Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 21978 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 21978 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/07/2025
Oggetto: ripetizione indebito
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 22667/2022 R.G. proposto da
NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME, rappresentati e difesi dagli Avv.ti NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO presso lo Studio RAGIONE_SOCIALE COGNOME e associati;
-ricorrenti –
contro
Ministero dell’Interno, in persona del legale rappresentate p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato e domiciliato presso di essa in Roma, INDIRIZZO
avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 221/2022 pubblicata il 18 marzo 2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17 giugno 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso perché la Suprema Corte rigetti il ricorso;
udito l’Avv. NOME COGNOME delle parti ricorrenti, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso, e l’Avv. NOME COGNOME della P.A. controricorrente, che ha concluso per il rigetto.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato presso il Tribunale di Milano NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno esposto che: erano dipendenti dell’amministrazione civile dell’Interno;
erano stati inquadrati dal 12 febbraio 2008 nella qualifica C-c1 e, secondo il nuovo sistema di classificazione del personale di cui al CCNL 2006-2009 e al CCNI 20062009 erano stati inseriti nell’Area Funzionale Terza, fascia retributiva F1;
il superiore inquadramento era stato loro riconosciuto con grave e ingiustificato ritardo, in quanto il nuovo inquadramento sarebbe dovuto decorrere dal 31 dicembre 2007 o dal 1° gennaio 2008;
in seguito, avevano ottenuto il passaggio alla fascia retributiva F2, con decorrenza 1° gennaio 2010 e (i soli COGNOME e COGNOME) avevano chiesto di partecipare alla selezione del 2020 per ottenere la fascia F3;
con d.m. 1691 del 2020, in esecuzione di sentenza del Tribunale di Matera n. 1063/2013, divenuta definitiva, erano stati esclusi, assieme ad altri 92 dipendenti, dalla graduatoria già approvata per l’acquisizione della superiore fascia retributiva F2 area funzionale terza, sul presupposto che essi non fossero in possesso del requisito
della permanenza non inferiore ai due anni nella fascia retributiva F1, da individuarsi alla data del 31 dicembre 2009;
COGNOME e COGNOME erano stati esclusi, quindi, dalla selezione del 2020 finalizzata a conseguire la fascia F3;
erano stati tutti e tre inseriti nella graduatoria per il passaggio alla fascia F2 indetta con d.m. 1889 del 23 dicembre 2020;
il Ministero dell’Interno aveva intrapreso azioni volte al recupero delle differenze salariali erogate ai lavoratori dal gennaio 2010 fino alla data della loro estromissione dalla graduatoria del 2010.
Essi hanno chiesto che:
fossero reinseriti nella graduatoria con il conseguimento dello sviluppo economico dalla fascia retributiva F1 a F2 area terza con decorrenza dal 1° gennaio 2010;
fosse accertata l’irripetibilità delle somme corrisposte a titolo retributivo e contributivo in ragione della perdita della fascia retributiva F2;
fosse disposto il risarcimento del danno per perdita di chances .
Il Tribunale di Milano, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 2492/2021, ha accolto la sola domanda di accertamento dell’irripetibilità delle somme.
Il Ministero dell’Interno ha proposto appello.
La Corte d’appello di Milano, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 221/2022, ha accolto l’appello.
NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno presentato ricorso per cassazione sulla base di due motivi e depositato memoria.
Il Ministero dell’Interno si è difeso con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti contestano la violazione o falsa applicazione dell’art. 2126 c.c. in quanto, a differenza di quanto ritenuto dalla Corte territoriale, nella specie avrebbe dovuto essere applicata quest’ultima disposizione, anche in assenza dell’esercizio di mansioni superiori, essendo sufficiente l’attribuzione della superiore fascia retributiva.
La doglianza è infondata.
La S.C. ha già chiarito, in tema di pubblico impiego contrattualizzato, che, qualora una P.A. attribuisca un determinato trattamento economico di derivazione contrattuale, l’atto deliberativo non è sufficiente a costituire una posizione giuridica soggettiva in capo al lavoratore medesimo, occorrendo anche la conformità alle previsioni della contrattazione collettiva, in assenza della quale l’atto risulta essere affetto da nullità, con la conseguenza che la stessa P.A., anche nel rispetto dei principi sancit i dall’art. 97 Cost., è tenuta al ripristino della legalità violata (Cass. n. 30/2020; Cass. n. 25018/2017; Cass. n. 3826/2016; Cass. n. 16088/2016).
