Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 24444 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 24444 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/09/2025
SENTENZA
sul ricorso 21500-2024 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE – RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 127/2023 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 29/03/2024 R.G.N. 69/2023; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
Rivalutazione redditi da porre a base della pensione
R.G.N. 21500/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 14/05/2025
PU
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l’avvocato NOME COGNOME uditi gli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte di appello di Trieste ha confermato la sentenza del Tribunale di Udine che aveva accolto la domanda proposta da NOME COGNOME nei confronti della Cassa nazionale di previdenza e Assistenza Forense la quale aveva applicato, a partire dal 1.1.1983, ai redditi per la determinazione del tetto pensionabile il coefficiente di rivalutazione del 18,7% – sebbene questi dovessero invece essere rivalutati dal 1980 sulla base dei coefficienti e degli indici del periodo 1979/1980 nella misura del 21,1 % -con rivalutazione inferiore all’indice ISTAT e conseguente liquidazione della pensione di vecchiaia in misura inferiore a quella dovuta.
1.1. La Corte di merito ha escluso la prescrittibilità del diritto alla pensione e nel merito ha ritenuto che le altre critiche mosse alla sentenza di primo grado fossero infondate.
1.2. Specificatamente ha ritenuto che – accertato il diritto alla rideterminazione del tetto sulla base del quale calcolare la pensione nel senso prospettato dall’assicurato – le annualità dovevano essere interamente considerate in disparte l’avvenuto integral e versamento dei relativi contributi che comunque non erano ulteriormente dovuti, a integrazione della provvista, in quanto l’omissione contributiva era dipendente dall’errata interpretazione data dalla Cassa alla normativa in esame e tenuto conto del fatto che i contributi erano prescritti e perciò non potevano essere più richiesti.
1.3. Ha ritenuto che il Regolamento del 2006, poi modificato nel 2011 – che esclude che una volta intervenuta la prescrizione i contributi possano essere pagati e comunque richiesti divenendo inefficaci – per il suo carattere intrinsecamente normativo si applicasse solo dalla data di entrata in vigore e non avesse carattere retroattivo.
1.4. Ha osservato ancora che la sanzione dell’inefficacia può derivare solo da un denunciato e accertato inadempimento dell’iscritto e non può operare ex post annullando un’annualità allora ritenuta regolare. Per tale ragione ha confermato la reiezione della domanda riconvenzionale della Cassa tesa al recupero della contribuzione omessa.
1.5. Ha ricordato poi che la pensione deve essere calcolata sulla base del reddito dichiarato e che l’adeguamento di tale reddito, per effetto del meccanismo di rivalutazione previsto dalla citata legge, vale a conservare il valore di qualcosa per cui i contributi sono stati già versati.
1.6. Ha evidenziato che per aversi omissione contributiva sarebbe stato necessario che la Cassa avesse proceduto ad una variazione degli scaglioni di versamento dei contributi, cosa che non è avvenuta. In conclusione, ha escluso che potesse essere ravvisabile una qualsiasi omissione contributiva.
1.7. In ultimo ha ricordato che a norma dell’art. 15 della citata legge n. 576 i redditi utili da utilizzare come base di calcolo della pensione devono essere rivalutati in base all’andamento dell’indice ISTAT e, in base al disposto dell’art. 16, sono aumentati in proporzione alle variazioni annue, stabilite con delibera del Consiglio di amministrazione e decorrenti dal 1° gennaio dell’ann o successivo alla sua adozione.
1.8. Ha ritenuto poi che, con riguardo alla prima applicazione dell’art. 16 , l’art. 27 u.c. della citata legge 576 del 1980 dispone
che si debba fare riferimento all’indice medio annuo relativo all’anno di entrata in vigore della legge stessa.
Per la Cassazione della sentenza ha proposto ricorso la Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense con tre motivi illustrati da memoria. Ha resistito con controricorso NOME COGNOME che ha depositato anche memoria illustrativa.
