Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 7923 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 7923 Anno 2025
Presidente: RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 8521/2024 proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME quali eredi di COGNOME NOME, rappresentati e difesi dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME e domiciliati in Roma, presso la Cancelleria della Suprema Corte di Cassazione;
-ricorrenti –
contro
Comune di Scandicci, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME e domiciliato in Roma, presso la Cancelleria della Suprema Corte di Cassazione;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della Corte d’appello di Firenze n. 616/2023 pubblicata il 6 novembre 2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 febbraio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d’Appello di Firenze, con la sentenza n. 550 del 2016, riformava la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva rigettato i ricorsi proposti nei confronti del Comune di Scandicci da più lavoratori, tra cui gli odierni ricorrenti NOME COGNOME e NOME COGNOME quali eredi di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME tutti dipendenti del Comune, che avevano opposto le ingiunzioni ex R.D. n. 639/1910, con le quali gli era stata richiesta la restituzione delle somme corrisp oste dall’ente, negli anni dal 2002 al 2006, a titolo di indennità di disagio.
La Corte territoriale, riassunti i termini della controversia, aveva ritenuto che la stessa potesse essere decisa sulla base della disposizione dettata dall’art. 4, comma 3, del d.l. n. 16/2014, convertito dalla legge n. 68/2014, intervenuto in corso di causa.
Escludeva che l’inapplicabilità del comma 3 quinquies dell’art. 40 del d.lgs. n. 165/2001 e la conseguente sanatoria dei pagamenti indebiti, previste dallo ius superveniens , potessero essere limitate agli atti di costituzione e di utilizzo dei fondi intervenuti dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 150/2009.
Riteneva, inoltre, che fosse onere del Comune di Scandicci, non degli appellanti, dimostrare l’assenza delle condizioni ostative alla sanatoria richiamate dal comma 3 del citato art. 4, ossia il riconoscimento giudiziale definitivo della responsabilità erariale o il mancato rispetto del patto di stabilità.
Per la cassazione della sentenza proponeva ricorso il Comune di Scandicci sulla base di due motivi, ai quali hanno opposto difese, con tempestivo controricorso, i lavoratori.
Questa Corte, con ordinanza n. 12109 del 13 aprile 2022, ha accolto il primo motivo di ricorso per cassazione del Comune di Scandicci, con il quale era stata denunciata la «violazione e/o falsa applicazione dell’art. 4, comma 3, del d.l. n. 16/2014, conver tito in L. n. 68/2014; violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2033 cod. civ.; omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti»; ha assorbito il secondo e ha cassato con rinvio la sentenza della Cor te d’Appello di Firenze n. 550 del 2016.
Con il ricorso per cassazione il Comune di Scandicci, premesso il carattere eccezionale del citato art. 4, aveva sostenuto, in sintesi, che le azioni individuali di ripetizione di indebito erano state vietate dal legislatore solo nei casi espressamente indicati, nessuno dei quali ricorrente nella fattispecie, nella quale non si discuteva di errata costituzione o di errato utilizzo del fondo e neppure dell’applicabilità della norma derogata, ossia dell’art. 40, comma 3 quinquies del d.lgs. n. 165/2001, introdotto dal d.lgs. n. 150/2009.
Questa Corte, con la citata ordinanza n. 12109 del 2022, ha affermato che erroneamente la sentenza d’appello impugnata aveva applicato il comma 3 dell’art. 4 d.l. n. 16 del 2014 ad atti di costituzione e di utilizzo dei fondi avvenuti negli anni 2002 – 2006, periodo anteriore alla entrata in vigore del richiamato art. 40, comma 3 quinquies, periodo 5, d.lgs. n. 165 del 2001 (il comma è stato inserito nel testo dell’art. 40 dal d.lgs. n. 150 del 2009, art. 54, comma 1.
Infatti, secondo l’interpretazione accolta nella sentenza impugnata, la previsione di sanatoria ex art. 4, comma 3, d.l. n. 16 del 2014 opererebbe a ritroso, senza un momento temporale iniziale.
Tale interpretazione non è stata ritenuta corretta, in quanto non conforme al principio già espresso da questa Corte con le ordinanze del 4 aprile 2019 n. 9496 e del 12 aprile 2019 n. 10411 e, più diffusamente, con l’ordinanza del 14 dicembre 2021 n. 40004, secondo il quale la retroattività della sanatoria è temporalmente limitata agli atti di costituzione e di utilizzo dei fondi adottati in epoca successiva alla entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2009.
A seguito della cassazione con rinvio, i lavoratori e i loro eredi hanno riassunto il giudizio davanti alla Corte d’appello di Firenze che, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 616/2023, ha rigettato i loro ricorsi originari.
COGNOME NOME, COGNOME NOMECOGNOME NOME e COGNOME NOME quali eredi di COGNOME NOME, hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.
