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Risarcimento buoni pasto: la Cassazione chiarisce

Un dirigente medico ha citato in giudizio l’Azienda Sanitaria Locale per ottenere il risarcimento del danno derivante dalla mancata erogazione del servizio mensa o dei buoni pasto sostitutivi. Dopo il rigetto nei primi due gradi di giudizio, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso. La Suprema Corte ha chiarito che, sebbene i buoni pasto non siano monetizzabili, il lavoratore ha diritto a un risarcimento per equivalente se il datore di lavoro non adempie all’obbligo di fornirli. La domanda non va intesa come richiesta di monetizzazione, ma come legittima pretesa di risarcimento buoni pasto per inadempimento contrattuale.

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Pubblicato il 24 agosto 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Risarcimento Buoni Pasto: Quando il Diritto si Trasforma in Denaro

Il diritto al buono pasto è una questione centrale nel rapporto di lavoro, spesso fonte di contenziosi. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito un chiarimento fondamentale sulla differenza tra la monetizzazione del buono, generalmente non permessa, e il risarcimento buoni pasto per inadempimento del datore di lavoro. Questa decisione apre importanti prospettive per i lavoratori che si vedono negare questo diritto.

I Fatti del Caso

Un dirigente medico, dipendente di un’Azienda Sanitaria Locale (ASL), svolgeva il suo lavoro con un orario che superava le sei ore giornaliere, distribuito su sei giorni, includendo le fasce orarie destinate al pranzo e alla cena. Nonostante ciò, non poteva usufruire del servizio mensa aziendale, assente presso il suo presidio ospedaliero, né gli venivano corrisposti i buoni pasto sostitutivi. L’ASL, infatti, aveva limitato l’erogazione dei buoni pasto solo al personale con orario di lavoro frazionato, escludendo il dirigente.
Il medico ha quindi avviato una causa per ottenere il risarcimento del danno subito a causa del mancato godimento del servizio. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno respinto la sua domanda, seppur con motivazioni diverse. La Corte d’Appello, in particolare, pur riconoscendo l’illegittimità della limitazione imposta dall’ASL e quindi il diritto del medico al buono pasto, ha rigettato la richiesta considerandola una domanda di monetizzazione di un beneficio non monetizzabile.

La Decisione della Corte e il Diritto al Risarcimento Buoni Pasto

La Corte di Cassazione ha ribaltato la decisione dei giudici di merito, accogliendo il ricorso del dirigente medico. La Suprema Corte ha stabilito che la Corte d’Appello ha commesso un errore nell’interpretare la domanda del lavoratore. Non si trattava di una richiesta di monetizzare i buoni pasto, ma di una domanda di risarcimento del danno per inadempimento contrattuale, in conformità con l’articolo 1218 del codice civile.
Il lavoratore, infatti, non chiedeva di convertire un diritto in denaro, ma di essere ristorato per la perdita subita a causa della condotta inadempiente del datore di lavoro. Il valore dei buoni pasto non fruiti veniva utilizzato solo come parametro per quantificare economicamente tale danno.

Le Motivazioni

La motivazione della Cassazione si fonda su una distinzione giuridica cruciale. I buoni pasto hanno carattere assistenziale e non retributivo, e per questo non sono, di norma, ‘monetizzabili’. Tuttavia, questo non significa che l’inadempimento del datore di lavoro all’obbligo di fornirli resti senza conseguenze.
La Corte richiama il principio della “perpetuatio obligationis”, secondo cui un’obbligazione non adempiuta si converte nell’obbligo di risarcire il danno equivalente. L’impossibilità di fruire del servizio mensa o dei buoni pasto fa sorgere in capo al lavoratore il diritto a un ristoro economico che compensi la perdita subita.
In sostanza, il dipendente può agire in giudizio non per ottenere un importo a titolo di retribuzione, ma per un ristoro economico a titolo di risarcimento. Questo risarcimento può essere legittimamente parametrato al valore dei buoni pasto che avrebbe dovuto ricevere.

Le Conclusioni

Questa ordinanza consolida un importante principio a tutela dei lavoratori. Anche se un beneficio come il buono pasto non può essere semplicemente convertito in denaro, l’inadempimento del datore di lavoro genera un danno che deve essere risarcito. La decisione chiarisce che la richiesta del lavoratore non deve essere etichettata frettolosamente come ‘monetizzazione’, ma va inquadrata nella corretta cornice del risarcimento del danno per inadempimento contrattuale. Per i datori di lavoro, ciò rappresenta un monito a non negare illegittimamente i diritti previsti dai contratti collettivi, poiché tale condotta può portare a una condanna al risarcimento del danno per equivalente.

Un dipendente può ricevere un pagamento in denaro al posto dei buoni pasto non erogati?
Sì, ma non come ‘monetizzazione’ del buono, bensì come risarcimento del danno per inadempimento del datore di lavoro. L’importo economico è un ristoro per la perdita subita e può essere parametrato al valore dei buoni pasto non fruiti.

Qual è la differenza tra monetizzazione di un buono pasto e risarcimento del danno?
La monetizzazione è la conversione diretta del buono pasto, che ha natura assistenziale, in un importo economico, e non è generalmente consentita. Il risarcimento del danno, invece, è un rimedio previsto dalla legge (art. 1218 c.c.) che sorge quando il datore di lavoro non adempie all’obbligo contrattuale di fornire il servizio mensa o i buoni pasto, causando un danno al lavoratore.

Se un’azienda ha una mensa in una sola sede, è obbligata a dare i buoni pasto ai dipendenti di altre sedi?
La sentenza suggerisce che, una volta istituito il servizio mensa, l’azienda deve garantire il diritto alla fruizione anche al personale di altri presidi, ad esempio tramite misure sostitutive come i buoni pasto. Limitare l’erogazione dei buoni solo a determinate categorie di dipendenti (es. con orario frazionato) può essere considerata una condotta illegittima se le condizioni contrattuali per il diritto al pasto sono soddisfatte anche da altri.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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