Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23487 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 23487 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/08/2025
SENTENZA
sul ricorso 12023-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE – RAGIONE_SOCIALE FORENSERAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME COGNOME rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 232/2022 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 22/11/2022 R.G.N. 119/2022;
Oggetto
R.G.N. 12023/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 14/05/2025
PU
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l’avvocato NOME COGNOME uditi gli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Genova confermava la pronuncia di primo grado che aveva accolto la domanda dei professionisti attuali intimati volta alla riliquidazione della pensione di vecchiaia, previa rivalutazione dei propri redditi a partire dal 1980 secondo dell’indice medio annuo ISTAT dell’anno 1980, relativo alla svalutazione intercorsa tra il 1979 e il 1980 (pari al 21,1%), anziché a partire dal 1981 secondo dell’indice medio annuo ISTAT dell’anno 1981, relativo alla svalutazione intercorsa tra il 1980 e il 1981 (pari al 18,7%), in conformità a quanto operato dalla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense.
Riteneva la Corte che l’art.27, ult. co. l. n.576/80 si applicasse anche alle pensioni maturate successivamente al 1980; né la riliquidazione poteva essere negata per il fatto che non fosse stato pagato il maggior importo della contribuzione parametrato alla rivalutazione decorrente dal 1980 anziché dal 1981. Il Regolamento della Cassa, che vieta il computo, ai fini del calcolo della pensione, degli anni di iscrizione nei quali vi sia stata una parziale omissione contributiva -precisava la Corte -non risultava applicabile retroattivamente, siccome approvato nel 2006. La Corte respingeva, infine, la domanda della Cassa di condanna al pagamento delle differenze contributive dovute
in relazione al maggior indice di rivalutazione riconosciuto al pensionato.
Avverso la sentenza, la Cassa ricorre per tre motivi, illustrati da memoria.
NOME COGNOME NOME COGNOME resistono con controricorso, illustrato da memoria.
A seguito di infruttuosa trattazione in adunanza camerale, la causa era rinviata all’odierna udienza, in vista della quale le parti depositavano ulteriori memorie.
L’ufficio della Procura Generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, la Cassa deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 10, 15, 16, 26, 27 l. n.576/80 e 2116 c.c., per non avere la Corte ritenuto che la rivalutazione dei redditi decorresse dal 1980.
Con i successivi motivi, svolti in via subordinata, la Cassa deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 10, 11, 19 l. n.576/80, dell’art. 3, co.9 l. n.335/95, per avere la Corte respinto la domanda della Cassa di pagamento dei contributi non pagati, negando che si trattasse di omissione contributiva e per avere riliquidato il trattamento pensionistico nonostante non fossero stati versati i maggiori contributi dovuti a seguito di rivalutazione decorrente dal 1980.
Preliminarmente vanno respinte le eccezioni di inammissibilità del ricorso.
Per un verso, il ricorso è sufficientemente specifico nell’indicare con chiarezza le censure addotte alla sentenza impugnata e le ragioni per le quali essa sarebbe errata. Per altro verso, il richiamo all’art.360 -bis, n.1 c.p.c. appare inconferente posto che vari precedenti di questa Corte sul tema sono
intervenuti successivamente alla proposizione del ricorso, sicché può dirsi che l’orientamento di legittimità in materia si è formato solo successivamente al ricorso.
Il primo motivo è infondato.
In fattispecie analoghe alla presente, in cui era chiesta la rivalutazione del trattamento pensionistico di vecchiaia ai sensi dell’art.2 l. n.576/80 in ragione di una diversa e maggiore rivalutazione dei redditi (artt.15 e 16, co.1), questa Corte (Cass.9698/10, Cass.16585/23, Cass.27609/24) ha affermato che la rivalutazione dei redditi opera in conformità al disposto dell’art.27, co.4, ovvero secondo l’indice medio annuo relativo all’anno di entrata in vigore della presente legge, cioè l’anno 1980, e d unque sulla base della variazione dell’indice ISTAT registrata nell’anno precedente, ovvero nel 1979.
