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Risarcimento buoni pasto: sì al danno per equivalente

Un dirigente medico si è visto negare il diritto alla mensa e ai buoni pasto sostitutivi. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 20621/2025, ha stabilito un principio fondamentale: quando il datore di lavoro nega illegittimamente una prestazione contrattuale come il buono pasto, il lavoratore ha diritto a richiedere direttamente il risarcimento del danno per equivalente, ovvero una somma di denaro pari al valore del beneficio non goduto, anche se il rapporto di lavoro è ancora in corso. La Corte ha chiarito che la richiesta di risarcimento è legittima e non va confusa con una richiesta di ‘monetizzazione’ del buono pasto, rappresentando invece il giusto ristoro per l’inadempimento del datore.

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Pubblicato il 29 agosto 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Risarcimento buoni pasto: la Cassazione conferma il diritto del lavoratore

Un lavoratore a cui viene negato il buono pasto ha diritto a un indennizzo economico? La questione del risarcimento buoni pasto è stata al centro di una recente ordinanza della Corte di Cassazione, che ha fornito chiarimenti cruciali sul diritto del dipendente a ottenere un ristoro economico quando il datore di lavoro non adempie al suo obbligo di fornire il servizio mensa o una prestazione sostitutiva. Questa decisione segna un punto importante a favore dei lavoratori, specificando che la richiesta di un indennizzo monetario è legittima anche a rapporto di lavoro in corso.

I fatti del caso: il diritto alla mensa negato a un dirigente medico

Il caso ha origine dalla vicenda di un dirigente medico di un’azienda sanitaria locale. Il suo orario di lavoro superava le sei ore continuative, dandogli diritto, secondo il contratto collettivo, al servizio mensa o a una prestazione sostitutiva, come i buoni pasto. Tuttavia, l’azienda sanitaria non aveva mai fornito né l’uno né l’altro, negando di fatto un diritto contrattualmente previsto.

Di fronte a questo inadempimento, il medico si è rivolto al Tribunale per chiedere il risarcimento dei danni subiti, quantificandoli nel valore economico dei buoni pasto non percepiti e nel danno per la mancata fruizione della pausa.

Le decisioni nei primi gradi di giudizio

Tanto il Tribunale quanto la Corte d’Appello hanno respinto le richieste del lavoratore. In particolare, la Corte d’Appello, pur riconoscendo l’illegittimità del comportamento dell’azienda sanitaria e il diritto del medico ai buoni pasto, ha rigettato la domanda di risarcimento. La motivazione dei giudici di secondo grado si basava su un’interpretazione restrittiva: poiché il rapporto di lavoro era ancora attivo, il lavoratore avrebbe dovuto chiedere l’adempimento della prestazione (cioè la consegna dei buoni pasto) e non un risarcimento in denaro. Secondo questa visione, il risarcimento per equivalente sarebbe stato possibile solo in caso di cessazione del rapporto di lavoro, quando la prestazione in forma specifica non è più eseguibile.

La svolta della Cassazione sul risarcimento buoni pasto

La Corte di Cassazione ha completamente ribaltato la decisione della Corte d’Appello, accogliendo il ricorso del medico. La Suprema Corte ha stabilito che la pretesa del lavoratore non era una richiesta di “monetizzazione” del buono pasto, ma una legittima domanda di risarcimento del danno per equivalente derivante dall’inadempimento contrattuale del datore di lavoro.

Le motivazioni della Suprema Corte

Il ragionamento della Corte si fonda su principi chiari del diritto civile. Quando una parte di un contratto (in questo caso, il datore di lavoro) non esegue la prestazione dovuta (fornire i buoni pasto) e nega tale diritto, l’altra parte (il lavoratore) è pienamente legittimata ad agire in giudizio per ottenere il risarcimento del danno.

La Corte ha specificato che, di fronte a un inadempimento conclamato e persistente, non si può costringere il lavoratore a chiedere all’infinito una prestazione che gli viene sistematicamente negata. La richiesta di risarcimento monetario diventa quindi lo strumento per ottenere un ristoro economico per il bene della vita che gli è stato negato.

Citando un proprio precedente (Cass. n. 32113/2022), la Cassazione ha ribadito che, una volta accertato l’inadempimento, il lavoratore può agire per ottenere un ristoro economico a titolo di risarcimento del danno per equivalente. La domanda era quindi correttamente formulata fin dall’inizio, poiché mirava a ottenere il “succedaneo economico” del bene non goduto.

Conclusioni: cosa cambia per i lavoratori

Questa ordinanza rappresenta una tutela importante per tutti i dipendenti. Il principio affermato è che il diritto alla mensa o al buono pasto non è un beneficio secondario, ma un obbligo contrattuale il cui inadempimento genera un danno risarcibile. I lavoratori non sono obbligati a intraprendere azioni legali per ottenere la prestazione in forma specifica se il datore di lavoro ha già manifestato la sua volontà di non adempiere. Possono, invece, rivolgersi direttamente al giudice per chiedere una somma di denaro che compensi il valore dei buoni pasto non ricevuti. La sentenza è stata cassata con rinvio alla Corte di Appello, che dovrà ora decidere sulla base di questo principio e liquidare il danno al lavoratore.

Se il mio datore di lavoro non mi fornisce i buoni pasto a cui ho diritto, posso chiedere un risarcimento in denaro?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, se il datore di lavoro nega illegittimamente la prestazione dei buoni pasto, il lavoratore può agire in giudizio per ottenere un risarcimento del danno per equivalente, ovvero una somma di denaro corrispondente al valore dei buoni non goduti.

Devo aspettare la fine del rapporto di lavoro per chiedere il risarcimento dei buoni pasto non ricevuti?
No. La Corte ha chiarito che il diritto al risarcimento del danno sorge a causa dell’inadempimento del datore e può essere fatto valere anche se il rapporto di lavoro è ancora in corso. Non è necessario attendere la cessazione del contratto.

La mia richiesta di risarcimento equivale a una ‘monetizzazione’ del buono pasto, che spesso non è consentita?
No. La Corte di Cassazione ha specificato che la richiesta non è una monetizzazione del buono, ma una domanda di risarcimento per il danno subito a causa della mancata erogazione di una prestazione contrattualmente dovuta. Si tratta di un ristoro economico per un diritto violato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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