Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 12819 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 12819 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23858/2018 R.G. proposto da domiciliato in Roma, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, con diritto di ricevere le comunicazioni all’indicato indirizzo PEC dell’AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende
– ricorrente –
contro
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 327/2017 de lla Corte d’Appello di Cagliari, depositata il 16.1.2018;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20.2.2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Il ricorrente , all’epoca dipendente del RAGIONE_SOCIALE con contratto di lavoro a tempo indeterminato, ricevette nell’agosto del 2009 un incarico dirigenziale a termine della durata di due anni, quale Direttore regionale per i RAGIONE_SOCIALE culturali e Paesaggistici della RAGIONE_SOCIALE. Tale incarico venne però anticipatamente risolto dopo pochi mesi, allorché il dipendente maturò l’anzianità contributiva massima di 40 anni, essendosi avvalso il RAGIONE_SOCIALE della facoltà prevista dall’art. 7 2, comma 11, del decreto legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, in legge n. 133 del 2008.
Il lavoratore si rivolse allora al Tribunale di Cagliari, in funzione di giudice del lavoro, chiedendo l ‘accertamento del l’illegittimità dell’atto risolutivo, sia per la mancanza di una motivazione, sia per la violazione della buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto , con condanna del RAGIONE_SOCIALE al risarcimento del danno.
Instauratosi il contraddittorio, il Tribunale ritenne infondate le domande, che pertanto respinse, e altrettanto fece la Corte d’Appello di Cagliari, disattendendo l’impugnazione proposta dal lavoratore.
Contro la sentenza d’appello il lavoratore ha quindi proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi e illustrato anche con memoria.
Il RAGIONE_SOCIALE si è difeso con controricorso
Il ricorso è trattato in camera di consiglio ai sensi de ll’ 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
art.
1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia, testualmente: «violazione e falsa applicazione dell ‘art. 72, comma 11, del d.l. n. 112 del 2008, convertito in legge n. 133 del 2008, degli artt. 3, 4, 35, 97 e 117, comma 1, Cost., quest’ultimo in relazione alla Direttiva 2000/78/CE ; dello stesso artt. 6 della Direttiva 2000/78/CE; violazione del d.lgs. n. 216 del 2003; de gli artt. 1175 e 1375 c.c.; violazione dell’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 16 del 2001».
La Corte territoriale ha ritenuto infondata la tesi del ricorrente secondo cui l’atto di risoluzione unilaterale del contratto ai sensi dell’art. 72, comma 11, del d.l. n. 112 del 2008 avrebbe richiesto, per essere legittimo, una motivazione da parte dell’amministrazione datrice di lavoro . Secondo la Corte territoriale, in senso contrario -ovverosia nel senso della non obbligatorietà della motivazione -depongono il «tenore letterale» della disposizione di legge e anche la «natura dell’atto in quanto espressione del potere datoriale».
Il motivo è fondato, intendendosi qui dare continuità ad un orientamento già costantemente espresso in diversi precedenti di questa Corte: « la facoltà di collocamento a riposo d’ufficio nel lavoro pubblico contrattualizzato, prevista dall’art. 72, comma 11, del d.l. n. 112 del 2008, conv. con modif. dalla legge n. 133 del 2008, in ragione del raggiungimento dell ‘ anzianità massima contributiva di quaranta anni richiede una motivazione, ancor più necessaria in difetto di un formale atto organizzativo, che consenta il controllo di legalità sull ‘ appropriatezza della risoluzione del rapporto rispetto alla finalità di riorganizzazione perseguita, sicché la sua mancanza vìola i principi generali di correttezza e buona fede, il principio dell ‘ imparzialità e buon andamento della RAGIONE_SOCIALE, le norme
imperative che richiedono la rispondenza dell ‘ azione amministrativa al pubblico interesse e l’ art. 6, comma 1, della direttiva 78/2000/CE » (Cass. n. 12712/2023, che riporta Cass. n. 11595/2016; conf., tra le altre, Cass nn. 12714/2023; 12713/2023; 950/2021).