Le citate pronunce poggiano tutte sul rilievo contenuto nella sentenza resa a sezioni unite da questa Corte (v. 7281/04) per cui, diversamente da quanto ritiene la Cassa, l’art.27, co.4 è norma non di diritto transitorio, ma che detta un criterio generale, applicabile non solo alle pensioni liquidate prima dell’entrata in vigore della l. n.576/80, bensì anche a quelle liquidate dopo. In particolare, il fatto che la legge si applichi alle pensioni di vecchiaia maturate dal primo gennaio del secondo anno successivo alla sua entrata in vigore, ovvero dal 1982 (art.26, co.1), non toglie che, ai fini del loro calcolo secondo il sistema retributivo, la media dei dieci migliori redditi computati sui quindici anni solari anteriori alla maturazione del diritto a pensione opera previa rivalutazione di detti redditi a partire dall’anno di entrata della legge, e quindi dal 1980.
Si deve qui aggiungere che tale interpretazione non è smentita dalla sentenza di questa Corte a sezioni unite n.7281/04, nella parte in cui assume invece a riferimento
l’indice ISTAT del 1981 relativo al 1980. Tale sentenza ha riguardato infatti la diversa tematica della rivalutazione delle pensioni, ai sensi dell’art.16, co.1, non già la rivalutazione dei redditi (art.15), su cui calcolare l’ammontare della pensione secondo il sistema retributivo. Poiché le pensioni regolate dalla l. n.576/80 sono solo quelle che maturano dal 1° gennaio 1982, le sezioni unite hanno affermato che la rivalutazione della pensione avviene sulla base dell’indice del 1981 relativo al 1980 (ovv ero dell’indice medio annuo relativo all’anno di entrata in vigore della legge), e quindi dell’indice precedente all’anno di prima erogazione, che tiene conto della svalutazione intervenuta nell’anno ancora precedente; in particolare in detta sentenza viene spiegato che: facendo riferimento al meccanismo di rivalutazione della pensione, se una pensione maturata nel corso di un qualsiasi anno si rivaluta già l’anno immediatamente successivo, ciò comporta necessariamente che si prenda come base di riferimento per operare la rivalutazione la delibera del consiglio di amministrazione della Cassa emessa lo stesso anno del pensionamento, che necessariamente farà riferimento alla variazione intervenuta nel corso dell’anno precedente.
Nel caso di specie si tratta non di rivalutare le pensioni a far tempo dal primo anno successivo alla maturazione del diritto, previa delibera del Consiglio di amministrazione della Cassa (commi 1 e 3 dell’art.16), ma di rivalutare i redditi, prima della maturazione del diritto a pensione e già a partire dal 1980, anno di entrata in vigore della legge, per i redditi maturati a partire dal 1980.
Conferma della presente lettura degli artt.15, 26 e 27 l. n.576/80 si rinviene nel secondo comma dell’art.27, in base al quale la prima tabella di cui all’art.15, co.2 ovvero la tabella
dei coefficienti di rivalutazione dei redditi redatta dal Consiglio di amministrazione della Cassa entro il 31 maggio di ogni anno sulla base dei dati ISTAT -è redatta entro quattro mesi dall’entrata in vigore della presente legge. La prima tabella doveva essere redatta entro 4 mesi decorrenti dal 12.10.80, ovvero entro il 12.2.81, e quindi essa non poteva che prendere a riferimento l’indice medio ISTAT registrato nel 1980 sulla base della svalutazione intercorsa tra il 1979 e il 1980, non certo l’indice I STAT del 1981, il quale, essendo un indice medio annuo riferito all’intero anno solare, va assunto a riferimento solo al termine dell’anno 1981, anziché già dal 12.2.81.
