successivo alla maturazione del diritto, previa delibera del consiglio di amministrazione della RAGIONE_SOCIALE (commi 1 e 3 dell’art. 16), ma di rivalutare i redditi, già prima della maturazione del diritto a pensione e già a partire dal 1980, anno di entrata in vigore della legge, per i redditi maturati a partire dal 1980.
Conferma della presente lettura degli artt. 15, 26 e 27 legge n. 576 del 1980 si rinviene nel comma 2 dell’art. 27, in base al quale la prima tabella di cui all’art. 15, comma 2 – ovvero la tabella dei coefficienti di rivalutazione dei redditi redatta dal consiglio di amministrazione della RAGIONE_SOCIALE entro il 31 maggio di ogni anno sulla base dei dati ISTAT è redatta entro quattro mesi dall’entrata in vigore della
presente legge. La prima tabella deve essere redatta entro 4 mesi decorrenti dal 12.10.1980, ovvero entro il 12.2.1981, e, quindi, essa non poteva che prendere a riferimento l’indice medio ISTAT registrato nel 1980 sulla base della svalutazione intercorsa tra il 1979 e il 1980, non certo l’indice ISTAT del 1981, il quale, essendo un indice medio annuo riferito all’inter o anno solare, va assunto a riferimento solo al termine dell’anno 1981, anziché già dal 12.2. 1981.
Non osta a quanto fin qui detto il d.m. 30.9.192082 adottato su delibera del consiglio di amministrazione della RAGIONE_SOCIALE ex art. 16, comma 1, il quale fa decorrere la rivalutazione, sia delle pensioni sia dei redditi, dal 1981. La delibera della RAGIONE_SOCIALE, invero, ha valore meramente ricognitivo della variazione ISTAT registrata nell’anno precedente e non può incidere sul criterio normativo primario posto dall’art. 27, comma 4, in tema di decorrenza della prim a rivalutazione. Come affermato da questa Corte nelle citate pronunce nn. 9698/2010 e 16585/2023, trattandosi di atto regolamentare, esso ben può essere disapplicato, ove contrario alla norma primaria, ovvero l’art. 27, comma 4, legge n. 576 del 1980.
Con il secondo motivo la RAGIONE_SOCIALE lamenta la violazione dell’art. 436 c.p.c. e dell’art. 2909 c.c., censurando il capo della sentenza di appello che aveva confermato il rigetto delle domande riconvenzionali proposte nel giudizio di prime cure e coltivate con il secondo e il terzo motivo di appello.
In particolare, contesta che sarebbe stata riconosciuta l’esistenza di un debito contributivo in ragione della rivalutazione dei redditi dei controricorrenti, ma che non sarebbe stato fatto oggetto di una condanna giudiziale.
Peraltro, sul punto non sarebbe stato neppure proposto appello incidentale dalle controparti, con la conseguenza che la Corte d’appello di Milano non avrebbe potuto riformare, al riguardo, la sentenza del Tribunale di Milano.
Con il quarto motivo rappresenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della legge n. 576 del 1980 perché la Corte territoriale non avrebbe accolto la domanda riconvenzionale con la quale aveva chiesto che il diritto alla determinazione del trattamento previdenziale delle controparti avvenisse nei limiti dei redditi corrispondenti alla contribuzione effettivamente versata.
Espone che la Corte d’appello di Milano avrebbe errato ad affermare che non vi sarebbe stata alcuna omissione contributiva di controparte.
Il secondo e quarto motivo possono essere trattati congiuntamente, data la loro intima connessione, e sono fondati.
Occorre, in primo luogo, esaminare il tema dell’omissione contributiva, ovvero dell’inadempimento della obbligazione contributiva per la parte corrispondente alla differenza tra la rivalutazione dei redditi dovuta (indice medio ISTAT del 1980) e la rivalutazione invece applicata dalla RAGIONE_SOCIALE (indice medio ISTAT del 1981). Non è condivisibile l’idea per cui la rivalutazione sia una componente per così dire neutra, ovvero irrilevante ai fini della modulazione dell’obbligazione contributiva. Essa, al contrario, è parte integrante del reddito, del quale condivide la stessa natura, con la conseguenza che, ai fini dell’obbligo contributivo, come ai fini del calcolo della prestazione secondo il metodo retributivo, è determinante non il reddito dichiarato, ma il reddito dichiarato ai fini IRPEF rivalutato. Che la rivalutazione (dei redditi) incida sul quantum contributivo, nel senso che quest’ultimo ascenda a maggior importo dovuto in ragione del meccanismo rivalutativo, emerge chiaramente dall’impianto della legge n. 576. Ai sensi dell’art. 16, comma 4, infatti, il contributo soggettivo minimo (art. 10, comma 2) è aumentato periodicamente proprio in relazione alla variazione dell’indice ISTAT. Per il contributo soggettivo di cui all’art. 10, comma 1, legge n. 576 del 1980, invece, l’incidenza della rivalutazione sull’obbligo contributivo opera a mezzo della rivalutazione del reddito: rivalutando anno per anno il reddito su cui calcolare l’aliquota del contributo soggettivo (art. 16, comma 4, nel suo riferimento al limi te di reddito di cui all’art. 10, comma 1), viene aumentato di anno in anno l’importo del contributo (in percentuale del 10% sul maggior montante reddituale a seguito di rivalutazione).
Dunque, essendo stati versati contributi ex art. 10, comma 1, lett. a), inferiori a quelli dovuti, poiché parametrati nell’aliquota ad un montante reddituale rivalutato in misura inferiore rispetto a quella da considerare (18,7%, anziché 21,1%), si deve concludere per l’esistenza di una violazione dell’obbligazione contributiva (Cass. n.22836/2025; Cass. n.23312/2025; Cass. n.24925/2025). Ovviamente, tanto rileva in questa sede non ai fini del profilo sanzionatorio (art.
18), bensì del rapporto tra effettiva contribuzione (art. 2) e misura della pensione, come oltre si dirà.
L’inadempimento nemmeno può essere ‘sanato’ dal fatto che siano stati poi pagati i contributi di cui all’art. 10, comma 1, lett. b), nonché il contributo integrativo dell’art. 11. Nel caso di specie, rileva l’inadempimento all’obbligazione contributiva di cui alla sola lettera a) dell’art. 10, essendo tale obbligazione l’unica rilevante ai fini del diritto e della misura della pensione di vecchiaia (si veda l’art. 2, comma 2, che richiama la sola lettera a) dell’art. 10, comma 1).
La difesa di parte controricorrente argomenta, poi, che inadempimento non vi sarebbe in quanto, all’epoca, fu pagato il contributo come richiesto dalla RAGIONE_SOCIALE, sulla base della rivalutazione dei redditi operata dalla RAGIONE_SOCIALE stessa, sicché non vi sarebbe stato un errore addebitabile, stante la buona fede.
Premesso che la giurisprudenza di questa Suprema Corte ha affermato che l’errore circa la convinzione di non essere obbligati (nel caso di specie, la convinzione di essere obbligati per una minore misura dell’obbligo contributivo), può valere come causa non imputabile di inadempimento ex art. 1218 c.c., ove si tratti di errore non vincibile con la dovuta diligenza (Cass. n.1003/1986; Cass. n.2586/1986; Cass. n.7729/2004), va detto che questo profilo attiene non all’inadempimento, il quale sussiste come violazione dell’obbligazione contributiva (adempiuta solo parzialmente), bensì alla sua non imputabilità, ai sensi dell’art. 1218 c.c.
Vertendosi in tema di responsabilità contrattuale, al creditore basta allegare l’inadempimento (v. Cass., SU, n.13533/2001), mentre incombe sul debitore dimostrare di avere fatto tutto il possibile per adempiere. Il tema della prova liberatoria, non indagato dalla sentenza impugnata, andrà, quindi, valutato in sede di giudizio di rinvio.
Detto che vi fu inadempimento all’obbligazione contributiva, occorre stabilire se tale inadempimento (parziale) incida sulla misura della pensione.
Ai sensi dell’art. 2, comma 1, legge n. 576 del 1980, la pensione di vecchiaia è pari, ‘per ogni anno di effettiva iscrizione e contribuzione’, all’1,75% della media dei più elevati dieci redditi professionali dichiarati dall’iscritto ai fini
dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF), risultanti dalle dichiarazioni relative ai quindici anni solari anteriori alla maturazione del diritto a pensione.
