Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20621 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 20621 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 16062-2024 proposto da:
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore Generale e legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente – avverso la sentenza n. 5/2024 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 04/01/2024 R.G.N. 133/2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 03/06/2025 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
Fatti di causa:
Oggetto
PUBBLICO IMPIEGO
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
Ud. 03/06/2025 CC
NOME COGNOME assumeva di prestare servizio, con rapporto di lavoro a tempo indeterminato ed inquadramento nel ruolo della dirigenza medica e veterinaria, con la qualifica di dirigente medico, presso il presidio ospedaliero di RAGIONE_SOCIALE e di svolgere l’orario di lavoro articolato su sei giorni lavorativi con flessibilità in entrata ed in uscita, e con orario minimo di 6 ore e 33 minuti e, premesso di non aver potuto usufruire del servizio mensa per l’inerzia del datore di lavoro, rassegnava le seguenti conclusioni: «1) accertare il diritto del ricorrente al risarcimento dei danni patiti per la violazione da parte della RAGIONE_SOCIALE del diritto alla mensa non goduto nella misura pari alla quota di valore nominale del buono pasto a carico dell’RAGIONE_SOCIALE ossia pari ad €. 4,15 su base giornaliera 2) per l’effetto condannare l’RAGIONE_SOCIALE al risarcimento danni in favore dell’istante nella misura di €. 8.829,94 per il diritto alla mensa non goduto; 3) accertare e dichiarare il diritto del ricorrente al risarcimento dei danni patiti per la violazione da parte della RAGIONE_SOCIALE del diritto alla pausa non goduto; 4) per l’effetto previa disapplicazione del regolamento aziendale nella parte in cui subordina in maniera illegitti ma il godimento della pausa all’espletamento di un orario di lavoro eccedente le otto ore continuative, condannare la RAGIONE_SOCIALE al risarcimento danni in favore dell’istante nella misura di €. 15.821,20 per il diritto alla pausa non goduto». La RAGIONE_SOCIALE si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto del ricorso. Il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE rigettava il ricorso.
Il ricorrente proponeva appello avverso la sentenza. La RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto dell’impugnazione. La Corte di Appello de L’Aquila, sezione lavoro, con la sentenza n. 5/2024 depositata il
04/01/2024 correggeva la motivazione del giudice di primo grado ma rigettava l’appello.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, con due motivi, NOME COGNOME. L’RAGIONE_SOCIALE si è costituita in giudizio con controricorso chiedendo il rigetto dell’impugnazione.
La parte ricorrente e la parte controricorrente hanno depositato memorie ex art. 380-bis. 1, c.p.c..
Il ricorso è stato trattato dal Collegio nella camera di consiglio del 3 giugno 2025.
Ragioni della decisione:
Con il primo motivo di ricorso si deduce in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cpc, violazione e falsa applicazione dell’art. 24 commi primo e secondo CCNL Dirigenza Medica e Veterinaria 2016/2018 come modificato dall’art. 18 CCNL Dirigenza Medica e Veterinaria del 6/5/2010 (diritto alla mensa) e di ogni altra norma di principio in materia di interpretazione delle disposizioni collettive di diritto comune e dei contratti in genere. Si critica la sentenza di appello perché, dopo aver riconosciuto il diritto del ricorrente al buono pasto e aver definito illegittima la condotta della RAGIONE_SOCIALE controricorrente che non ha riconosciuto al ricorrente né la mensa, né i buoni pasto né alcuna prestazione sostitutiva, ha respinto la domanda spiegata in primo grado, e riproposta in appello.
Con il secondo motivo di ricorso si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. violazione dell’art. 1218 c.c. e del l’art. 8 d.lgs n. 66/2003 e violazione dell’art. 112 cpc. Si critica la sentenza impugnata nella parte in cui avrebbe erroneamente negato il bene della vita domandato, atteso che il ricorrente non aveva affatto formulato una richiesta di
monetizzazione del buono pasto, ma aveva inteso formulare una domanda di condanna al risarcimento del danno per inadempimento contrattuale.
I motivi possono essere esaminati congiuntamente e sono fondati.
3.1. La sentenza impugnata ha riconosciuto il diritto del ricorrente alla fruizione del buono pasto nelle giornate in cui la sua prestazione lavorativa supera le otto ore (in ragione della applicazione del c.c.n.l. dirigenti medici), argomentando in relazione «all’avvenuta istituzione, da parte della ASL appellata, di servizio mensa presso altro presidio ospedaliero e di garanzia sostitutiva dell’esercizio del diritto di mensa mediante erogazione di buoni pasto al personale del p.o. di appartenenza dell’app ellante, consegue la sussistenza del diritto alla fruizione di buoni pasto anche da parte di questi, essendo illegittima la limitazione, adottata dalla RAGIONE_SOCIALE, dell’erogazione dei buoni al solo personale con orario di lavoro frazionato [..] una volta che la RAGIONE_SOCIALE appellata, in base alla citata disposizione di CCNL, ha ritenuto che il proprio assetto organizzativo e le risorse economiche a disposizione le consentissero di garantire l’esercizio del diritto di mensa ai propri dipendenti dell’ospedale di RAGIONE_SOCIALE con modalità sostitutive, il diritto spetta a tutti i dipendenti che operino in base a quella particolare articolazione dell’orario di lavoro cui il CCNL subordina il diritto alla pausa e quindi al servizio mensa o la fruizione dei buoni pasto sostitutivi, i n quanto la determinazione dell’articolazione oraria rilevante a tali effetti è riservata alla contrattazione collettiva e non può essere unilateralmente derogata dalla datrice di lavoro».
