Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 26092 Anno 2024
Civile Sent. Sez. L Num. 26092 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 04/10/2024
SENTENZA
sul ricorso 26121-2018 proposto da:
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME NOME, NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 229/2018 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 06/03/2018 R.G.N. 923/2017; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/04/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME;
R.G.N. 26121/2018
COGNOME.
Rep.
Ud. 09/04/2024
PU
udito il P.M. in persona del AVV_NOTAIO Procuratore AVV_NOTAIO COGNOMEAVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’avvocato NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Grosseto accoglieva il ricorso proposto da NOME COGNOME e, per l’effetto, dichiarava il diritto dello stesso alla rivalutazione dell’anzianità contributiva con il più favorevole coefficiente previsto dall’art. 13, comma 8, della legge nr. 257 del 1992, ai sensi dell’art. 1, comma 115, della legge nr. 190 del 2014, con ogni conseguenza in termini di condanna dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE a corrispondere gli aumenti sui ratei di pensione già maturati, oltre interessi.
La Corte di Appello di Firenze, pronunciando sull’impugnazione dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, ha confermato la decisione di primo grado.
I giudici territoriali hanno ritenuto sussistenti i presupposti dell’art. 1, comma 115, cit. che attribuisce ai dipendenti di aziende che hanno collocato tutti i lavoratori in mobilità, per cessazione dell’attività lavorativa, e che siano già titolari del beneficio della rivalutazione contributiva nella misura di cui all’ art. 47 del D.L. nr. 269 del 2003, di ottenere la maggiorazione secondo il miglior regime stabilito dall’art. 13, comma 8, della legge nr. 257 del 1992.
La Corte di appello, nell’interpretare l’art. 1 anzidetto, ha ritenuto che la norma non richiedesse la cessazione dell’impresa in senso proprio, con cancellazione dal registro dell’imprese e perdita della soggettività giuridica, come inteso dall’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, ma solo la cessazione delle attività che hanno implicato l’esposizione ad amianto dei dipendenti e la messa in mobilità, per tale ragione, degli stessi. Dette condizioni ricorrevano nel caso concreto.
Una diversa ricostruzione, secondo la Corte di merito, sarebbe in contrasto con la ratio della disciplina volta ad agevolare i lavoratori che (non solo) sono stati esposti all’amianto ma che, per tale ragione, hanno anche perso il posto di lavoro.
Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE con un motivo, cui ha resistito la parte privata con controricorso, illustrato con memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso, l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE deduce – ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ. – la violazione dell’art. 1, comma 115, della legge nr. 190 del 2014.
L’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE non condivide l’interpretazione resa nella pronuncia impugnata e assume che l’art. 1, comma 115, subordina la trasformazione del coefficiente di rivalutazione dell’1,25 in quello più favorevole dell’1, 50 alla condizione che il lavoratore sia stato dipendente da Azienda che abbia collocato «tutti» i suoi dipendenti in mobilità a causa della cessazione dell’attività lavorativa.
Tale presupposto non ricorrerebbe nel caso di specie ove un dipendente sarebbe rimasto in forza alla società. Priva di rilievo, per l’Istituto, sarebbe la circostanza, evidenziata dalla Corte di appello, secondo cui l’unico lavoratore non licenziato risulterebbe addetto alla attività di sorveglianza e non di produzione.
L’Istituto evidenza come l’art. 1, comma 155, sia norma di carattere eccezionale e, pertanto, di stretta interpretazione.
Ulteriore ragione ostativa al beneficio risulterebbe il fatto che il controricorrente sarebbe stato anche rioccupato, per un periodo, in seno alla società subentrante.
Il motivo è infondato.
13. L’art. 1, comma 115, della legge nr. 190 del 2014 ( cd. Legge di stabilità 2015) ha previsto che «Entro il 31 dicembre 2016 gli assicurati dipendenti da aziende che hanno collocato tutti i dipendenti in mobilità per cessazione dell’attività lavorativa, i quali abbiano ottenuto in via giudiziale definitiva l’accertamento dell’avvenuta esposizione all’amianto (e) il riconoscimento dei benefici previdenziali di cui all’articolo 47 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 possono presentare domanda all’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE per il riconoscimento della maggiorazione secondo il regime vigente al tempo in cui l’esposizione si è realizzata ai sensi dell’articolo 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257».
