Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 32527 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 32527 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 14/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 14560-2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
STRABIONI NOME, NOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che li rappresenta e difende;
– controricorrente –
Oggetto
Lavoro – demansionamento risarcimento danno
R.G.N. 14560/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 10/10/2024
CC
avverso la sentenza n. 2220/2020 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 09/12/2020 R.G.N. 4081/2017; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/10/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
La Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 2220/2020, ha parzialmente riformato la sentenza del Tribunale di Roma n. 5150/2017, nella causa promossa da NOME COGNOME e NOME COGNOME contro Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A.
La sentenza di primo grado aveva dichiarato inammissibile la domanda di reintegrazione dei lavoratori presso Banca Monte dei Paschi di Siena per violazione del principio del ‘ne bis in idem’ , ritenendo la vicenda oggetto di un precedente giudizio, e aveva rigettato le domande risarcitorie relative al demansionamento subito dai lavoratori.
La Corte d’Appello, richiamando giudicati della stessa Corte d’Appello di Roma, sentenze n. 768 e n. 769 del 2015, che avevano già accertato un demansionamento analogo per il periodo dal 1° agosto 2008 al settembre 2009 per NOME COGNOME e dal 2 giugno 2008 al settembre 2009 per NOME COGNOME ha ritenuto che tali precedenti non avessero effetto preclusivo nel presente giudizio, in quanto il periodo dedotto in giudizio era diverso (da ottobre 2009 a dicembre 2013), e ha accertato che il demansionamento subito dai lavoratori si fosse protratto anche per tale periodo successivo.
La Corte ha quindi accertato che, a partire dall’ottobre 2009 fino al dicembre 2013, i lavoratori erano stati assegnati a mansioni inferiori rispetto al loro inquadramento contrattuale (rispettivamente QD3 per Santoiemma e QD2
per COGNOME) e ha condannato Banca Monte dei Paschi di Siena ad assegnare loro mansioni precedenti o equivalenti a quelle corrispondenti al loro livello di inquadramento.
6. Inoltre, la Corte ha riconosciuto un risarcimento del danno professionale subito dai lavoratori per effetto del demansionamento, rilevando che la protrazione di un demansionamento già accertato per il periodo precedente ha comportato un significativo depauperamento del loro bagaglio professionale, considerati i precedenti ruoli e le responsabilità che rivestivano nella qualifica di quadri, nonché la loro adibizione a compiti di minore rilevanza dopo il loro transito da Banca Antonveneta a Banca MPS. La Corte ha liquidato le somme risarcitorie di € 69.850,11 per NOME COGNOME e di € 61.642,68 per NOME COGNOME oltre agli accessori di legge.
7.Per la cassazione della predetta sentenza propone ricorso Banca Monte Paschi di Siena s.p.a., con tre motivi, cui resistono con controricorso i lavoratori; la Banca ha depositato memoria; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza .
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la ricorrente Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. in relazione all’art. 2103 c.c. In particolare, sostiene che la Corte d’Appello di Roma, nella sentenza impugnata, avrebbe erroneamente attribuito efficacia di giudicato alle sentenze precedenti n. 768/2015 e n. 769/2015, che avevano accertato il demansionamento subito dai lavoratori fino al settembre 2009, senza tenere
conto del fatto che le stesse avevano escluso la configurabilità di un danno risarcibile. Avrebbe errato la corte estendendo l’efficacia del giudicato anche al periodo successivo al settembre 2009, senza considerare che le fattispecie temporali in oggetto non erano identiche e che certamente il giudicato non poteva operare in relazione ai profili risarcitori esclusi dalle sentenze precedenti.
Con il secondo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., la ricorrente lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che era stato oggetto di discussione tra le parti. In particolare, la Banca contesta il fatto che la Corte d’Appello non abbia considerato adeguatamente le nuove mansioni attribuite alla lavoratrice NOME a partire dal marzo 2013, quando fu nominata Preposta del Reparto Garanzie Attive Nord e Toscana Nord. La ricorrente sostiene che tali mansioni avrebbero interrotto il demansionamento, contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata, che ha erroneamente ritenuto continuativo il demansionamento sino al 31 dicembre 2013. 3. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c., nonché degli artt. 2043, 1223, 1226, 1256 e 2087 c.c., in relazione alla liquidazione del danno da demansionamento. La Banca sostiene che la Corte d’Appello avrebbe erroneamente liquidato il danno in via equitativa, in assenza di una specifica allegazione e prova del pregiudizio subito dai lavoratori, poichè il risarcimento del danno non può essere riconosciuto automaticamente in tutti i casi di demansionamento, ma richiede la dimostrazione di un concreto pregiudizio alla professionalità del lavoratore.