3.2. La sentenza ha, nondimeno, respinto la domanda di risarcimento del danno spiegata dal ricorrente argomentando come di seguito «l’appellante non ha però richiesto l’erogazione
dei buoni pasto, ma il risarcimento dei danni asseritamente patiti per la violazione da parte datoriale del proprio diritto alla mensa non goduto, quantificati nel controvalore economico della quota dei buoni pasto a carico della ASL appellata, avanzando così non domanda di adempimento, ma di risarcimento da inadempimento per equivalente, ex artt. 1218 e 1223 c.c..9. Al riguardo va osservato che ex art. 24 c. 4 CCNL 10/2/2004 cit. i buoni pasto (che costituiscono, come già osservato sub 2.1, agevolazione di carattere assistenziale) non sono monetizzabili e l’adempimento della relativa obbligazione -mediante erogazione dei buoni sarebbe ancora possibile da parte dell’appellata, essendo il rapporto di lavoro tra le parti ancora in corso». La sentenza prosegue, poi affermando che «d eve quindi ritenersi che a seguito dell’omessa erogazione, per il periodo per cui è causa, l’appellante abbia titolo alla sola azione di adempimento contrattuale, ovvero che il relativo danno sia risarcibile solo in forma specifica (cfr. al riguardo, appunto in ragione della non monetizzabilità del buono pasto, Cass. n. 32113/2022 -ud.19/10/2022, dep. 31/10/2022), salvo eventuale danno da ritardato adempimento, essendo ammesso il risarcimento per equivalente soltanto laddove l’adempi mento non sia più possibile (ad esempio, a causa della sopravvenuta cessazione del rapporto di lavoro). 9.2. La domanda dell’appellante, per come formulata, è quindi infondata, avendo egli proposto domanda di risarcimento per equivalente, non riqualificabile in termini di risarcimento in forma specifica, stante la diversità del petitum (..), e non avendo egli dedotto la sussistenza di danni da ritardato adempimento».
3.3. Orbene, ad avviso del Collegio la sentenza è meritevole di censura innanzi tutto nella parte in cui afferma che essendo
ancora in corso il rapporto di lavoro, il ricorrente non avrebbe diritto al risarcimento del danno perché potrebbe e dovrebbe chiedere la corresponsione diretta dei buoni pasto. In senso contrario deve osservarsi come dalla stessa sentenza impugnata emerga come la RAGIONE_SOCIALE abbia negato in via giudiziale e stragiudiziale il buono pasto, non abbia realizzato la mensa presso il presidio ospedaliero di servizio del ricorrente e non abbia corrisposto succedanei. Si tratta, allora, di una prestazione contrattualmente dovuta e negata. Il lavoratore a fronte della condotta datoriale può agire in giudizio per accertare l’inadempimento e ove siano sussistenti e dimostrati i relativi presupposti ottenere il risarcimento del danno che, negata la prestazione dovuta, non può che riguardare il risarcimento per equivalente. A queste conclusioni reca la giurisprudenza di questa Corte e l’esatta interpretazione del precedente, citato dalla sentenza impugnata ma non rettamente inteso, costituito da Cass. 31/10/2022, n. 32113, pronuncia che afferma come, una volta accertato il diritto alla fruizione del buono pasto e l’inadempimento del datore di lavoro, il lavoratore possa agire non per ottenere un importo economico a titolo retributivo, atteso che il buono pasto non è monetizzabile, ma per ottenere un ristoro economico a titolo di risarcimento del danno per equivalente.
3.4. Può, allora, comprendersi come la sentenza impugnata meriti censura, sulla scorta dei vizi denunciati, anche nella parte afferma che la domanda spiegata in primo grado dal ricorrente è mal formulata perché diretta al risarcimento del danno per equivalente e non al risarcimento del danno in forma specifica. In realtà la domanda, spiegata in via generale per il risarcimento del danno derivante dalla negazione della prestazione contrattuale dovuta vale a cogliere nel segno e mira ad ottenere
il succedaneo economico, a titolo di ristoro per equivalente, del bene della vita negato.
In definitiva il ricorso deve essere accolto, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte di Appello de L’Aquila, in diversa composizione, alla quale è demandata anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello de L’Aquila, in diversa composizione, alla quale è demandata anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione