Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 21981 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 21981 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/07/2025
Oggetto: ripetizione indebito
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 15954/2023 R.G. proposto da NOME COGNOME rappresentato e difeso dagli Avv.ti NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo Studio RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE e associati;
-ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, in persona del legale rappresentate p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato e domiciliato presso di essa in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Perugia n. 91/2023 pubblicata il 7 giugno 2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17 giugno 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso perché la Suprema Corte ; udito l’Avv. NOME COGNOME della parte ricorrente, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso, e l’Avv. NOME COGNOME della P.A. controricorrente, che ha concluso per il suo rigetto.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato presso il Tribunale di Terni NOME COGNOME ha esposto che:
era dipendente dell’amministrazione civile dell’Interno;
era stato inquadrato dal 12 febbraio 2008 nella qualifica C-c1 e, secondo il nuovo sistema di classificazione del personale di cui al CCNL 2006-2009 e al CCNI 2006-2009, era stato inserito nell’Area Funzionale Terza, fascia retributiva F1;
il superiore inquadramento era stato riconosciuto con grave e ingiustificato ritardo, in quanto esso sarebbe dovuto decorrere dal 31 dicembre 2007 o dal 1° gennaio 2008;
in seguito, aveva ottenuto il passaggio alla fascia retributiva F2, con decorrenza 1° gennaio 2010;
aveva pure chiesto di partecipare alla selezione del 2020 per ottenere la fascia F3;
con d.m. 1691 del 2020, in esecuzione di sentenza del Tribunale di Matera n. 1063/2013, divenuta definitiva, era stata esclusa, assieme ad altri 91 dipendenti, dalla graduatoria già approvata per l’acquisizione della superiore fascia retributiva F2 area funzionale terza, sul presupposto che non fosse in possesso del requisito della permanenza non inferiore ai due anni nella fascia retributiva F1, da individuarsi alla data del 31 dicembre 2009;
aveva dovuto rinunciare a partecipare alla selezione del 2020 finalizzata a conseguire la fascia F3;
era stato inserito nella graduatoria per il passaggio alla fascia F2 approvata con d.m. 1898 del 23 dicembre 2020;
il Ministero dell’Interno aveva intrapreso azioni volte al recupero delle differenze salariali erogate ai lavoratori dal gennaio 2010 fino alla data della sua estromissione dalla graduatoria del 2010.
Egli ha chiesto che:
fosse reinserito nella graduatoria con il conseguimento dello sviluppo economico dalla fascia retributiva F1 a F2;
fosse accertata l’irripetibilità delle somme corrisposte a titolo retributivo e contributivo in ragione della perdita della fascia retributiva F2;
fosse accertato il suo diritto al risarcimento del danno per perdita di chances .
Il Tribunale di Terni, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 67/2023, ha accolto la sola domanda di accertamento dell’irripetibilità delle somme.
Il Ministero dell’Interno ha proposto appello.
La Corte d’appello di Perugia, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 91/2023 , ha accolto l’appello.
NOME COGNOME ha presentato ricorso per cassazione sulla base di due motivi e ha depositato memoria.
Il Ministero dell’Interno si è difeso con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente contesta la violazione o falsa applicazione dell’art. 2126 in quanto, a differenza di quanto ritenuto dalla Corte territoriale, nella specie avrebbe dovuto essere applicata
quest’ultima disposizione, nonostante non vi fosse stato l’esercizio di mansioni superiori, essendo sufficiente l’assegnazione di una fascia retributiva superiore un’assegnazione di mansioni superiori.
La doglianza è infondata.
La S.C. ha già chiarito, in tema di pubblico impiego contrattualizzato, che, qualora una P.A. attribuisca un determinato trattamento economico di derivazione contrattuale, l’atto deliberativo non è sufficiente a costituire una posizione giuridica soggettiva in capo al lavoratore medesimo, occorrendo anche la conformità alle previsioni della contrattazione collettiva, in assenza della quale l’atto risulta essere affetto da nullità, con la conseguenza che la stessa P.A., anche nel rispetto dei principi sancit i dall’art. 97 Cost., è tenuta al ripristino della legalità violata (Cass. n. 30/2020; Cass. n. 25018/2017; Cass. n. 3826/2016; Cass. n. 16088/2016).
Si è aggiunto che non è applicabile al rapporto di impiego alle dipendenze delle amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001 il principio in base al quale la corresponsione di una retribuzione maggiore rispetto a quella dovuta in forza della contrattazione collettiva costituisce trattamento di miglior favore e può essere chiesta in restituzione solo previa dimostrazione di un errore riconoscibile e non imputabile al datore, perché, al contrario, il datore di lavoro pubblico è tenuto a ripetere le somme corrisposte sine titulo e la ripetibilità degli importi corrisposti in eccesso non può essere esclusa ex art. 2033 c.c. per la buona fede dell’ accipiens , in quanto questa norma riguarda, sotto il profilo soggettivo, soltanto la restituzione dei frutti e degli interessi (Cass. n. 4323/2017 e, negli stessi termini, Cass. n. 8338/2010 e Cass. n. 29926/2008).