Si è aggiunto che non è applicabile al rapporto di impiego alle dipendenze delle amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001 il principio in base al quale la corresponsione di una retribuzione maggiore rispetto a quella dovuta in forza della contrattazione collettiva costituisce trattamento di miglior favore e può essere chiesta in restituzione solo previa dimostrazione di un errore riconoscibile e non imputabile al datore, perché, al contrario, il datore di lavoro pubblico è tenuto a ripetere le somme corrisposte sine titulo e la ripetibilità degli importi corrisposti in eccesso non può essere esclusa ex art. 2033 c.c. per la buona fede dell’ accipiens , in quanto questa norma riguarda, sotto il profilo soggettivo, soltanto la restituzione dei frutti e degli interessi (Cass. n. 4323/2017 e, negli stessi termini, Cass. n. 8338/2010 e Cass. n. 29926/2008).
Inoltre, non può escludere il diritto del Ministero dell’Interno a ripetere le retribuzioni corrisposte in eccesso la qualità della prestazione resa, posto che le posizioni economiche, che si
acquisiscono solo all’esito delle apposite procedure, non comportano l’esercizio di mansioni superiori e, pertanto, nelle ipotesi di illegittimo conferimento delle stesse, non può essere invocato l’art. 2126 c.c.
Con il secondo motivo i ricorrenti contestano la violazione e falsa applicazione dell’art. 2033 c.c. e l’inesistenza o omissione della motivazione della sentenza.
Essi richiamano giurisprudenza amministrativa e della CEDU (sentenza COGNOME contro Italia dell’11 febbraio 2021) che avrebbe escluso la ripetibilità delle somme indebitamente versate dalla P.A., qualora, sussistendo la buona fede dell’ accipiens , la detta P.A. agisca con notevole ritardo per la ripetizione.
La censura è inammissibile.
In primo luogo, si evidenzia che la questione della buona fede dell’ accipiens e della notevole tardività dell’azione della P.A. è nuova, non risultando, dalla lettura del ricorso, del controricorso e della sentenza di appello, che sia stata prospettata in primo grado.
Inoltre, si osserva che la situazione che ha dato origine alla richiesta ripetizione nasce dalla presentazione di una richiesta di passaggio a una posizione economica superiore avanzata dai ricorrenti pur in assenza dei prescritti requisiti di legittimazione e nella necessità della P.A. di conformarsi a un giudicato dell’autorità giudiziaria ordinaria.
Le suddette situazioni escludono la configurabilità di un legittimo affidamento, data la correttezza dell’operato della P.A.
Al riguardo, si sottolinea che la stessa Corte costituzionale, con la sentenza n. 8 del 2023, ha negato che possa escludersi il diritto della P.A. a chiedere indietro le somme indebitamente versate solo per ragioni collegate al legittimo affidamento del debitore e alle circostanze che hanno portato alla formazione della menzionata giurisprudenza sovranazionale.
3) Il ricorso è rigettato, in applicazione dei seguenti principi di diritto:
‘In tema di pubblico impiego contrattualizzato, qualora una P.A. attribuisca un determinato trattamento economico di derivazione contrattuale, l’atto deliberativo non è sufficiente a costituire una posizione giuridica soggettiva in capo al lavoratore medesimo, occorrendo anche la sua conformità alle previsioni della contrattazione collettiva, in assenza della quale tale atto risulta essere affetto da nullità, con la conseguenza che la stessa P.A., anche nel rispetto dei principi sanciti dall’art. 97 Cost., è tenuta al ripristino della legalità violata, agendo per la restituzione delle somme indebitamente versate’;
‘Non è applicabile al rapporto di impiego alle dipendenze delle amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001 il principio in forza del quale la corresponsione di una retribuzione maggiore rispetto a quella dovuta in forza della contrattazione collettiva costituisce trattamento di miglior favore e può essere chiesta in restituzione solo previa dimostrazione di un errore riconoscibile e non imputabile al datore. Al contrario, il datore di lavoro pubblico è tenuto a ripetere le somme corrisposte sine titulo e la ripetibilità degli importi corrisposti in eccesso non può essere esclusa ex art. 2033 c.c. per la buona fede dell’ accipiens , in quanto questa norma riguarda, sotto il profilo soggettivo, soltanto la restituzione dei frutti e degli interessi’;
‘In tema di pubblico impiego contrattualizzato, la progressione economica nell’ambito di un’area professionale omogenea non comporta l’esercizio di mansioni superiori e, pertanto, nelle ipotesi di illegittimità di detta progressione, non trova applicazione l’art. 2126 c.c. e la P.A. ha il dovere di ripetere le retribuzioni corrisposte in eccesso’.
Le spese di lite sono compensate, in ragione della novità della questione e dell’esito difforme dei giudizi di merito.
Si attesta che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale (d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater), se dovuto.
P.Q.M.
La Corte,
rigetta il ricorso;
compensa le spese di lite;
-attesta che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione