Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13067 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 13067 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 13/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29687/2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso l’Avvocatura centrale dell’ente presso il cui uffici in Roma, INDIRIZZO è domiciliato;
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME BROCCIA BASILIA, COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliati presso lo studio del medesimo in Roma, INDIRIZZO;
-controricorrenti- avverso la sentenza n. 564/2019 della Corte d’Appello di Roma, depositata in data 28.03.2019, N.R.G. NUMERO_DOCUMENTO.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21.03.2024 dal AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO COGNOME.
OGGETTO: PUBBLICO IMPIEGO
RILEVATO CHE
Il Tribunale di Roma, in parziale accoglimento delle domande proposte da NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME (impiegati amministrativi presso l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE in forza di una serie di contratti di somministrazione nei periodi rispettivamente specificati), ha dichiarato illegittimo il termine apposto ai suddetti contratti ed ha condannato l’I NPS (gestione ex RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE) a corrispondere a ciascun ricorrente l’indennità risarcitoria ex art. 32 della legge n. 183/2010 in misura pari a 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
La Corte di Appello di Roma ha rigettato l’appello proposto dall’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE avverso tale sentenza , ed in parziale accoglimento del gravame proposto dagli originari ricorrenti, in parziale riforma della medesima sentenza, ha condannato l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE al risarcimento del danno nella misura di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto in favore dei ricorrenti COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME, e di 10 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto in favore dei ricorrenti COGNOME, COGNOME e COGNOME.
La Corte territoriale ha rilevato che i lavoratori nel giudizio di appello avevano riproposto l’eccezione di nullità dei contratti di RAGIONE_SOCIALE interinali e somministrati in ragione della mancata specificità della causale riguardo alla temporaneità del contratto di fornitura di RAGIONE_SOCIALE temporaneo ed ha evidenziato che le determinazioni dell’ente, richiamate dai contratti di fornitura tra l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE e le RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE avevano esplicitato la necessità di ricorrere al RAGIONE_SOCIALE interinale per procedere alla ‘bonifica ed aggiornamento degli archivi informatici e cartacei’ (causale reiterata fino alla determinazione n. 25/2009), senza ulteriori specificazioni sull’aspetto della contingente necessità, temporanea, di fabbisogno di ulteriore personale in relazione a situazioni congiunturali e non consolidabili; ha dunque ritenuto smentita per tabulas la sussistenza effettiva della temporaneità ed ha confermato la pronuncia di illegittimità dei suddetti contratti per i ricorrenti COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME, che avevano cominciato a lavorare per l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE con contratti di RAGIONE_SOCIALE interinale.
In ordine al primo contratto di somministrazione stipulato in data 16.6.2006 dall’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE con la società RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, la Corte territoriale ha osservato che nel costituirsi in causa l’ente si era limitato a richiamare la delibera n. 482/2006, deducendo il permanere delle ragioni che avevano indotto l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE a ricorrere alla fornitura di RAGIONE_SOCIALE 5 anni prima; ha inoltre rilevato che l’effettiva sussistenza di tale esigenza, poco plausibile considerato il tempo trascorso, nel giudizio di primo grado non era stata oggetto di richiesta di prova della parte resistente.
Ha altresì evidenziato la carenza di prova dell’effettività della causale del contratto di somministrazione di RAGIONE_SOCIALE tra RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE del 16.2.2009 e la mancanza di richieste
istruttorie da parte dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE sulla sussistenza delle causali indicate nei contratti di somministrazione del 31.5.2011 e del 26.3.2012.
Ha confermato le statuizioni del primo giudice in ordine all’illegittimità dei contratti di fornitura di RAGIONE_SOCIALE e di somministrazione, al divieto di instaurazione del contratto di RAGIONE_SOCIALE a tempo indeterminato, nonché al diritto dei ricorrenti a percepire l’indennità risarcitoria ex art. 32 della legge n. 183/2010.
Il giudice di appello ha infine graduato l’indennità risarcitoria in ragione della diversa durata complessiva del periodo lavorativo ed ha pertanto attribuito l’indennità nella misura massima a COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME, che avevano lavorato per circa 12 anni e nella misura di 10 mensilità a COGNOME, COGNOME e COGNOME, che avevano lavorato per circa 9 anni.
Per la cassazione della sentenza di appello l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso prospettando tre motivi.
NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno resistito con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
CONSIDERATO CHE
Il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione delle norme e dei contratti collettivi, ed in particolare degli artt. 20, 21 e 27 del d. lgs. n. 276/2003, nonché degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ.
