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Risoluzione contratto appalto e danni: le regole

Una società ottiene la risoluzione di un contratto di appalto pubblico a causa di illegittime e prolungate sospensioni dei lavori da parte della stazione appaltante. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 8765/2024, chiarisce che in caso di risoluzione del contratto, che ha effetto retroattivo, non si applicano le norme speciali sul risarcimento del danno da sospensione (D.M. 145/2000). Il danno deve essere provato secondo le regole generali e il mancato utile può essere liquidato in via equitativa, ad esempio nella misura del 10% del valore dell’appalto.

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Pubblicato il 10 novembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile

Risoluzione Contratto Appalto e Danni da Sospensione: La Cassazione Fa Chiarezza

La risoluzione del contratto di appalto per grave inadempimento della stazione appaltante apre complessi scenari sul calcolo del risarcimento del danno. Quando i lavori vengono sospesi illegittimamente per un lungo periodo, l’appaltatore ha diritto a vedersi riconosciuti i costi sostenuti e il mancato guadagno. Ma quali regole si applicano? Quelle speciali previste per la sospensione dei lavori o i principi generali del codice civile? Con l’ordinanza n. 8765 del 3 aprile 2024, la Corte di Cassazione ha fornito un’importante chiave di lettura, distinguendo nettamente le due ipotesi.

Il Caso: Sospensioni Illegittime e Richiesta di Danni

Una società di costruzioni si era aggiudicata un appalto pubblico per la ristrutturazione di un distretto sanitario. Tuttavia, i lavori venivano sospesi dalla committente per ben due volte e per lunghi periodi, a causa della ‘indisponibilità dei luoghi’ e della mancanza di approvazione di una perizia di variante. Di fronte a queste gravi inadempienze, l’impresa citava in giudizio l’ente pubblico chiedendo la risoluzione del contratto e un cospicuo risarcimento dei danni, calcolato sulla base delle norme specifiche previste per l’illegittima sospensione dei lavori (art. 25 del D.M. 145/2000).

Il Tribunale di primo grado accoglieva pienamente le richieste dell’impresa. La Corte d’Appello, invece, ribaltava parzialmente la decisione, riducendo drasticamente l’importo del risarcimento. Secondo i giudici di secondo grado, le norme speciali sui danni da sospensione si applicano solo se il contratto prosegue, non se viene risolto. In caso di risoluzione, l’appaltatore deve provare puntualmente i danni subiti.

Risoluzione Contratto Appalto: Le Motivazioni della Cassazione

La questione è giunta dinanzi alla Corte di Cassazione, che ha rigettato sia il ricorso principale dell’impresa che quello incidentale dell’ente pubblico. La Suprema Corte ha confermato l’impostazione della Corte d’Appello, offrendo una disamina approfondita dei principi che governano la risoluzione del contratto di appalto.

Contratto ad Esecuzione Prolungata: L’Effetto Retroattivo della Risoluzione

Il punto cruciale della decisione riguarda la natura del contratto d’appalto. La Cassazione ha ribadito che non si tratta di un contratto ad esecuzione continuata o periodica (come una fornitura di servizi), bensì di un contratto ‘ad esecuzione prolungata’. Questa distinzione è fondamentale: mentre per i primi la risoluzione non ha effetto sulle prestazioni già eseguite, per il contratto d’appalto la risoluzione ha piena efficacia retroattiva, come stabilito dall’art. 1458 c.c.

L’effetto retroattivo comporta una ‘restitutio in integrum’: il contratto si considera come mai esistito, e le parti devono essere riportate nella situazione giuridica e patrimoniale precedente. Il vincolo negoziale viene completamente ‘cancellato’.

Inapplicabilità delle Norme sulla Sospensione dopo la risoluzione contratto appalto

Proprio a causa di questo effetto retroattivo, le norme speciali che disciplinano i danni derivanti da sospensione illegittima (artt. 24 e 25 del D.M. 145/2000) non possono trovare applicazione. Tali norme, infatti, presuppongono l’esistenza e l’efficacia del contratto durante il periodo di sospensione. Se il contratto viene eliminato dal mondo giuridico tramite la risoluzione, vengono meno anche i presupposti per applicare le regole che lo disciplinano, incluse quelle relative alle patologie esecutive come la sospensione.

Il Calcolo del Danno: Prova e Liquidazione Equitativa

Una volta risolto il contratto, il diritto al risarcimento del danno non scompare, ma segue le regole generali previste dal codice civile per l’inadempimento (art. 1453 c.c.). Ciò significa che l’appaltatore ha l’onere di provare l’esistenza e l’ammontare dei danni subiti, come le spese generali improduttive e, soprattutto, il mancato utile (lucro cessante).

Nel caso specifico, non essendo stata eseguita alcuna opera, la Corte ha ritenuto corretto il ricorso alla liquidazione equitativa del lucro cessante. I giudici hanno considerato equa una quantificazione pari al 10% del prezzo dell’appalto, applicando per analogia i criteri previsti storicamente dalla legge per il recesso legittimo della pubblica amministrazione (art. 345 della legge n. 2248 del 1865), un principio oggi recepito anche nel nuovo Codice dei Contratti Pubblici.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Sentenza

L’ordinanza della Cassazione delinea un confine netto tra due diversi rimedi a disposizione dell’appaltatore in caso di sospensione illegittima dei lavori:

1. Se il contratto prosegue: L’appaltatore può chiedere il risarcimento dei danni secondo i criteri predeterminati dall’art. 25 del D.M. 145/2000, che offrono una liquidazione quasi forfettaria di alcune voci di danno.
2. Se si chiede e ottiene la risoluzione del contratto: L’appaltatore non può più avvalersi di tali criteri speciali. Dovrà invece dimostrare secondo le regole ordinarie i danni effettivamente subiti, con la possibilità per il giudice di liquidare in via equitativa il mancato utile, qualora la prova del suo preciso ammontare sia difficile.

In caso di risoluzione del contratto di appalto per inadempimento della stazione appaltante, si possono chiedere i danni previsti per l’illegittima sospensione dei lavori?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che la risoluzione del contratto ha effetto retroattivo (‘restitutio in integrum’), cancellando il vincolo contrattuale. Di conseguenza, non possono applicarsi le norme speciali sui danni da sospensione (come l’art. 25 del D.M. 145/2000), poiché queste presuppongono un contratto valido ed efficace. Il risarcimento va richiesto secondo le regole generali sull’inadempimento contrattuale.

Che differenza c’è tra un contratto ad esecuzione ‘continuata’ e uno ad esecuzione ‘prolungata’?
Un contratto ad esecuzione continuata o periodica prevede prestazioni ripetute nel tempo (es. fornitura di gas). La risoluzione, in questi casi, non influisce sulle prestazioni già eseguite. Un contratto ad esecuzione prolungata, come l’appalto, ha per oggetto un’opera unitaria la cui realizzazione si estende nel tempo. Per questo tipo di contratto, la risoluzione ha pieno effetto retroattivo, come se non fosse mai stato concluso.

Come viene calcolato il danno per mancato utile (lucro cessante) se il contratto di appalto viene risolto?
Se il contratto viene risolto, l’appaltatore deve provare il mancato guadagno. Tuttavia, se la prova del suo preciso ammontare è difficile, il giudice può procedere a una liquidazione in via equitativa. La Corte ha ritenuto corretto utilizzare come parametro, per analogia, il criterio del 10% del valore delle opere non eseguite, previsto dalle norme sul recesso della pubblica amministrazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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