2.1. L’ ufficio della Procura Generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso.
2.2. All’esito della camera di consiglio, il collegio si è riservato il deposito della sentenza nel termine di 90 giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è denunciata, in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 15, 16 e 27 della legge n. 576 del 1980 e si contesta l’interpretazione datane dalla Corte d’appello, che ha ritenuto di applicare la rivalutazione dei redditi professionali ‘pensionabili’ nel sistema previdenziale forense violando il principio di corrispondenza tra aumento delle pensioni e aumento delle contribuzioni.
1.1. Con la censura si deduce che la Corte sarebbe incorsa nella violazione delle norme citate per avere ritenuto che la misura del coefficiente di rivalutazione da applicare all’entrata in vigore della legge n. 576 del 1980 ai redditi utili per la determinazione della pensione sia quella del 21,1% (indice 1979-1980) e non quella ritenuta dalla Cassa del 18,7% (indice del 1981). Inoltre, si ritiene che la decorrenza dell’adeguamento debba essere fissata al 1.1.1983.
1.2. Si sostiene che tali conclusioni non solo comportano importanti riflessi economici sul bilancio della Cassa mettendone a repentaglio la sua stessa tenuta ma soprattutto muovono
dall’errata interpretazione delle norme richiamate atteso che l’art. 27 comma 4 della legge n. 576 del 1980 non può avere una portata generale essendo piuttosto una norma a carattere eccezionale e transitorio.
Con il secondo motivo di ricorso è denunciata, in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 10, 16 e 18 della legge n. 576 del 1980; dell’art. 2033 c.c. ; del ‘ Regolamento per il recupero di anni resi inefficaci a causa di parziale versamento di contributi per i quali sia intervenuta prescrizione ‘ ; dell’art. 4 del Regolamento prestazioni previdenziali della Cassa. Si contestano in particolare le statuizioni della sentenza concernenti l’effetto della (pur denegata) ulteriore rivalutazione dei redditi professionali disposta dalla Corte d’appello, rilevando che tale rivalutazione fa sorgere un debito previdenziale non versa to da parte dell’odierna resistente, debito che sorge automaticamente, senza che sia necessario uno specifico accertamento della Cassa, e che comporta l’inefficacia di numerose annualità ai fini del conseguimento del requisito contributivo per l’accesso al la pensione e della misura del trattamento. Di conseguenza, si censura il rigetto da parte della Corte d’appello delle domande riconvenzionali proposte dalla Cassa in prime cure e coltivate in appello, con cui era stato chiesto di accertare l’invalidità di alcune annualità di iscrizione alla Cassa ai fini della determinazione del trattamento pensionistico e la condanna al pagamento dei contributi non prescritti ed alla restituzione dell’indebito previdenziale.
In via ulteriormente subordinata è poi denunciata la v iolazione e falsa applicazione dell’art. 2 della l. n. 576 del 1980 in relazione all’ art. 360 primo comma n. 3 c.p.c. e si contesta la statuizione della sentenza gravata in cui si è ritenuto che
l’odierno resistente ha diritto alla pensione calcolata sulla base dei redditi professionali ulteriormente rivalutati e non sui redditi professionali per i quali è stata effettivamente versata la corrispettiva contribuzione previdenziale.
Il primo motivo di ricorso è infondato e deve essere rigettato.
4.1. In fattispecie analoghe alla presente, dove era chiesta la rivalutazione del trattamento pensionistico di vecchiaia ai sensi dell’art. 2 della legge n.576 del 1980 in ragione di una diversa e maggiore rivalutazione dei redditi (artt.15 e 16, co.1), questa Corte (Cass.9698/10, Cass.16585/23, Cass.27609/24) ha affermato che la rivalutazione dei redditi, opera in conformità al disposto dell’art.27, co.4, ovvero secondo l’indice medio annuo relativo all’anno di entrata in vigore della presente legge, cioè l’anno 1980, e dunque sulla base della variazione dell’indice IS TAT registrata nell’anno precedente, ovvero nel 1979.
4.2. Le citate pronunce poggiano tutte sul rilievo contenuto nella sentenza resa a sezioni unite da questa Corte (v. 7281/04) per cui, diversamente da quanto ritiene la Cassa, l’art.27, co.4 è norma non di diritto transitorio, ma che detta un criterio generale, applicabile non solo alle pensioni liquidate prima dell’entrata in vigore della legge n.576 del 1980, bensì anche a quelle liquidate dopo. In particolare, il fatto che la legge si applichi alle pensioni di vecchiaia maturate dal primo gennaio del secondo anno successivo alla sua entrata in vigore, ovvero dal 1982 (art.26, co.1), non toglie che, ai fini del loro calcolo secondo il sistema retributivo, la media dei dieci migliori redditi computati sui quindici anni solari anteriori alla maturazione del diritto a pensione, opera previa rivalutazione di detti redditi a partire dall’anno di entrata della legge, e quindi dal 1980.
4.3. Si deve qui aggiungere che tale interpretazione non è smentita dalla sentenza di questa Corte a sezioni unite
n.7281/04, nella parte in cui assume invece a riferimento l’indice ISTAT del 1981 relativo al 1980. Tale sentenza ha riguardato infatti la diversa tematica della rivalutazione delle pensioni, ai sensi dell’art.16, co.1, non già la rivalutazione dei redditi (art.15), su cui calcolare l’ammontare della pensione secondo il sistema retributivo. Poiché le pensioni regolate dalla legge n.576 del 1980 sono solo quelle che maturano dal 1° gennaio 1982, le sezioni unite hanno affermato che la rivalutazione della pen sione avviene sulla base dell’indice del 1981 relativo al 1980 (ovvero dell’indice medio annuo relativo all’anno di entrata in vigore della legge), e quindi dell’indice precedente all’anno di prima erogazione, che tiene conto della svalutazione intervenuta nell’anno ancora precedente; in particolare in detta sentenza viene spiegato che: facendo riferimento al meccanismo di rivalutazione della pensione, se una pensione maturata nel corso di un qualsiasi anno si rivaluta già l’anno immediatamente successivo, ciò comporta necessariamente che si prenda come base di riferimento per operare la rivalutazione la delibera del consiglio di amministrazione della Cassa, emessa lo stesso anno del pensionamento, che necessariamente farà riferimento alla variazione interve nuta nel corso dell’anno precedente.
4.4. Nel caso di specie, invece, non si tratta di rivalutare le pensioni a far tempo dal primo anno successivo alla maturazione del diritto, previa delibera del consiglio di amministrazione della Cassa (commi 1 e 3 dell’art.16), ma di rivalutare i redditi, già prima della maturazione del diritto a pensione e già a partire dal 1980, anno di entrata in vigore della legge, per i redditi maturati a partire dal 1980.
4.5. Conferma della presente lettura degli artt.15, 26 e 27 della legge n.576 del 19 80 si rinviene nel secondo comma dell’art.27,
in base al quale la prima tabella di cui all’art.15, co.2 ovvero la tabella dei coefficienti di rivalutazione dei redditi redatta dal consiglio di amministrazione della Cassa entro il 31 maggio di ogni anno sulla base dei dati ISTAT -è redatta entro quattro mesi dall’entrata in vigore della presente legge. La prima tabella deve essere quindi redatta entro 4 mesi decorrenti dal 12.10.80, ovvero entro il 12.2.81, e quindi essa non poteva che prendere a riferimento l’indice medio ISTAT registrato nel 1980 s ulla base della svalutazione intercorsa tra il 1979 e il 1980, non certo l’indice ISTAT del 1981, il quale, essendo un indice medio annuo riferito all’intero anno solare, va assunto a riferimento solo al termine dell’anno 1981, anziché già dal 12.2.81.