Addebita alla Corte territoriale di avere erroneamente ritenuto la nullità dei contratti di RAGIONE_SOCIALE interinale e somministrato; sostiene che dalle determinazioni dell’ ex RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE si desume il collegamento tra la prestazione lavorativa e le ragioni giustificative dei contratti prima interinali e poi di somministrazione, ragioni delle quali era stata dimostrata l’effettività.
Evidenzia che i contratti in essere presso l’ ex RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE erano stati giustificati da specifiche esigenze temporanee ed eccezionali, effettivamente sussistenti, e rimarca che i termini di legge non erano mai stati superati, sostenendo l’insussistenza di soluzioni di continuità nell’utilizzo del lavoratore.
Critica la sentenza impugnata per avere effettuato una lettura unitaria e a posteriori dei contratti stipulati tra le società aggiudicatrici e l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, e tra le suddette società ed i ricorrenti, senza verificare il rispetto dei requisiti normativamente richiesti per ciascuna fase.
Il secondo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione delle norme e dei contratti collettivi, ed in particolare degli artt. 27 e 86 del d. lgs. n. 276/2003, dell’art. 32 della legge n. 183/2010, nonché degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.
Torna a sostenere la piena legittimità dei contratti di somministrazione e contesta i criteri di determinazione e di liquidazione del danno utilizzati dalla Corte territoriale.
Argomenta che l’art. 86 del d. lgs. n. 276/2003 esclude la conversione del rapporto nei confronti di una Pubblica Amministrazione e che pertanto non può essere adottata alcuna pronuncia risarcitoria , la quale presuppone la sussistenza di un diritto all’assunzione a tempo indeterminato.
Sostiene che in caso di abusiva reiterazione di contratti di somministrazione, il ristoro presuppone l’esistenza di un danno emergente e di un lucro cessante; lamenta che la sentenza impugnata ha riconosciuto un danno in re ipsa , in difetto di allegazione e di prova di uno specifico pregiudizio ed in misura proporzionale rispetto alla durata dei contratti di somministrazione.
Il terzo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma primo, cod. proc. civ. , violazione e falsa applicazione dell’art. 32 della legge n. 183/2010 sotto il profilo della violazione dell’art. 111 Cost. per motivazione apparente.
Lamenta che la Corte territoriale non ha fornito alcuna motivazione sui criteri di liquidazione indicati dall’art. 8 della legge n. 604/1966, richiamata dall’art. 32, comma 5, della legge n. 132/2010.
Il primo motivo è inammissibile, in quanto volto alla rivisitazione del fatto attraverso la disamina delle dichiarazioni testimoniali e delle determinazioni dell’ ex RAGIONE_SOCIALE nn. 109/2001, 36/2002, 511/2004, 482/2006, 1102/2008, 2082/2010, 137/2011, della proroga del 13.7.2006, nonché dei contratti stipulati tra l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE e le società di fornitura (in data 10.5.2001 e in data 13.6.2002 con MANPOWER; in data 10.6.2006 con RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE; in data 16.2.2009 con RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE; in data 31.5.2011 con RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE).
Deve in proposito rammentarsi il consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di norme di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio o di omessa pronuncia miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (vedi, per tutte: Cass. S.U. n. 34476/2019 e Cass. n. 8758/2017).
4. Il secondo motivo è infondato.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in materia di pubblico impiego privatizzato, nell’ipotesi di illegittima o abusiva successione di contratti di RAGIONE_SOCIALE a termine, pur essendo esclusa, ai sensi dell’art. 36, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001 e dell’art. 86, comma 9, del d.lgs. n. 276 del 2003, la trasformazione in un rapporto a tempo indeterminato, si verifica in ogni caso la sostituzione della pubblica amministrazione-utilizzatrice nel rapporto di RAGIONE_SOCIALE a termine e il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno parametrato alla fattispecie di portata generale di cui all’art. 32, comma 5, della l. n. 183 del 2010, quale danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come “danno comunitario”, determinato tra un minimo e un
massimo, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto. Tale disciplina appare conforme allo scopo della direttiva 2008/104/CE, la quale, secondo l’interpretazione datane dalla Corte di Giustizia (sentenza del 14 ottobre 2020 in causa C-681/18), è finalizzata a far sì che gli Stati membri si adoperino affinché il RAGIONE_SOCIALE tramite RAGIONE_SOCIALE interinale presso la stessa impresa utilizzatrice non diventi una situazione permanente per uno stesso lavoratore’.