Questa Corte (v. Cass. n.5672/2012, Cass. n.7621/2015, Cass. n.15643/2018, Cass. n.30421/2019, Cass. n.694/2021) ha avuto modo di affermare, in relazione all’ ‘effettiva contribuzione’ dell’art. 2, che essa non significa ‘integrale’, con la conseguenza che, sebbene parziale, essa serve a fare computare l’annualità di anzianità contributiva. Si è aggiunto, in tali pronunce, che la pensione di vecchiaia si ‘commisura’ alla contribuzione effettiva, e ssendo escluso ogni automatismo delle prestazioni in assenza di contribuzione, principio che vige per il lavoro dipendente e che resta inapplicabile alla RAGIONE_SOCIALE dei liberi professionisti. In particolare, è stato specificato dalla sentenza n. 5672/2012 che gli anni non coperti da integrale contribuzione concorrono a formare l’anzianità contributiva e vanno inseriti nel calcolo della pensione e che il calcolo della pensione si compie ‘prendendo come base il reddito sul quale è stato effettivamente paga to il contributo’ (in questo senso, cfr. anche Cass. n.26962/2013). Ancora, la sentenza n. 15643/2018, relativa alla pensione di vecchiaia dei geometri incentrata sull’art. 2 legge n. 773 del 1982, che ha un testo identico a quello dell’art. 2 legge n. 576 del 1980, per quanto qui di rilievo (‘per ogni anno di effettiva iscrizione e contribuzione’), ha affermato che l’aggettivo ‘effettiva’ «introduce un parametro di commisurazione della pensione alla contribuzione ‘effettivamente’ versata».
Dal citato orientamento emerge il principio per cui il reddito da considerare ai fini del calcolo della pensione, e dichiarato ai fini IRPEF, è solo quello su cui si sono versati ‘effettivamente’ i contributi (Cass. n.22836/2025; Cass. n.23312/2025; Cass. n.24925/2025). Tale conclusione non rinnega il metodo di calcolo retributivo, poiché la pensione si calcola pur sempre prendendo a base la media dei miglior redditi, ma con il limite per cui – non vigendo il principio dell’automatismo della prestazione pen sionistica -la misura del reddito denunciato ai fini IRPEF è da rapportare ai contributi effettivamente versati. Se, come nel caso di specie, sono stati versati contributi in misura parziale in ragione di una minore percentuale di rivalutazione del reddito, tale minore percentuale
è quella da considerare ai fini pensionistici. Né, così facendo, viene meno il principio di solidarietà che connota la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e si trasforma questa in una RAGIONE_SOCIALE mutualistica mediante introduzione di una diretta corrispondenza, in termini di corrispettività sinallagmatica, tra la contribuzione e la prestazione (pensione di vecchiaia) (sul punto v. Corte cost. n. 67/2018).
Premesso che nemmeno riguardo alle pensioni calcolate secondo il metodo contributivo, dove più stringente è il rapporto tra contributi e ammontare della prestazione, si è mai sostenuto che esso introduca un meccanismo di stretta sinallagmaticità tale da fare perdere il connotato solidaristico al sistema pensionistico, nel caso in esame la pensione continua a essere rapportata non in via sinallagmatica alla contribuzione, poiché, invece, modulata su un parametro indipendente, quale quello del reddito. Inoltre, la presenza di contributi dovuti e, tuttavia, correlati non alla prestazione, ma intesi a finanziare la solidarietà di categoria quali sono il contributo soggettivo, di cui all’art. 10, comma 2, lett. b), e il contributo integrativo dell’art. 11 – conferma il carattere non mutualistico della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
Piuttosto, come già anticipato, è in ragione dell’assenza della regola di automaticità delle prestazioni che si giustifica la conclusione per cui, inadempiuto (in parte) l’obbligo contributivo, non v’è diritto ad una prestazione che non sia sorretta nel suo quantum dall’adempimento di tale obbligo, dovendo la contribuzione essere sempre ‘effettivamente’ versata (Cass. n.22836/2025 cit.; n.Cass. 23312/2025 cit.; Cass. n.24925/2025 cit.).