Non osta a quanto fin qui detto il d.m. 30.9.82 adottato su delibera del Consiglio di amministrazione della Cassa ex art.16, co.1, il quale fa decorrere la rivalutazione, sia delle pensioni che dei redditi, dal 1981. La delibera della Cassa, invero, ha valore meramente ricognitivo della variazione ISTAT registrata nell’anno precedente e non può incidere sul criterio normativo primario posto dall’art.27, co.4, in tema di decorrenza della prima rivalutazione. Come affermato da questa Corte nelle citate pronunce nn.9698/10, e 16585/23, trattandosi di atto regolamentare, esso ben può essere disapplicato ove contrario alla norma primaria, ovvero l’art.27, co.4 l. n.576.
Il primo motivo di ricorso va dunque respinto, essendosi la Corte d’appello attenuta al seguente principio di diritto: ‘In tema di previdenza forense, l’entità dei redditi da assumere per il calcolo della media di riferimento ai fini delle pensioni di vecchiaia maturate dal 1° gennaio 1982, va rivalutata a partire dall’anno di entrata in vigore della legge n.576/80 ai sensi dell’art.27, co.4 della stessa legge, e quindi dal 1980,
applicando l’indice medio annuo ISTAT dell’anno 1980, relativo alla svalutazione intercorsa tra il 1979 e il 1980′.
Il secondo e terzo motivo possono essere trattati congiuntamente data la loro intima connessione, e sono fondati.
Occorre in primo luogo esaminare il tema dell’omissione contributiva, ovvero dell’inadempimento dell’obbligazione contributiva per la parte corrispondente alla differenza tra la rivalutazione dei redditi dovuta (indice medio ISTAT del 1980) e la rivalutazione invece applicata dalla Cassa (indice medio ISTAT del 1981).
Non è condivisibile l’idea per cui la rivalutazione sia una componente per così dire neutra, ovvero irrilevante ai fini della modulazione dell’obbligazione contributiva. Essa, al contrario, è parte integrante del reddito, di cui condivide la stessa natura, con la conseguenza che, ai fini dell’obbligo contributivo, così come ai fini del calcolo della prestazione secondo il metodo retributivo, importa non il reddito dichiarato ma il reddito dichiarato ai fini IRPEF rivalutato.
Che la rivalutazione (dei redditi) incida sul quantum contributivo, nel senso che quest’ultimo ascenda a maggior importo dovuto in ragione del meccanismo rivalutativo, emerge chiaramente dall’impianto della legge n.576/80. Ai sensi dell’art.16, co.4, infa tti, il contributo soggettivo minimo (art.10, co.2) è aumentato periodicamente proprio in relazione alla variazione dell’indice ISTAT. Per il contributo soggettivo di cui all’art.10, co.1 l. n.576/80, invece, l’incidenza della rivalutazione sull’obbligo contributivo opera a mezzo della rivalutazione del reddito: rivalutando anno per anno il reddito su cui calcolare l’aliquota del contributo soggettivo (art.16, co.4 nel suo riferimento al limite di reddito di cui all’art.10, co.1), viene aumentato di anno in anno l’importo del contributo (in
percentuale del 10% sul maggior montante reddituale a seguito di rivalutazione).
Dunque, essendo stati versati contributi ex art.10, co.1, lett. a) inferiori a quelli dovuti, poiché parametrati nell’aliquota ad un montante reddituale rivalutato in misura inferiore rispetto a quella da considerare (18,7% anziché 21,1%), si deve conclud ere per l’esistenza di una violazione dell’obbligazione contributiva. Ovviamente tanto rileva in questa sede non ai fini del profilo sanzionatorio (art.18), bensì ai fini del rapporto tra effettiva contribuzione (art.2) e misura della pensione, come oltre si dirà.