4.6. Non osta a quanto fin qui detto il d.m. 30.9.82 adottato su delibera del consiglio di amministrazione della Cassa ex art.16, co.1, il quale fa decorrere la rivalutazione, sia delle pensioni che dei redditi, dal 1981. La delibera della Cassa, invero, ha valore meramente ricognitivo della variazione ISTAT registrata nell’anno precedente, e non può incidere sul criterio normativo primario posto dall’art.27, co.4, in tema di decorrenza della prima rivalutazione. Come affermato da questa Corte nelle citate pronunce nn.9698/10, e 16585/23, trattandosi di atto regolamentare, esso ben può essere disapplicato ove contrario alla norma primaria, ovvero l’art.27, co.4 l. n.576.
4.7. In conclusione la sentenza sul punto deve essere confermata atteso che la Corte d’appello si è attenuta al seguente principio di diritto: ‘ In tema di previdenza forense, l’entità dei redditi da assumere per il calcolo della media di riferimento ai fini delle pensioni di vecchiaia maturate dal 1° gennaio 1982, va rivalutata a partire dall’anno di entrata in vigore della legge n.576/80 ai sensi dell’art.27, co.4 della stessa legge, e quindi dal 1980, applicando l’indice medio annuo ISTAT
dell’anno 1980, relativo alla svalutazione intercorsa tra il 1979 e il 1980 ‘.
Il secondo e il terzo motivo possono essere trattati congiuntamente data la loro intima connessione, e sono fondati nei termini di seguito esposti.
5.1. Occorre in primo luogo esaminare il tema dell’omissione contributiva, ovvero dell’inadempimento dell’obbligazione contributiva per la parte corrispondente alla differenza tra la rivalutazione dei redditi dovuta (indice medio ISTAT del 1980) e la rivalutazione invece applicata dalla Cassa (indice medio ISTAT del 1981).
5.2. Non è condivisibile l’idea per cui la rivalutazione sia una componente per così dire neutra, ovvero irrilevante ai fini della modulazione dell’obbligazione contributiva. Essa, al contrario, è parte integrante del reddito, di cui condivide la stessa natura, con la conseguenza che, ai fini dell’obbligo contributivo, così come ai fini del calcolo della prestazione secondo il metodo retributivo, importa non il reddito dichiarato, ma il reddito dichiarato ai fini IRPEF rivalutato.
5.3. Che la rivalutazione (dei redditi) incida sul quantum contributivo, nel senso che quest’ultimo ascenda a maggior importo dovuto in ragione del meccanismo rivalutativo, emerge chiaramente dall’impianto della legge n.576. Ai sensi dell’art.16, co.4, infatti, il contributo soggettivo minimo (art.10, co.2) è aumentato periodicamente proprio in relazione alla variazione dell’indice ISTAT. Per il contributo soggettivo di cui all’art.10, co.1 l. n.576/80, invece, l’incidenza della rivalutazione sull’obbligo c ontributivo opera a mezzo della rivalutazione del reddito: rivalutando anno per anno il reddito su cui calcolare l’aliquota del contributo soggettivo (art.16, co.4 nel suo riferimento al limite di reddito di cui all’art.10, co.1), viene
aumentato di anno in anno l’importo del contributo (in percentuale del 10% sul maggior montante reddituale a seguito di rivalutazione).
5.4. Dunque, essendo stati versati contributi ex art.10, co.1, lett. a) inferiori a quelli dovuti, poiché parametrati nell’aliquota ad un montante reddituale rivalutato in misura inferiore rispetto a quella da considerare (18,7% anziché 21,1%), si deve conclude re per l’esistenza di una violazione dell’obbligazione contributiva. Ovviamente tanto rileva in questa sede non ai fini del profilo sanzionatorio (art.18), bensì ai fini del rapporto tra effettiva contribuzione (art.2) e misura della pensione, come oltre si dirà.
5.5. L’inadempimento nemmeno può essere ‘sanato’ dal fatto che so no stati poi pagati i contributi di cui all’art.10, co.1, lett. b), nonché il contributo integrativo dell’art.11. Nel caso di specie rileva l’inadempimento all’obbligazione contributiva di cui alla sola lettera a) dell’art.10, essendo tale obbligazione l’u nica rilevante ai fini del diritto e della misura della pensione di vecchiaia (v. l’art.2, co.2, che richiama la sola lettera a) dell’art.10, co.1).
