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Ritenuta contributiva: quando il datore non può farla

Un’università ha perso in Cassazione una causa contro una collaboratrice esperta linguistica. La Corte ha stabilito che se il datore di lavoro paga in ritardo i contributi all’ente previdenziale, non può più effettuare la ritenuta contributiva sulla busta paga della lavoratrice. In tal caso, la quota contributiva a carico del dipendente diventa parte integrante della sua retribuzione. È stata inoltre dichiarata illegittima una decurtazione del 2,5% applicata al suo stipendio, in quanto non assimilabile a una dipendente pubblica.

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Pubblicato il 13 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Ritenuta Contributiva: Se il Datore Tarda, Paga Lui

La gestione della busta paga è un tema delicato, dove ogni voce ha un significato preciso. Una di queste è la ritenuta contributiva, ovvero la parte di contributi previdenziali a carico del lavoratore che il datore trattiene per versarla agli enti competenti. Ma cosa succede se il datore di lavoro paga questi contributi in ritardo? Può ancora rivalersi sul dipendente? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto un chiarimento fondamentale, stabilendo un principio a tutela del lavoratore.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine dalla controversia tra un’Università e una sua collaboratrice esperta linguistica. La lavoratrice aveva ottenuto un decreto ingiuntivo per differenze retributive non corrisposte. L’Ateneo si era opposto, ma la Corte d’Appello aveva dato ragione alla collaboratrice su due punti cruciali:

1. L’illegittimità della trattenuta della quota di contributi a carico della lavoratrice, poiché l’Università aveva versato tali somme all’ente previdenziale in ritardo rispetto alle scadenze.
2. L’illegittimità di una decurtazione del 2,5% operata sulla retribuzione, prevista da una norma per i dipendenti pubblici ma ritenuta non applicabile al rapporto di lavoro privatistico della collaboratrice.

L’Università ha quindi proposto ricorso in Cassazione, contestando entrambe le conclusioni dei giudici di merito.

La Ritenuta Contributiva e il Ritardo del Datore di Lavoro

Il primo motivo di ricorso dell’Ateneo si basava sull’errata applicazione dell’art. 23 della Legge n. 218/1952. L’Università sosteneva di non aver commesso alcuna omissione contributiva, avendo provveduto al pagamento contestualmente a una rettifica del trattamento economico della lavoratrice.

La Cassazione ha respinto questa tesi, confermando un orientamento ormai consolidato. Il principio è chiaro: il datore di lavoro può legittimamente operare la ritenuta contributiva solo se versa tempestivamente la quota all’ente previdenziale. Se il pagamento avviene in ritardo, il datore perde il diritto di rivalsa sul lavoratore. In questa circostanza, il credito retributivo del dipendente si espande, includendo anche la quota contributiva che avrebbe dovuto essere trattenuta. Diventa, a tutti gli effetti, parte integrante della retribuzione spettante, e il datore di lavoro non può più prelevarla.

L’Inapplicabilità della Decurtazione ai Collaboratori Linguistici

Il secondo motivo di ricorso riguardava la decurtazione del 2,5% applicata ai sensi dell’art. 69 della Legge n. 133/2008. L’Università riteneva questa norma applicabile, data la parametrazione del trattamento economico dei collaboratori a quello dei ricercatori confermati.

Anche su questo punto, la Corte ha dato torto all’Ateneo. I giudici hanno sottolineato che il rapporto di lavoro dei collaboratori esperti linguistici è di natura privatistica. Pertanto, le norme specifiche previste per il pubblico impiego, come la decurtazione in questione, non possono essere estese a questi lavoratori, nonostante l’equiparazione economica ai fini retributivi. La natura del rapporto prevale sulla parametrazione dello stipendio.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte Suprema ha rigettato il ricorso basandosi su due principi giuridici solidi. In primo luogo, ha ribadito che il diritto del datore di lavoro di trattenere i contributi dalla busta paga del lavoratore è strettamente condizionato al puntuale adempimento del proprio obbligo di versamento all’ente previdenziale. Il ritardo nel versamento trasforma l’obbligazione del datore di lavoro, che non può più rivalersi sul dipendente, rimanendo l’unico soggetto tenuto al pagamento dell’intera somma. In secondo luogo, la Corte ha riaffermato la necessità di interpretare restrittivamente le norme che impongono sacrifici economici ai lavoratori, specialmente quando si tratta di estendere normative tipiche del settore pubblico a rapporti di lavoro di natura privatistica. La natura giuridica del contratto di lavoro è determinante e non può essere superata da un mero rinvio a parametri retributivi esterni.

Conclusioni

Questa ordinanza rafforza la tutela dei lavoratori sotto un duplice profilo. Da un lato, sanziona il comportamento del datore di lavoro che ritarda il versamento dei contributi, impedendogli di scaricare le conseguenze di tale ritardo sul dipendente. Dall’altro, traccia una linea netta tra rapporto di lavoro pubblico e privato, evitando l’applicazione automatica di normative penalizzanti a categorie di lavoratori il cui contratto è regolato dal diritto privato. Per i datori di lavoro, il messaggio è inequivocabile: la puntualità nei versamenti contributivi non è solo un obbligo verso lo Stato, ma anche una condizione essenziale per poter esercitare il diritto di ritenuta sulla retribuzione del lavoratore.

Un datore di lavoro può trattenere la quota dei contributi a carico del lavoratore se paga in ritardo l’ente previdenziale?
No. Secondo la sentenza, se il datore di lavoro paga i contributi in ritardo rispetto ai termini previsti, perde il diritto di operare la ritenuta. La quota contributiva a carico del lavoratore diventa parte della retribuzione spettante.

La decurtazione dello stipendio del 2,5%, prevista da una norma per il pubblico impiego, si applica anche ai collaboratori esperti linguistici universitari?
No. La Corte ha stabilito che, essendo il loro rapporto di lavoro di natura privatistica, tale norma non è applicabile, nonostante l’equiparazione del loro trattamento economico a quello dei ricercatori confermati.

Cosa succede al credito retributivo del lavoratore quando il datore è in ritardo con i versamenti contributivi?
Il credito retributivo del lavoratore si estende automaticamente per includere anche la quota contributiva che il datore di lavoro avrebbe dovuto trattenere. Di conseguenza, il datore non può più operare la ritenuta e deve corrispondere l’intera somma al lavoratore.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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