L’inadempimento nemmeno può essere ‘sanato’ per il fatto che sono stati, poi, pagati i contributi di cui all’art.10, co.1, lett. b), nonché il contributo integrativo dell’art.11. Nel caso di specie rileva l’inadempimento all’obbligazione contributiva di c ui alla sola lettera a) dell’art.10, essendo tale obbligazione l’unica rilevante ai fini del diritto e della misura della pensione di vecchiaia (v. l’art.2, co.2, che richiama la sola lettera a) dell’art.10, co.1).
La difesa di parte controricorrente argomenta poi che inadempimento non vi sarebbe in quanto, all’epoca, fu pagato il contributo come richiesto dalla Cassa, sulla base della rivalutazione dei redditi operata dalla stessa, sicché non vi fu errore addebitabile, stante la buona fede.
Premesso che la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che l’errore circa la convinzione di non essere obbligati (nel caso di specie, la convinzione di essere obbligati per una minor misura dell’obbligo contributivo), può valere come causa non imputabile di inadempimento ex art.1218 c.c. ove si tratti di errore non vincibile con la dovuta diligenza (Cass.1003/86, Cass.2586/86, Cass.7729/04), va detto che tale
profilo attiene non all’inadempimento, il quale sussiste come violazione dell’obbligazione contributiva (adempiuta solo parzialmente), bensì alla sua non imputabilità, ai sensi dell’art.1218 c.c.
Vertendosi in tema di responsabilità contrattuale, al creditore basta allegare l’inadempimento (v. Cass., Sez. Un., n.13533 del 2001), mentre incombe sul debitore dimostrare di aver fatto tutto il possibile per adempiere.
Il tema della prova liberatoria, non indagato dalla sentenza impugnata, quindi dovrà essere valutato in sede di giudizio di rinvio.
Premesso che vi fu inadempimento dell’obbligazione contributiva, occorre stabilire se tale inadempimento (parziale) incida sulla misura della pensione.
Ai sensi dell’art. 2, co.1 l. n.576/80, la pensione di vecchiaia è pari, ‘per ogni anno di effettiva iscrizione e contribuzione’, all’1,75% della media dei più elevati dieci redditi professionali dichiarati dall’iscritto ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF), risultanti dalle dichiarazioni relative ai quindici anni solari anteriori alla maturazione del diritto a pensione.
Questa Corte (v. Cass.5672/12, Cass.7621/15, Cass.15643/18, Cass.30421/19, Cass.694/21) ha avuto modo di affermare, in relazione all”effettiva contribuzione’ dell’art.2, che essa non ha il significato di ‘integrale’, con la conseguenza che, sebbene parzi ale, essa serve a far computare l’annualità di anzianità contributiva. Si è aggiunto in tali pronunce che la pensione di vecchiaia si ‘commisura’ alla contribuzione effettiva, essendo escluso ogni automatismo delle prestazioni in assenza di contribuzione, principio che vige per il lavoro dipendente e che resta inapplicabile alla previdenza dei liberi
professionisti. In particolare è stato specificato nella sentenza n.5672/12, che gli anni non coperti da integrale contribuzione concorrono a formare l’anzianità contributiva e vanno inseriti nel calcolo della pensione, e che il calcolo della pensione si fa ‘prendendo come base il reddito sul quale è stato effettivamente pagato il contributo’ Ancora, la sentenza n.15643/18, relativa alla pensione di vecchiaia dei geometri, incentrata sull’art.2 l. n.773/82, che ha un testo identico a quello dell’art.2 l. n.576/80, per quanto qui di rilievo (‘per ogni anno di effettiva iscrizione e contribuzione’), ha affermato che l’aggettivo effettiva ‘introduce un parametro di commisurazione della pensione alla contribuzione “effettivamente” versata’.