Pare opportuno aggiungere, infine, che proprio l’assenza della regola di automaticità delle prestazioni dà ragione dell’irrilevanza della maturata prescrizione: il fatto che la RAGIONE_SOCIALE abbia lasciato prescrivere il proprio credito contributivo non dà, comunque, diritto alla prestazione pensionistica maggiorata nel quantum , allo stesso modo per cui, non operando più l’art. 2116 c.c. una volta maturata la prescrizione contributiva entro il sistema dell’AGO, il lavoratore non ha diritto ad ottenere la prestazion e dall’RAGIONE_SOCIALE quanto, piuttosto, il risarcimento dei danni.
Con il terzo motivo parte ricorrente contesta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 10 e 16 della legge n. 576 del 1980 e dell’art. 2033 c.c. e la violazione del Regolamento per il recupero di anni resi inefficaci a causa di parziale versamento di contributi per i quali sia intervenuta prescrizione.
La censura è inammissibile, ove deduce la violazione del Regolamento della RAGIONE_SOCIALE adottato il 16.12.2005, e approvato nel 2006. Secondo costante orientamento di questa Suprema Corte, i Regolamenti adottati dalla RAGIONE_SOCIALE allo scopo di disciplinare il rapporto contributivo degli iscritti e le prestazioni previdenziali e assistenziali da corrispondere non si configurano come previsioni regolamentari in senso proprio, ma come fonti negoziali, nonostante la successiva approvazione con decreto ministeriale. Il sindacato di questa Corte di cassazione è, dunque, limitato all’ipotesi in cui venga dedotta una violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 ss. c.c. (Cass. n.8592/2025; Cass. n.27541/2020) che, però, non sono richiamati in maniera specifica.
D’altronde, il ricorso assume, nella sostanza, il Regolamento come norma direttamente violata.
Il motivo è, poi, infondato quando prospetta che, anche senza l’applicazione del Regolamento, l’azzeramento dell’annualità di anzianità assicurativa per il caso di mancato pagamento integrale della contribuzione sarebbe desumibile dall’art. 2 legge n. 576 del 1980.
Contro tale esegesi dell’art. 2 legge n. 576 del 1980, come già ricordato, si è più volte pronunciata questa Corte (Cass. n.5672/2012; Cass. n.7621/2015; Cass. n.15643/2018; Cass. n.30421/2019; Cass. n.694/2021), affermando che la contribuzione solo parziale non può impedire di conteggiare per intero l’annualità ai fini dell’anzianità contributiva.
Dalle considerazioni svolte, emerge la non accoglibilità della richiesta dei controricorrenti di rimessione alle Sezioni Unite della presente controversia.
In particolare, si osserva come non vi sia un contrasto con la giurisprudenza indicata nella loro memoria, della quale la presente ordinanza e i provvedimenti più recenti sono mera applicazione.
Il ricorso è accolto, quanto al secondo e al quarto motivo, rigettati il primo e il terzo, per quanto di ragione.
La sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, la quale deciderà la causa nel merito, anche in ordine alle spese di legittimità, applicando i seguenti principi di diritto:
‘In tema di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, l’entità dei redditi da assumere per il calcolo della media di riferimento, ai fini delle pensioni di vecchiaia maturate dal 1° gennaio 1982, va rivalutata a partire dall’anno di entrata in vigore della legge n. 576 del 1980 , ai sensi dell’art. 27, comma 4, della stessa legge, e, quindi, dal 1980, applicando l’indice medio annuo ISTAT dell’anno 1980, relativo alla svalutazione intercorsa tra il 1979 e il 1980′;
‘In tema di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, i redditi da prendere a riferimento per il calcolo della pensione di vecchiaia, ai sensi dell’art. 2 della legge n. 576 del 1980, sono quelli coperti da contribuzione effettivamente versata sicché, in caso di applicazione su tali redditi di un coefficiente di rivalutazione ISTAT inferiore a quello dovuto, con corrispondente minore contribuzione versata ai sensi degli artt. 10 e 18, comma 4, della stessa legge, la pensione di vecchiaia va determinata prendendo a riferimento i redditi rivalutati secondo il minor coefficiente applicato, anziché secondo quello maggiore dovuto’.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo e il quarto motivo di ricorso, rigettati gli altri per quanto di ragione; cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, la quale deciderà la causa nel merito, anche in ordine alle spese di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione Civile, il 24 ottobre 2025.
La Presidente NOME COGNOME