14. Si tratta di una disciplina che, all’evidenza, ha inteso assicurare il più favorevole incremento contributivo di cui alla legge nr. 257 del 1992, art. 13, comma 8, (maggiorazione dell’1,50 della contribuzione per il periodo di esposizione ad amianto) a coloro che, assicurati all’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE e all’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, avessero ottenuto il riconoscimento giudiziale del beneficio nella minor misura di cui all’art. 47 D.L. nr. 269 del 2003 (maggiorazione secondo il coefficiente dell’1,25). Ciò alla condizione di essere dipendenti da aziende che avessero collocato «tutti» i lavoratori in mobilità per cessazione dell’attività lavorativa.
15. La questione devoluta alla Corte riguarda l’interpretazione della disposizione e, in particolare, della parte di essa che prevede, quale presupposto costitutivo del diritto, il collocamento in mobilità di «tutti i dipendenti».
16. Nella fattispecie concreta, il profilo assume interesse in quanto presso la parte datoriale sarebbe rimasta in forza un’unica unità lavorativa, sia pure per lo svolgimento di mansioni non inerenti alla produzione ma di guardiania degli immobili. Inoltre, il lavoratore che aveva chiesto ed ottenuto
il beneficio della rivalutazione sarebbe stato rioccupato, sia pure a tempo determinato, durante la mobilità, presso la società che era subentrata (a quella che aveva chiuso tutti gli impianti e che, per le lavorazioni svolte, aveva esposto i dipendenti all’amianto) per le attività di bonifica dei siti e di smaltimento degli esplosivi.
Per l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, la descritta situazione non sarebbe sussumibile in quella astratta. La Corte di appello di Firenze, invece, ha ritenuto diversamente.
Per i Giudici, la norma oggetto di interpretazione pone in correlazione l’attività che ha determinato l’esposizione ad amianto e i dipendenti che alla stessa siano stati addetti. Per l’operatività della disposizione, la prima deve essere cessata e i secondi devono essere posti in mobilità. In altre parole, i lavoratori ai quali fa riferimento la disciplina in commento non sono tutti i dipendenti dell’Azienda ma «tutti» coloro che erano adibiti all’attività produttiva cessata.
Il Collegio condivide le conclusioni raggiunte nella pronuncia impugnata. L’interpretazione del dato normativo nei termini proposti dalla Corte di merito risulta, invero, da un lato, rispettosa della lettera della legge e, dall’altro, coerente con la ratio della disciplina.
L’art. 1, comma 115, della legge nr. 190 del 2014 è una norma di protezione che è volta a rafforzare la tutela di una particolare categoria di lavoratori ovvero di coloro che non solo sono stati esposti all’amianto, per effetto di una determinata lavorazione, ma che, poi, in conseguenza di ciò, hanno subito anche l’estromissione dall’Azienda per la cessazione della lavorazione medesima, così trovandosi destinatari di un provvedimento datoriale di messa in mobilità.
Deve, pertanto, affermarsi che il presupposto normativo di cui all’art. 1, comma 115, della legge nr. 190 del
2014, quanto al profilo di interesse, è integrato se «tutti i dipendenti addetti alla attività produttiva cessata» siano posti in mobilità.
22. Ne consegue che, per come accertata, la fattispecie concreta è stata esattamente ricondotta nel perimetro di applicazione della norma, risultando, da un lato, non significativo il mantenimento di un’unica posizione lavorativa, per esigenze di mera custodia degli immobili -e quindi estranee alla lavorazione dismessa- e, dall’altro, irrilevante la temporanea ricollocazione del lavoratore in attività di bonifica dei luoghi, strumentale alla definitiva chiusura dei siti.
23. Il ricorso in definitiva va respinto.
24. In considerazione della novità della questione sottoposta al vaglio di questa Corte e della mancanza di precedenti di legittimità, appare opportuno compensare le spese di lite.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese di lite.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater , dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis , se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 9 aprile