Il ricorso è infondato.
4.1. Il primo motivo di ricorso, con il quale la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 2103 c.c., sostenendo che la Corte d’Appello avrebbe erroneamente applicato il giudicato relativo al demansionamento per il primo periodo fino al 2009 (che non era relativo anche al risarcimento del danno, escluso dai precedenti giudizi per difetto di allegazione e prova) è infondato.
Ed infatti, il principio secondo cui l’accertamento contenuto in una sentenza passata in giudicato preclude il riesame dello stesso punto di fatto e di diritto in un successivo giudizio non è applicabile nel caso di specie, in cui i fatti dedotti sono temporalmente distinti e sono oggetto di distinte valutazioni: un primo periodo di demansionamento, fino al 2009, oggetto del giudicato, e un periodo diverso (ottobre 2009 – dicembre 2013) oggetto del presente giudizio. In particolare, la Corte di appello, sul rilievo che le mansioni assegnate ai lavoratori durante il nuovo periodo non fossero comprese nel precedente giudicato ha compiuto un esame specifico evidenziando che per le ‘questioni di fatto e di diritto rimaste estranee alla pronuncia di cui si invoca il giudicato esterno, non vi è alcuna preclusione ad un nuovo accertamento’. In particolare, la corte di appello, analiticamente esaminando le mansioni svolte dai controricorrenti, ha evidenziato che le stesse sono caratterizzate da una mancanza di autonomia e responsabilità decisionale e che i compiti di coordinamento loro attribuiti si limitano ad aspetti organizzativi di natura esecutiva, senza differenziarsi in modo sostanziale dalle mansioni svolte da personale di livello inferiore.
4.2. Il secondo motivo di ricorso, con il quale la ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo, ovvero l’assegnazione a NOME COGNOME dal marzo 2013, di
mansioni più qualificanti rispetto al periodo precedente, quale Preposto del Reparto Garanzie Attive Nord e Toscana Nord, è infondato.
Ed infatti, la Corte d’Appello ha esaminato la circostanza denunciata e ha valutato, scrutinando i fatti già oggetto delle precedenti sentenze, le allegazioni nei nuovi giudizi, che le mansioni assegnate a COGNOME dal 2013 fossero limitate e non comportassero una modifica sostanziale rispetto al precedente inquadramento (cfr. punto 8 della sentenza impugnata ove la corte evidenzia che, dalla sentenza n. 768/2015, emergeva, sulla base delle stesse allegazioni di MPS, che la COGNOME svolgeva attività di back office relative alle “garanzie attive” (fideiussioni e pegni) sino al 4 marzo 2013, mansioni giudicate dequalificanti (con considerazioni che hanno valore di giudicato, dato l’identico contesto fattuale e giuridico). Deduceva ancora la corte, per il periodo successivo al 2013, esaminando le mansioni dedotte dalla lavoratrice, anche, in ragione della genericità delle allegazioni di MPS, che le stesse non possono essere ricomprese nella declaratoria dei quadri. Pertanto non si configura il dedotto omesso esame, poiché risultano valutate tutte le circostanze che presiedono al giudizio espresso dalla Corte.
4.3. Il terzo motivo di ricorso, con il quale la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 2103 c.c., in combinato disposto con gli artt. 2043, 1218, 1223, 1226, 1256 e 2087 c.c., sostenendo che la Corte abbia erroneamente riconosciuto un pregiudizio risarcibile alla professionalità in assenza di adeguata allegazione e prova di un danno non coincidente con quello ‘in re ipsa’, è infondato.
Ed infatti, in tema di dequalificazione professionale, il giudice del merito può desumere l’esistenza del relativo danno,
purchè allegato- avente natura patrimoniale – e determinarne l’entità anche in via equitativa. Ciò può avvenire attraverso un processo logico-giuridico basato su elementi di fatto, tra cui la qualità e quantità dell’esperienza lavorativa pregressa, la tipologia di professionalità colpita, la durata del demansionamento e le altre circostanze concrete. (Cass., 26 novembre 2008, n. 28274; si vedano, nel medesimo senso, Cass. 19 settembre 2014, n. 19778; Cass. 15 ottobre 2018, n. 25743; Cass. 3 gennaio 2019, n. 21; Cass. 23 luglio 2019, n. 19923; Cass. 2 ottobre 2019, n. 24585); la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione degli indicati principi.
Né risulta in alcun modo evidenziata la mancata allegazione del danno, riportando i passi del ricorso dei lavoratori, con violazione dell’onere di specificazione dei motivi di ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 5.000,00 ciascuno, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il
ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio, il 10 ottobre