5.6. La difesa di parte controricorrente argomenta poi che inadempimento non vi sarebbe in quanto, all’epoca, fu pagato il contributo come richiesto dalla Cassa, sulla base della rivalutazione dei redditi operata dalla Cassa, sicché non vi fu errore addebitabile, stante la buona fede.
5.7. Premesso che la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che l’errore circa la convinzione di non essere obbligati (nel caso di specie, la convinzione di essere obbligati per una minor misura dell’obbligo contributivo), può valere come causa non imputabile di inadempimento ex art.1218 c.c. ove si tratti di errore non vincibile con la dovuta diligenza
(Cass.1003/86, Cass.2586/86, Cass.7729/04), va detto che tale profilo attiene non all’inadempimento, il quale sussiste come violazione dell’obbligazione contributiva (adempiuta solo parzialmente), bensì alla sua non imputabilità, ai sensi dell’art.1218 c.c .
5.8. Vertendosi in tema di responsabilità contrattuale, al creditore basta allegare l’inadempimento (v. Cass., sez. un., n.13533/01), mentre incombe sul debitore dimostrare di aver fatto tutto il possibile per adempiere.
5.9. Il tema della prova liberatoria, non indagato dalla sentenza impugnata, andrà quindi valutato in sede di giudizio di rinvio.
Detto che vi fu inadempimento all’obbligazione contributiva occorre stabilire se tale inadempimento (parziale) incida sulla misura della pensione.
6.1. Ai sensi dell’art.2, co.1 della legge n.576 del 1980, la pensione di vecchiaia è pari, ‘ per ogni anno di effettiva iscrizione e contribuzione ‘, all’1,75% della media dei più elevati dieci redditi professionali dichiarati dall’iscritto ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF), risultanti dalle dichiarazioni relative ai quindici anni solari anteriori alla maturazione del diritto a pensione.
6.2. Questa Corte (v. Cass.5672/12, Cass.7621/15, Cass.15643/18, Cass.30421/19, Cass.694/21) ha avuto modo di affermare, in relazione all’ ‘effettiva contribuzione’ dell’art.2, che essa non significa ‘integrale’, con la conseguenza che, sebbene parziale, essa s erve a far computare l’annualità di anzianità contributiva. Si è aggiunto in tali pronunce che la pensione di vecchiaia si ‘commisura’ alla contribuzione effettiva, essendo escluso ogni automatismo delle prestazioni in assenza di contribuzione, principio che vige per il lavoro dipendente e che resta inapplicabile alla previdenza dei liberi
professionisti. In particolare è stato specificato dalla sentenza n.5672/12, che gli anni non coperti da integrale contribuzione concorrono a formare l’anzianità contributiva e vanno inseriti nel calcolo della pensione, e che il calcolo della pensione si fa ‘prendendo come base il reddito sul quale è stato effettivamente pagato il contributo’ Ancora, la sentenza n.15643/18, relativa alla pensione di vecchiaia dei geometri incentrata sull’art.2 l egge n.773 del 1982, che ha un testo identico a quello dell’ar t.2 legge n.576 del 1980, per quanto qui di rilievo (‘per ogni anno di effettiva iscrizione e contribuzione’), ha affermato che l’aggettivo effettiva ‘introduce un parametro di commisurazione della pensione alla contribuzione “effettivamente” versata’.