Tale principio è stato affermato proprio con riferimento a casi di risoluzione anticipata del rapporto di lavoro verificatisi, come quello qui in esame, prima della modifica introdotta dall ‘ art. 16, comma 11, del d.l. n. 98 del 2011, convertito dalla legge n. 111 del 2011. Infatti, con tale modifica il legislatore stabilì che la risoluzione del rapporto da parte del datore di lavoro «non necessita di ulteriore motivazione, qualora l ‘ amministrazione interessata abbia preventivamente determinato in via generale appositi criteri applicativi con atto generale di organizzazione interna, sottoposto al visto dei competenti organi di controllo». Dal tenore della disposizione si comprende che, nel 2011, il legislatore introdusse una possibilità alternativa rispetto alla motivazione del singolo atto di risoluzione, ovverosia la predeterminazione -da parte della singola amministrazione -di criteri generali cui attenersi nell’adozione dei singoli atti. Pertanto, l ‘obbligo di motivazione del singolo atto sicuramente preesisteva alla modifica del 2011 ed era, anzi, all’epoca, l’u nico modo legittimo per avvalersi della facoltà di risolvere anticipatamente il rapporto di lavoro, non essendo ancora prevista la possibilità alternativa di predeterminare criteri generali cui attenersi nei casi concreti.
Con il secondo motivo il ricorrente censura «violazione e falsa applicazione dell’art. 72, comma 11, del d.l. n. 112 del 2008, in relazione agli artt. 1175 e 1375 c.c.».
Il ricorrente si duole che la Corte d’Appello non abbia ravvisato la violazione dei doveri di correttezza e buona fede contrattuale nella risoluzione anticipata unilaterale comunicata solo pochi mesi dopo la stipula del contratto a termine di durata biennale.
2.1. Il motivo deve ritenersi assorbito dal l’accoglimento del motivo precedente, che chiude il discorso sulla illegittimità dell’atto di risoluzione del rapporto, semplicemente in quanto immotivato, posto che è la mancanza di motivazione in sé che « vìola i principi generali di correttezza e buona fede, il principio dell’imparzialità e buon andamento della PRAGIONE_SOCIALE., le norme imperative che richiedono la rispondenza dell’azione amministrativa al pubblico interesse e l’ art. 6, comma 1, della direttiva 78/2000/CE » (v. giurisprudenza sopra citata).
Infine, il terzo motivo denuncia «violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1223, 2697 e 1226 c.c. Omesso esame di un punto decisivo della controversia discusso tra le parti. Nullità della sentenza per totale assenza di motivazione sul punto».
Con questo motivo il ricorrente censura l’autonoma ratio per il rigetto della domanda che la Corte territoriale ha aggiunto nella parte finale della motivazione della sentenza, laddove si legge che «In ogni caso … non risulta che l’appellante abbia subito i danni lamentati, non avendo addotto, pur onerato dell’onere relativo, alcuna prova a sostegno».
3.1. Anche questo motivo è fondato.
Il ricorrente ha chiesto il risarcimento del danno consistente nella perdita RAGIONE_SOCIALE retribuzioni per la residua durata del contratto a termine anticipatamente risolto dalla pubblica
amministrazione. La Corte territoriale, per rispettare il «minimo costituzionale» di motivazione oltre il quale non è ammesso il sindacato in sede di legittimità (Cass. S.U. n. 8053/2014), avrebbe dovuto almeno spiegare perché non abbia considerato sufficiente deduzione a sostegno della domanda risarcitoria l ‘allegazione dell a durata del rapporto pattuita nel contratto e della sua risoluzione anticipata, con conseguente perdita della retribuzione per il periodo residuo.
Inoltre, nella breve motivazione sul punto, sembra che il tema della prova del pregiudizio sia stato fuso e confuso con quello della illiceità della condotta, laddove si legge che «l’appellante non può invocare l’illegittimità del recesso per ottenere il risarcimento in quanto, come correttamente affermato dal giudice monocratico, l’art. 72, comma 11, l. n. 133/2008 non rientra nell’ambito di applicazione della disciplina dei licenziamenti individuali di cui alla legge n. 604/1966».
In definitiva, la sentenza della Corte d’Appello di Cagliari è viziata sia per l’errata interpretazione dell’ art. 72, comma 11, del decreto legge n. 112 del 2008 (con conseguente errata affermazione della legittimità della risoluzione unilaterale del contratto), sia per la totale assenza di un’effettiva motivazione sulla negata esistenza del danno risarcibile.
Pertanto, accolto il ricorso e cassata la sentenza impugnata, il processo deve essere rinviato alla Corte d’Appello di Cagliari, perché, in diversa composizione, decida, sulla base dei principi sopra enunciati, anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Si dà atto che, in base al l’esito del ricorso, non sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato
ai sensi dell’ art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte:
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, e rinvia alla Corte d’Appello di Cagliari , in diversa composizione, perché decida anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 20.2.2024.