34. Dal citato orientamento emerge il principio per cui il reddito da considerare ai fini del calcolo della pensione, e dichiarato ai fini IRPEF, è solo quello su cui si sono versati ‘effettivamente’ i contributi. Tale conclusione non rinnega il metodo di calcolo retributivo, poiché la pensione si calcola pur sempre prendendo a base la media dei miglior redditi, ma con il limite per cui -non vigendo il principio dell’automatismo della prestazione pensionistica -la misura del reddito denunciato ai fini IRPEF è da rapportare ai contributi effettivamente versati. Se, come nel caso di specie, sono stati versati contributi in misura parziale in ragione di una minor percentuale di rivalutazione del reddito, tale minor percentuale è quella da considerare ai fini pensionistici. Né, così facendo, viene meno il principio di solidarietà che connota la previdenza forense e trasforma questa in una previdenza mutualistica mediante introduzione di una diretta corrispondenza, in termini di corrispettività sinallagmatica, tra la contribuzione e la prestazione (pensione di vecchiaia) (sul punto v. Corte Cost. n.67/18). Premesso che nemmeno riguardo alle pensioni
calcolate secondo il metodo contributivo, dove più stringente è il rapporto tra contributi e ammontare della prestazione, si è mai sostenuto che esso introduca un meccanismo di stratta sinallagmaticità tale da far perdere il connotato solidaristico al sistema pensionistico, nel caso di specie la pensione continua a essere rapportata non in via sinallagmatica alla contribuzione, poiché invece modulata su un parametro indipendente quale è quello del reddito. Inoltre, la presenza di contributi dovuti e tuttavia correlati non alla prestazione ma intesi a finanziare la solidarietà di categoria -quali sono il contributo soggettivo di cui all’art.10, co.2, lett. b) e il contributo integrativo dell’art.11 -conferma il carattere non mutualistico della previdenza forense.
35. Piuttosto, come già anticipato, è in ragione dell’assenza della regola di automaticità delle prestazioni che si giustifica la conclusione per cui, inadempiuto (in parte) l’obbligo contributivo, non v’è diritto ad una prestazione che non sia sorretta nel s uo quantum dall’adempimento di tale obbligo, dovendo la contribuzione essere sempre ‘effettivamente’ versata.
36. Pare opportuno aggiungere, infine, che proprio l’assenza della regola di automaticità delle prestazioni dà ragione dell’irrilevanza della maturata prescrizione: il fatto che la Cassa abbia lasciato prescrivere il proprio credito contributivo non dà comunque diritto alla prestazione pensionistica maggiorata nel quantum, allo stesso modo per cui, non operando più l’art.2116 c.c. una volta maturata la prescrizione contributiva entro il sistema dell’AGO, il lavoratore non ha comunque diritto ad ottenere la prestazione dall’Inps, quanto piuttosto il risarcimento dei danni.
La sentenza va dunque cassata in accoglimento del secondo e terzo motivo, con rinvio alla Corte d’appello di Genova, in diversa composizione, per gli accertamenti conseguenti all’applicazione del seguente principio di diritto: ‘In tema di previdenza forense, i redditi da prendere a riferimento per il calcolo della pensione di vecchiaia, ai sensi dell’art.2 l. n.576/80, sono quelli coperti da contribuzione ‘effettivamente versata’, sicché, in caso di applicazione su tali redditi di un coefficiente di rivalutazione ISTAT inferiore a quello dovuto, con corrispondente minor contribuzione versata ai sensi degli artt.10 e 18, co.4, la pensione di vecchiaia va calcolata prendendo a riferimento i redditi rivalutati secondo il minor coefficiente applicato, anziché secondo quello maggiore dovuto’.
38. In conclusione, vanno accolti il secondo e terzo motivo di ricorso, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Corte d’appello di Genova, in diversa composizione, anche per le spese di lite del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo e terzo motivo di ricorso e, rigettato il primo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti; rinvia alla Corte d’appello di Genova, in diversa composizione, anche per le spese di lite del presente giudizio di cassazione.
Roma, deciso nella camera di consiglio del 14 maggio 2025
Il Consigliere estensore La Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME