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Risarcimento danno pubblico impiego: la Cassazione

Una lavoratrice del settore pubblico, assunta con una serie di contratti a tempo determinato illegittimi, ha agito in giudizio per ottenere la conversione del rapporto in tempo indeterminato e il risarcimento del danno. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9115/2019, ha ribadito il divieto di conversione del contratto nel pubblico impiego, in ossequio al principio costituzionale del concorso pubblico. Tuttavia, ha affermato il diritto della lavoratrice al risarcimento del danno per l’abuso subito. Tale danno, definito ‘comunitario’, non richiede una prova specifica ma viene presunto e liquidato dal giudice in una misura compresa tra 2,5 e 12 mensilità dell’ultima retribuzione. La Corte ha chiarito che neppure la successiva stabilizzazione della lavoratrice presso una società controllata dall’ente pubblico elimina il diritto al risarcimento per l’abuso pregresso. La sentenza della Corte d’Appello, che aveva negato il risarcimento, è stata quindi cassata con rinvio.

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Pubblicato il 13 agosto 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Risarcimento Danno Pubblico Impiego: Guida alla Sentenza della Cassazione

L’abuso di contratti a tempo determinato è una piaga che affligge da tempo il mercato del lavoro, e il settore pubblico non ne è immune. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha fatto luce su un aspetto cruciale: il risarcimento danno nel pubblico impiego per i lavoratori precari. Quando un contratto a termine viene reiterato illegittimamente da una Pubblica Amministrazione, quali sono le tutele per il lavoratore? La conversione del rapporto è possibile? E se no, come viene compensato il danno? Analizziamo la decisione per capire i principi affermati dai giudici.

I Fatti di Causa: la vicenda di una lavoratrice precaria

Una lavoratrice era stata assunta da un Ente Pubblico con una serie di contratti a tempo determinato, uno dopo l’altro, per coprire esigenze non temporanee. Ritenendo illegittima la continua apposizione del termine, ha fatto causa al datore di lavoro chiedendo:
1. La trasformazione del suo rapporto di lavoro in uno a tempo indeterminato sin dal primo contratto.
2. Il pagamento delle differenze retributive.
3. Il risarcimento dei danni subiti a causa dell’abusiva reiterazione dei contratti.

Il Tribunale, in primo grado, aveva riconosciuto l’illegittimità dei contratti ma, come da consolidato orientamento, aveva negato la conversione del rapporto, concedendo però un risarcimento del danno parametrato a venti mensilità di stipendio. La Corte d’Appello, invece, riformando la decisione, aveva negato anche il diritto al risarcimento, sostenendo che la lavoratrice non avesse fornito alcuna prova del danno patito.

L’Abuso di Contratti a Termine e il Risarcimento Danno nel Pubblico Impiego

La questione è arrivata così in Cassazione. Il nodo centrale del contendere è la forte differenza di disciplina tra settore privato e pubblico. Nel privato, un contratto a termine illegittimo porta alla sua conversione in un rapporto a tempo indeterminato. Nel pubblico, invece, l’articolo 97 della Costituzione impone l’accesso tramite concorso pubblico. Questo principio impedisce la ‘conversione automatica’ e pone il problema di quale sanzione applicare all’Amministrazione che abusa dei contratti a termine, per tutelare il lavoratore e rispettare le direttive europee (in particolare la Direttiva 1999/70/CE) che impongono misure ‘effettive e dissuasive’ contro tali abusi.

La Stabilizzazione Non Esclude il Risarcimento

Un ulteriore elemento emerso durante il giudizio è che la lavoratrice era stata infine ‘stabilizzata’, ovvero assunta a tempo indeterminato, da una società di servizi controllata dall’Ente Pubblico. L’Ente sosteneva che questa stabilizzazione dovesse escludere ogni ulteriore pretesa risarcitoria. La Cassazione ha respinto questa tesi, chiarendo che la stabilizzazione presso un ente diverso (anche se controllato) non sana l’abuso commesso in precedenza dal datore di lavoro originario.

le motivazioni

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della lavoratrice, cassando la sentenza d’Appello e fornendo un’analisi dettagliata dei principi applicabili.

Il ragionamento della Corte si basa sui seguenti punti cardine:

1. Divieto di Conversione: Viene confermato che nel pubblico impiego vige il divieto di conversione di un rapporto di lavoro a termine illegittimo in uno a tempo indeterminato. Questa regola è conforme sia alla Costituzione italiana sia al diritto dell’Unione Europea, che lascia agli Stati membri la facoltà di prevedere regimi differenziati tra settore pubblico e privato.

2. Necessità di una Sanzione Effettiva: Se la conversione è esclusa, il diritto UE impone comunque di prevedere una misura alternativa che sia realmente efficace e dissuasiva per sanzionare l’abuso. Lasciare il lavoratore senza alcuna tutela vanificherebbe lo scopo della normativa.

3. Il Risarcimento del Danno ‘Comunitario’: La Corte, richiamando una sua precedente pronuncia a Sezioni Unite (n. 5072/2016), individua questa sanzione in una specifica forma di risarcimento del danno. Non si tratta di un danno che il lavoratore deve provare nel suo esatto ammontare (onere che sarebbe spesso proibitivo), ma di un danno presunto. In pratica, si applica per analogia il meccanismo previsto dall’art. 32 della Legge n. 183/2010 per il settore privato, che prevede un’indennità onnicomprensiva.

4. Quantificazione del Danno: Questo danno presunto viene liquidato dal giudice in una somma compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto. La determinazione dell’importo esatto spetta al giudice di merito, che terrà conto della gravità della violazione, della durata del rapporto e di altre circostanze del caso concreto. Questa forbice risarcitoria crea un equilibrio: tutela il lavoratore con un’agevolazione probatoria ma non lo pone in una posizione di favore rispetto al dipendente privato.

5. Danno Ulteriore: Resta ferma la possibilità per il lavoratore di dimostrare di aver subito un danno maggiore (ad esempio, la perdita di altre e migliori opportunità lavorative), che dovrà però essere specificamente provato.

le conclusioni

La sentenza rappresenta un punto fermo nella tutela dei lavoratori precari del settore pubblico. La Corte di Cassazione stabilisce in modo chiaro che il divieto di conversione del contratto non significa impunità per la Pubblica Amministrazione. L’abuso nella reiterazione dei contratti a termine genera un diritto al risarcimento del danno pubblico impiego, che viene riconosciuto attraverso un meccanismo di presunzione che facilita la posizione del lavoratore. La successiva stabilizzazione, pur positiva, non cancella il diritto a essere risarciti per l’illegittimità subita in passato. La Corte d’Appello dovrà ora ricalcolare il danno dovuto alla lavoratrice applicando questi principi.

Un contratto a termine illegittimo nella Pubblica Amministrazione si trasforma in un contratto a tempo indeterminato?
No. A differenza del settore privato, nel pubblico impiego vige il divieto di conversione automatica del rapporto. Ciò è dovuto al principio costituzionale secondo cui l’accesso ai ruoli della P.A. deve avvenire tramite concorso pubblico.

Se la trasformazione è esclusa, il lavoratore pubblico ha diritto a un risarcimento del danno?
Sì. Il lavoratore ha diritto a un risarcimento per l’abuso subito. La Corte di Cassazione ha stabilito che si tratta di un ‘danno comunitario’ che viene presunto e non necessita di prova specifica. Il giudice lo liquida in un’indennità compresa tra 2,5 e 12 mensilità dell’ultima retribuzione, salva la possibilità per il lavoratore di provare un danno maggiore.

La successiva assunzione a tempo indeterminato (stabilizzazione) cancella il diritto al risarcimento per il periodo di precariato?
No. La Corte ha chiarito che la stabilizzazione, specialmente se ad opera di un ente diverso (anche se collegato a quello originario), non sana l’abuso pregresso e non elimina il diritto del lavoratore a ottenere il risarcimento per il danno subito a causa della reiterazione illegittima dei contratti a termine.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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