Inoltre, non può escludere il diritto del Ministero dell’Interno a ripetere le retribuzioni corrisposte in eccesso la qualità della prestazione resa, posto che le posizioni economiche, che si acquisiscono solo all’esito delle apposite procedure, non comportano l’esercizio di mansioni superiori e, pertanto, nelle ipotesi di illegittimo conferimento delle stesse, non può essere invocato l’art. 2126 c.c.
2) Con il secondo motivo il ricorrente contesta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2033 c.c.
Egli richiama giurisprudenza amministrativa e della CEDU (sentenza COGNOME contro Italia dell’11 febbraio 2021) che avrebbe escluso la ripetibilità delle somme indebitamente versate dalla P.A., qualora, sussistendo la buona fede dell’ accipiens , la detta P.A. agisca con notevole ritardo per la ripetizione.
La colpa del Ministero dell’Interno sarebbe stata desumibile anche dall’erronea predisposizione del bando per il passaggio alla fascia F2 e dal ritardo con il quale avevano riconosciuto il suo inquadramento nell’Area funzionale terza, fascia F1.
La censura è inammissibile.
In primo luogo, si evidenzia che la Corte d’appello di Perugia ha espressamente escluso, con una valutazione di merito non più sindacabile, in quanto tale, nella presente sede, che la presente controversia fosse paragonabile a quella presa in esame dal giudice di Strasburgo, non potendosi sostenere che il ricorrente avesse percepito le somme oggetto di lite in buona fede e che sussistesse un suo legittimo affidamento.
Si osserva, poi, che la situazione che ha dato origine alla richiesta ripetizione nasce dalla presentazione di una richiesta di passaggio a una posizione economica superiore avanzata dal ricorrente pur non possedendo i prescritti requisiti di legittimazione e nella necessità della P.A. di conformarsi a un giudicato dell’autorità giudiziaria ordinaria.
Le suddette situazioni escludono la configurabilità di un legittimo affidamento, data la correttezza dell’operato della P.A.
Al riguardo, si sottolinea che la stessa Corte costituzionale, con la sentenza n. 8 del 2023, ha negato che possa escludersi il diritto della P.A. a chiedere indietro le somme indebitamente versate solo per ragioni collegate al legittimo affidamento del debitore e alle
circostanze che hanno portato alla formazione della menzionata giurisprudenza sovranazionale.
3) Il ricorso è rigettato, in applicazione dei seguenti principi di diritto:
‘In tema di pubblico impiego contrattualizzato, qualora una P.A. attribuisca un determinato trattamento economico di derivazione contrattuale, l’atto deliberativo non è sufficiente a costituire una posizione giuridica soggettiva in capo al lavoratore medesimo, occorrendo anche la sua conformità alle previsioni della contrattazione collettiva, in assenza della quale tale atto risulta essere affetto da nullità, con la conseguenza che la stessa P.A., anche nel rispetto dei principi sanciti dall’art. 97 Cost., è tenuta al ripristino della legalità violata, agendo per la restituzione delle somme indebitamente versate’;
‘Non è applicabile al rapporto di impiego alle dipendenze delle amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001 il principio in forza del quale la corresponsione di una retribuzione maggiore rispetto a quella dovuta in forza della contrattazione collettiva costituisce trattamento di miglior favore e può essere chiesta in restituzione solo previa dimostrazione di un errore riconoscibile e non imputabile al datore. Al contrario, il datore di lavoro pubblico è tenuto a ripetere le somme corrisposte sine titulo e la ripetibilità degli importi corrisposti in eccesso non può essere esclusa ex art. 2033 c.c. per la buona fede dell’ accipiens , in quanto questa norma riguarda, sotto il profilo soggettivo, soltanto la restituzione dei frutti e degli interessi’;
‘In tema di pubblico impiego contrattualizzato, la progressione economica nell’ambito di un’area professionale omogenea non comporta l’esercizio di mansioni superiori e, pertanto, nelle ipotesi di illegittimità di detta progressione, non trova applicazione l’art. 2126 c.c. e la P.A. ha il dovere di ripetere le retribuzioni corrisposte in eccesso’.
Le spese di lite sono compensate, in ragione della novità della questione e dell’esito contrastante dei giudizi di merito.
Si attesta che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale (d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater), se dovuto.
P.Q.M.
La Corte,
rigetta il ricorso;
compensa le spese di lite;
-attesta che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione