Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 22093 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 22093 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso 14113-2020 proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME AVV_NOTAIO, che li rappresenta e difende;
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE RAGIONE_SOCIALEO STATO presso i cui Uffici domicilia in RAGIONE_SOCIALE, alla INDIRIZZO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2238/2019 della CORTE D’APPELLO di RAGIONE_SOCIALE, depositata il 23/09/2019 R.G.N. 4734/2014;
Oggetto
Ripetizione di differenze retributive per superiore inquadramento annullato
R.G.N. 14113/2020
COGNOME.
Rep.
Ud. 03/07/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 03/07/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
RILEVATO CHE
1. con sentenza 23 settembre 2019, la Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE ha rigettato l’impugnazione di NOME COGNOME e NOME COGNOME avverso la sentenza di primo grado, di reiezione della loro domanda, quali eredi di NOME COGNOME, nei confronti della RAGIONE_SOCIALE di ripetizione delle somme recuperate dall’Ente (mediante trattenuta sull’ultima busta paga contenente il T.f.r. e l’indennità di preavviso), in quanto pagate in eccesso al loro congiunto, a seguito dell’annullamento, in regime di autotutela, del suo reinquadramento nel 1991 ad un livello superiore a quello posseduto;
2. essa ha negato, pur confrontandosi con il precedente arresto di questa Corte (sentenza n. 2064/2016) invocato dagli appellanti in quanto loro favorevole, la ricorrenza nel caso di specie (diversamente da quello risolto dal precedente) dei presupposti di applicabilità: sia dell’art. 2126 c.c., in assenza di prova dell’effettivo svolgimento delle mansioni superiori corrispondenti all’inquadramento poi revocato (illegittimo per tale ragione ab origine ), tanto meno essendo avvenuta alcuna dequalificazione; sia del principio di tutela della buona fede in materia di pubblico impiego privatizzato, qualora sia accertata la corresponsione da un’amministrazione ad un proprio dipendente di una somma sine titulo , neppure sotto il profilo della buona fede dell’ accipiens , ai sensi dell’art. 2033 c.c., riguardante, in riferimento al suo elemento soggettivo, soltanto la restituzione dei frutti e degli interessi;
con atto notificato il 21 marzo 2020, i predetti hanno proposto ricorso per cassazione con due motivi, cui ha resistito la RAGIONE_SOCIALE con controricorso;
il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380 bis 1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
CONSIDERATO CHE
i ricorrenti hanno dedotto violazione dell’art. 3 legge n. 241/1990, per mancanza di motivazione (consistente nella comparazione degli effetti prodotti dall’atto di determinazione della retribuzione con l’interesse pubblico al recupero delle somme indebitamente erogate) della deliberazione 11 maggio 1998 (di eventuale recupero delle maggiori somme corrisposte per superiore inquadramento), conseguente a quella dell’11 luglio 1994 n. 7620, di annullamento in autotutela del disposto inquadramento di trecento dipendenti in livelli superiori (con provvedimenti del 4 novembre 1991 e del 6 marzo 1992), senza alcun riferimento al mancato svolgimento delle mansioni corrispondenti al superiore inquadramento (di fatto peraltro verificatosi): con attuazione del recupero mediante trattenuta sulle competenze di fine rapporto, di volta in volta alla cessazione. Ed hanno pure sottolineato la trasformazione di tutti gli enti lirici e istituzioni concertistiche in fondazioni con personalità giuridica di diritto privato fin dal 23 maggio 1998 (primo motivo); violazione e falsa applicazione dell’art. 2126 c.c., per avere la Corte negato il diritto del lavoratore (e, per lui, dei suoi eredi) di trattenere le somme erogate per il superiore inquadramento poi annullato, in ragione del mancato svolgimento delle mansioni ad esso corrispondenti, mai indicato a giustificazione del recupero mediante trattenuta finale sulle competenze di fine rapporto e contrariamente al precedente di
legittimità (sentenza n. 2064/2016) in fattispecie analoga (secondo motivo);
2. essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono infondati; 3. la trasformazione dell’ente lirico in fondazione di diritto privato, disposta retroattivamente dall’art. 1 d.l. 345/2000 convertito in legge n. 6/2001 con decorrenza dal 23 maggio 1998 (comportante il mantenimento delle controversie aventi ad oggetto i rapporti di lavoro dei dipendenti alla giurisdizione del giudice amministrativo, se insorte anteriormente a tale data e invece la devoluzione alla giurisdizione del giudice ordinario se insorte in epoca successiva, in applicazione dell’art. 1 d.l. 269/1994 convertito in legge n. 432/1994, che fissa il discrimine temporale per il passaggio dalla giurisdizione ordinaria a quella amministrativa nella data di intervenuta trasformazione, con riferimento al momento storico dell’avverarsi dei fatti materiali e delle circostanze in relazione alla cui giuridica rilevanza sia insorta la controversia, ovvero all’epoca dell’emanazione dell’atto, provvedimentale o negoziale, che ha prodotto la lesione del diritto del lavoratore: Cass. S.U. 3 marzo 2010, n. 5029), appare, ai fini in esame, irrilevante.