Le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 5072/2016 hanno infatti affermato che in materia di pubblico impiego privatizzato, nell’ipotesi di abusiva reiterazione di contratti a termine, la misura risarcitoria prevista dall’art. 36, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, va interpretata in conformità al canone di effettività della tutela affermato dalla Corte di Giustizia UE (ordinanza 12 dicembre 2013, in C-50/13), sicché, mentre va escluso – siccome incongruo il ricorso ai criteri previsti per il licenziamento illegittimo, può farsi riferimento alla fattispecie omogenea di cui all’art. 32, comma 5, della l. n. 183 del 2010, quale danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come “danno comunitario”, determinato tra un minimo ed un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto, senza che ne derivi una posizione di favore del lavoratore privato rispetto al dipendente pubblico, atteso che, per il primo, l’indennità forfetizzata limita il danno risarcibile, per il secondo, invece, agevola l’onere probatorio del danno subito.
Tali principi sono stati ribaditi dalle successive pronunce di questa Corte, secondo cui nel RAGIONE_SOCIALE pubblico contrattualizzato, in caso di abuso del contratto a tempo determinato da parte di una RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE., il dipendente, che abbia subito l’illegittima precarizzazione del rapporto di impiego, ha diritto, fermo restando il divieto di trasformazione in rapporto a tempo indeterminato di cui all’art. 36 del d.lgs. n. 165 del 2001, al risarcimento del danno previsto dalla medesima disposizione, con esonero dall’onere probatorio, nella misura e nei limiti di cui all’art. 32, comma 5, della legge n. 183 del 2010 e, quindi, nella misura pari ad un’indennità onnicomprensiva tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri di cui all’art. 8 della legge n. 604 del 1966 (v. tra le tante Cass. n. 16095/2016 e Cass. n. 2175/2021, v. anche, con riguardo ai contratti di somministrazione a termine, Cass. n. 446/2021).
Con la sentenza n. 5542/2023 le Sezioni Unite di questa Corte hanno precisato che in caso di reiterazione di contratti a tempo determinato, affetti da nullità perché stipulati in assenza di ragioni giustificative, qualora la conversione in rapporto lavorativo a tempo indeterminato sia impedita da norme settoriali applicabili ” ratione temporis “, le disposizioni di diritto interno che assicurano il risarcimento in ogni ipotesi di responsabilità vanno interpretate in conformità al canone dell’effettività della tutela affermato dalla CGUE con l’ordinanza del 12 dicembre 2013, C-50/13, e, pertanto, al lavoratore deve essere riconosciuto il risarcimento del danno, con esonero dall’onere probatorio nei limiti previsti dall’art. 32 della legge n. 183 del 2010 (successivamente trasfuso nell’art. 28 del d.lgs. n. 81 del 2015), ferma restando la possibilità di ottenere il ristoro di pregiudizi ulteriori, diversi dalla mancata conversione, ove allegati e provati
(l’esonero dall’onere probatorio del danno e del relativo nesso causale, nella misura e nei limiti di cui all’art. 32, comma 5, della l. n. 183 del 2010 è stato recentemente ribadito da Cass. n. 2992/2024).
La Corte territoriale, che ha tenuto conto delle previsioni contenute nell’art. 32 della legge n. 183/2010 ai fini della determinazione dell’indennità risarcitoria ed ha ritenuto che nel caso di abusiva reiterazione il danno sia presunto, si è dunque attenuta a tali principi.
Il terzo motivo è infondato.
La motivazione sui criteri di liquidazione dell’indennità risarcitoria non è omessa né apparente, atteso che la Corte territoriale, investita dell’appello dei lavoratori sulla graduazione della suddetta, ha parzialmente riformato la sentenza di primo grado, liquidandola per NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME in misura diversa dal primo giudice, valorizzando la loro anzianità di servizio, mentre per gli altri ricorrenti ha ritento congrua la liquidazione effettata dal primo giudice.
Deve comunque rammentarsi che la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguenza che è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si sia tramutata in violazione di legge costituzionalmente rilevante, esaurendosi detta anomalia nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, e risultando invece esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053/2014; Cass. n. 7090/2022).
Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
9 . Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 quater , del d.P.R. n.115 del 2002, dell’obbligo, per parte ricorrente, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a rifondere le spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per esborsi ed in € 5000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese generali nella misura del 15% e accessori di legge, con distrazione in favore dell’AVV_NOTAIO, antistatario;
dà atto della sussistenza dell’obbligo per parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n.115 del 2002, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto .
Così deciso nella Adunanza camerale del 21 marzo 2024.