6.3. Dal citato orientamento emerge il principio per cui il reddito da considerare ai fini del calcolo della pensione, e dichiarato ai fini IRPEF, è solo quello su cui si sono versati ‘effettivamente’ i contributi. Tale conclusione non rinnega il metodo di calcolo retributivo, poiché la pensione si calcola pur sempre prendendo a base la media dei miglior redditi, ma con il limite per cui -non vigendo il principio dell’automatismo della prestazione pensionistica -la misura del reddito denunciato ai fini IRPEF è da rapportare ai contributi effettivamente versati. Se, come nel caso di specie, sono stati versati contributi in misura parziale in ragione di una minor percentuale di rivalutazione del reddito, tale minor percentuale è quella da considerare ai fini pensionistici. Né, così facendo, viene meno il principio di solidarietà che connota la previdenza forense e si trasforma questa in una previdenza mutualistica mediante introduzione di una diretta corrispondenza, in termini di corrispettività sinallagmatica, tra la contribuzione e la prestazione (pensione di vecchiaia) (sul punto v. Corte Cost. n.67/18). Premesso che
nemmeno riguardo alle pensioni calcolate secondo il metodo contributivo, dove più stringente è il rapporto tra contributi e ammontare della prestazione, si è mai sostenuto che esso introduca un meccanismo di stratta sinallagmaticità tale da far perdere il connotato solidaristico al sistema pensionistico, nel caso di specie la pensione continua a essere rapportata non in via sinallagmatica alla contribuzione, poiché invece modulata su un parametro indipendente quale è quello del reddito. Inoltre, la presenza di contributi dovuti e tuttavia correlati non alla prestazione ma intesi a finanziare la solidarietà di categoria -quali sono il contributo soggettivo di cui all’art.10, co.2, lett. b) e il contributo integrativo dell’art.11 conferma il carattere non mutualistico della previdenza forense.
6.4. Piuttosto, come già anticipato, è in ragione dell’assenza della regola di automaticità delle prestazioni che si giustifica la conclusione per cui, inadempiuto (in parte) l’obbligo contributivo, non v’è diritto ad una prestazione che non sia sorretta nel suo quantum dall’adempimento di tale obbligo, dovendo la contribuzione essere sempre ‘effettivamente’ versata.
6.5. Pare opportuno aggiungere, infine, che proprio l’assenza della regola di automaticità delle prestazioni dà ragione dell’irrilevanza della maturata prescrizione: il fatto che la Cassa abbia lasciato prescrivere il proprio credito contributivo non dà comunque diritto alla prestazione pensionistica maggiorata nel quantum , allo stesso modo per cui, non operando più l’art.2116 c.c. una volta maturata la prescrizione contributiva entro il sistema dell’AGO, il lavoratore non ha comunque diritto ad ottenere la prestazione dall’Inps, quanto piuttosto il risarcimento dei danni.
6.6. La sentenza va dunque cassata in accoglimento del secondo e terzo motivo, con rinvio alla Corte d’appello di Trieste, in diversa composizione, per gli accertamenti conseguenti all’applicazione del seguente principio di diritto: ‘ In tema di previdenza forense, i redditi da prendere a riferimento per il calcolo della pensione di vecchiaia, ai sensi dell’art.2 l. n.576/80, sono quelli coperti da contribuzione ‘effettivamente versata’, sicché, in caso di applicazione su tali redditi di u n coefficiente di rivalutazione ISTAT inferiore a quello dovuto, con corrispondente minor contribuzione versata ai sensi degli artt.10 e 18, co.4, la pensione di vecchiaia va calcolata prendendo a riferimento i redditi rivalutati secondo il minor coefficiente applicato, anziché secondo quello maggiore dovuto ‘.
Il motivo è invece infondato laddove sostiene che devono essere azzerate le annualità di anzianità assicurativa per il caso di mancato pagamento integrale della contribuzione ex art.2 della legge n.576 del 1980.
7.1. Contro tale esegesi dell’art.2 della legge n.576 del 1980, come già ricordato, si è più volte pronunciata questa Corte (Cass.5672/12, Cass.7621/15, Cass.15643/18, Cass.30421/19, Cass.694/21), affermando che la contribuzione solo parziale non può impedire di conteggiare per intero l’annualità ai fini dell’anzia nità contributiva.
In conclusione, vanno accolti il secondo e il terzo motivo di ricorso come sopra precisato e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte d’appello di Trieste, in diversa composizione, anche per le spese di lite del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo e il terzo motivo di ricorso nei limiti di cui in motivazione, respinto il primo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’appello di Trieste in diversa composizione anche per le spese di lite del presente giudizio di cassazione. Roma, deciso nella camera di consiglio del 14.5.25