La deliberazione di annullamento in autotutela del disposto inquadramento di trecento dipendenti in livelli superiori (con provvedimenti del 4 novembre 1991 e del 6 marzo 1992) risale infatti all’11 luglio 1994 n. 7620; quella conseguente di eventuale recupero delle maggiori somme corrisposte per il superiore inquadramento (in epoca anteriore al 23 maggio 1998) è dell’11 maggio 1998 e l’attuazione del recupero (mediante trattenuta sulle competenze di fine rapporto dell’ultima busta paga) è invece successiva a tale data, e
pertanto nel regime di lavoro privato instaurato per effetto della trasformazione;
4. la deliberazione di annullamento in autotutela del disposto inquadramento di dipendenti in livelli superiori ha rispettato l’obbligo di motivazione stabilito per ogni provvedimento amministrativo dall’art. 3, primo comma legge n. 241/1990 (secondo cui: ‘ la motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione della amministrazione, in relazione alle risultanze della istruttoria ‘ ), posto che ‘ il provvedimento in autotutela … dà espressamente conto della assenza ab origine dei presupposti di fatto per l’inquadramento superiore poi revocato’ (così agli ultimi due alinea del primo capoverso di pg. 4 della sentenza); 4.1. la Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE ha quindi accertato, nel caso di specie, la totale mancanza (in assenza persino di offerta di prova) dell’effettivo svolgimento delle mansioni superiori da parte del de cuius (al primo capoverso di pg. 4 della sentenza), diversamente che in quello oggetto del proprio precedente, invocato dai ricorrenti e richiamato nella sentenza impugnata (sentenza n. 2064/2016), nel quale si dà invece atto del contrario (‘ … tenuto conto che le maggiori retribuzioni sono state erogate … a fronte di superiori inquadramenti (con conseguente svolgimento delle relative mansioni superiori) … ‘ : così nella sua trascrizione al primo capoverso di pg. 10 del ricorso);
4.2. né si applica il principio di buona fede, che connota un atteggiamento soggettivo a fronte di un’obiettiva mancanza di titolo alla corresponsione della maggiore retribuzione, sicché appare corretto dare continuità all’indirizzo, per il quale, in relazione a somme corrisposte a titolo di retribuzione, qualora risulti accertato che l’erogazione è avvenuta sine titulo , la
ripetibilità delle somme non può essere esclusa a norma dell’art. 2033 c.c. per la buona fede dell’ accipiens , in quanto questa norma riguarda, sotto il profilo soggettivo, soltanto la restituzione dei frutti e degli interessi (Cass. 8 aprile 2010, n. 8338; Cass. 20 febbraio 2017, n. 4323: entrambe in materia di impiego pubblico privatizzato, in caso di domanda di ripetizione dell’indebito proposta da un’amministrazione nei confronti di un proprio dipendente);
4.3. infine, neppure trova applicazione l’art. 2126 c.c., norma di chiusura in presenza di un’attività lavorativa prestata di fatto ma in violazione di legge, che per la sua remunerazione presuppone una prestazione lavorativa effettiva (che giustifica, in particolare, in caso di riconoscimento di un livello superiore di professionalità successivamente revocato, l’irripetibilità delle differenze retributive erogate in favore del lavoratore durante il periodo di effettivo servizio prestato nella predetta qualifica: Cass. 31 agosto 2018, n. 21523, in tema di pubblico impiego contrattualizzato), invece qui mancata nella sua corrispondenza al superiore inquadramento poi revocato;
6. il ricorso deve essere pertanto rigettato, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza e con raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alla rifusione, in favore della controricorrente delle spese del giudizio, che liquida in € 4.000,00 per compensi professionali, oltre s.p.ad.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella Adunanza camerale del 3 luglio 2024