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Rinuncia preavviso datore: quando è valida la volontà?

Un’azienda ricorre in Cassazione dopo che le è stata negata l’indennità di preavviso da un dipendente dimissionario. La Corte Suprema ha respinto il ricorso, stabilendo che la richiesta dell’azienda di restituzione immediata dei beni aziendali costituisce una plausibile accettazione delle dimissioni immediate. Questa azione configura una rinuncia preavviso datore di lavoro, trasformando la risoluzione in consensuale. Inoltre, l’azienda non ha interesse ad agire per contestare la mancata convalida formale delle dimissioni, procedura posta a tutela esclusiva del lavoratore.

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Pubblicato il 1 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Rinuncia al Preavviso del Datore: Quando l’Accettazione delle Dimissioni Diventa Consensuale

L’accettazione delle dimissioni di un lavoratore può trasformarsi in una rinuncia preavviso datore di lavoro? La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, offre chiarimenti cruciali su come le azioni del datore di lavoro possano essere interpretate come un’accettazione della cessazione immediata del rapporto, escludendo così il diritto a richiedere l’indennità di preavviso. Questo principio è fondamentale per comprendere la dinamica della risoluzione consensuale del rapporto di lavoro.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine dalle dimissioni presentate da un dipendente con qualifica di quadro. A seguito della cessazione del rapporto, il Tribunale di primo grado, pur revocando un precedente decreto ingiuntivo, condannava la società datrice di lavoro al pagamento di una somma residua a titolo di TFR. Il Tribunale, tuttavia, respingeva le domande della società volte a ottenere la detrazione dell’indennità di mancato preavviso e il risarcimento dei danni.

La società proponeva appello, ma la Corte d’Appello confermava la decisione di primo grado. Ritenendo errata tale pronuncia, l’azienda decideva di ricorrere per Cassazione, affidandosi a quattro distinti motivi di doglianza.

I Motivi del Ricorso e la Decisione della Cassazione

La società ricorrente ha basato il proprio ricorso su quattro argomentazioni principali, tutte respinte dalla Suprema Corte.

La questione della rinuncia al preavviso del datore di lavoro

Con il primo motivo, la società lamentava una violazione degli articoli 2118 e 1372 del codice civile. Sosteneva che i giudici di merito avessero erroneamente interpretato la situazione come una risoluzione consensuale del rapporto. Secondo la ricorrente, la rinuncia preavviso datore di lavoro avrebbe dovuto essere formalmente concordata e la semplice richiesta di riconsegna dei beni aziendali non era sufficiente a dimostrare la volontà di dare esecuzione immediata alle dimissioni.

La Cassazione ha ritenuto questo motivo infondato. Ha ribadito che l’interpretazione degli atti negoziali è una prerogativa del giudice di merito e, se logicamente motivata, non è sindacabile in sede di legittimità. Nel caso specifico, l’interpretazione della lettera di dimissioni e della successiva accettazione da parte della società come un esonero dal preavviso è stata giudicata del tutto “plausibile” alla luce delle comunicazioni intercorse e delle circostanze.

La validità delle dimissioni e l’interesse ad agire

Il secondo motivo si concentrava sulla violazione della procedura di convalida delle dimissioni prevista dalla Legge n. 92/2012. La società sosteneva che la mancata convalida rendesse le dimissioni inefficaci.

Anche questo motivo è stato respinto. La Corte ha sottolineato che tale procedura è posta a esclusiva tutela del lavoratore, per verificarne l’autenticità della volontà. Di conseguenza, la società non possiede l'”interesse ad agire” per sollevare tale questione, poiché un eventuale accoglimento porterebbe al ripristino del rapporto di lavoro, un esito contrario agli interessi della stessa azienda.

L’inammissibilità dei motivi sulla ricostruzione dei fatti

Con il terzo e quarto motivo, l’azienda censurava la sentenza per omesso esame di fatti decisivi, relativi alla data di cessazione del rapporto e alla mancata liquidazione del danno. La Corte ha dichiarato entrambi i motivi inammissibili in base al principio della “doppia conforme” (art. 360, comma 4, c.p.c.). Poiché la Corte d’Appello aveva confermato la sentenza di primo grado basandosi sulle medesime ragioni e sugli stessi fatti, era preclusa una rivalutazione del merito in sede di Cassazione.

Le Motivazioni

La decisione della Suprema Corte si fonda su principi consolidati del diritto processuale e del lavoro. In primo luogo, viene riaffermata l’insindacabilità dell’interpretazione dei contratti e degli atti negoziali da parte del giudice di merito, a meno che non vi siano vizi logici o violazioni dei canoni ermeneutici. L’accertamento della volontà delle parti, anche se implicita, rientra in questa sfera di autonomia. La Corte ha ritenuto che la concatenazione degli eventi (dimissioni con disponibilità al passaggio di consegne e accettazione con richiesta di restituzione immediata dei beni) fosse stata logicamente interpretata dai giudici di merito come un accordo per la cessazione immediata.

In secondo luogo, la Corte chiarisce la funzione protettiva delle norme sulla convalida delle dimissioni. Queste norme sono state introdotte per contrastare il fenomeno delle “dimissioni in bianco” e garantire la genuinità del consenso del lavoratore. Pertanto, solo il lavoratore può far valere un eventuale vizio, non il datore di lavoro, che non ha un interesse giuridicamente tutelato a contestare la validità di un atto che pone fine al rapporto.

Le Conclusioni

L’ordinanza ha importanti implicazioni pratiche. Un datore di lavoro che, ricevute le dimissioni di un dipendente, chiede l’immediata restituzione dei beni aziendali (come computer, telefono, auto) sta compiendo un’azione che può essere interpretata come accettazione della cessazione immediata del rapporto. Tale comportamento equivale a una rinuncia a far valere il periodo di preavviso e, di conseguenza, preclude la possibilità di trattenere o richiedere la relativa indennità sostitutiva. La volontà delle parti può essere ricostruita anche da comportamenti concludenti, non essendo sempre necessaria una formalizzazione scritta. Per le aziende, ciò significa che la gestione delle dimissioni richiede attenzione: ogni azione successiva alla comunicazione del recesso può avere conseguenze legali precise.

La rinuncia del datore di lavoro al preavviso può essere implicita?
Sì. Secondo la Corte, l’interpretazione delle azioni del datore di lavoro, come la richiesta di immediata restituzione dei beni aziendali, quale accettazione delle dimissioni con effetto immediato è giuridicamente plausibile e costituisce una rinuncia al preavviso.

Un’azienda può contestare la validità delle dimissioni di un dipendente se non sono state convalidate formalmente?
No. La Corte ha stabilito che l’azienda non ha l’interesse ad agire per sollevare tale questione, in quanto la procedura di convalida è posta a esclusiva tutela del lavoratore per garantire l’autenticità della sua volontà.

Cosa significa il principio della “doppia conforme” e come si applica in questo caso?
È una regola processuale che impedisce di contestare in Cassazione la ricostruzione dei fatti quando la sentenza d’appello ha confermato la decisione di primo grado per le stesse ragioni. In questo caso, ha reso inammissibili i motivi di ricorso dell’azienda che criticavano la valutazione delle prove e la quantificazione del danno.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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