Il Comune di Scandicci si è difeso con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1218, 1337 e 1375 c.c., in combinato disposto con l’art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 alla CEDU, anche alla luce della Corte costituzionale n. 8 del 2023.
Sostengono che avrebbero introdotto, fin dall’inizio, in via subordinata, una domanda risarcitoria e che l’indebito, ove esistente, sarebbe derivato, comunque, da un errore colpevole del Comune di Scandicci.
La situazione in questione sarebbe conseguita a un errore del Comune di Scandicci, che avrebbe scelto di avvalersi di strumenti giuridici non appropriati, per l’esattezza di utilizzare il Progetto Sicurezza e non i progetti finalizzati, compensati con uno specifico incentivo.
Essi chiedono, quindi, tutela per il loro legittimo affidamento nei termini indicati dalle sentenze della Corte EDU Casarin/Italia e della Corte costituzionale n. 8 del 2023, deducendo come fosse irrilevante la circostanza che potessero ricevere in altro modo le somme domandate.
Con il secondo motivo, che richiama la stessa normativa sopra citata e l’omesso esame di un fatto decisivo, i ricorrenti censurano la sentenza di appello per avere ritenuto infungibili il Progetto Sicurezza e i progetti finalizzati, come si evincerebbe dall’accordo intervenuto con le organizzazioni sindacali del 14 maggio 2002.
Con il terzo motivo, che ancora richiama la citata normativa, i ricorrenti lamentano la mancata rateizzazione delle somme domandate.
Le censure, che possono essere trattate congiuntamente, stante la stretta connessione, sono inammissibili.
Infatti, i ricorrenti indicano in maniera estremamente generica le circostanze che giustificherebbero l’esistenza di un loro affidamento.
Peraltro, non può certo giustificare una responsabilità del Comune di Scandici il semplice fatto di avere optato per uno strumento giuridico piuttosto che per un altro.
Quanto al giudizio di infungibilità del Progetto Sicurezza e dei progetti finalizzati, la doglianza dei ricorrenti si fonda sull’esame dell’intesa intervenuta con le organizzazioni sindacali nel 2002 che, però, non può essere qui esaminata.
Inoltre, si evidenzia che la sentenza della Corte costituzionale n. 8 del 2023 non ha ammesso la possibilità di dichiarare del tutto irripetibile un credito da indebito pagamento, ma ha solo prescritto che il relativo recupero avvenga conformemente ai principi in tema di buona fede.
Come ricordato da questa Corte (Cass., n. 24807 del 2023) la Corte costituzionale con la suddetta pronuncia ha escluso che l’azione di ripetizione di indebito, anche se calata nel particolare contesto delle retribuzioni illegittimamente erogate e percepite in buona fede, sia di per sé incompatibile con il dettato costituzionale. Il giudice delle leggi ha evidenziato che l’ordinamento nazionale delinea un quadro di tutele dell’affidamento legittimo sulla spettanza di una prestazione indebita che, se adeguatamente valorizzato, permette di escludere l’illegittimità costituzionale dell’art. 2033, c.c., senza negare -anche in quelle situazioni -il diritto del creditore alla ripetizione dell’indebito. Il fondamento di tali tutele viene indicato nella clausola ge nerale di cui all’art. 1175 c.c., che vincola il creditore a esercitare la sua pretesa tenendo in debita considerazione la sfera di interessi del debitore, potendo determinare, in relazione alle caratteristiche del caso concreto, la temporanea inesigibilità del credito, totale o parziale, con conseguente dovere del creditore di accordare una rateizzazione del pagamento in restituzione.
Nella specie, la corte territoriale ha accertato che il Comune di Scandicci aveva concordato il recupero delle somme in questione con le organizzazioni sindacali con modalità agevolate e che i controricorrenti non avevano allegato di versare in condizioni personali tali da comportare l’inesigibilità della prestazione.
Il giudice di appello ha pure verificato le modalità del recupero operato dal Comune di Scandicci, avvenuto in maniera non improvvisa, ma dopo anni dalla prima richiesta, e con una proposta di rateizzazione.
Ha fatto presente, poi, che il recupero coattivo, essendo i lavoratori ormai in pensione, sarebbe dovuto avvenire nei limiti nei quali era consentito il pignoramento delle pensioni e che gli importi da restituire non erano così elevati da determinare pregiudizi gravi e irreparabili.
Si tratta di valutazioni, alla luce delle risultanze istruttorie, adeguatamente motivate, che non possono essere contestate, come nella specie, chiedendo alla Corte di legittimità un riesame di merito.
Il ricorso è dichiarato inammissibile.
Le spese di lite seguono la soccombenza ex art. 91 c.p.c. e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna i ricorrenti a rifondere le spese di lite, che liquida in € 3.500,00 per compenso professionale, ed € 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro, il 21