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Rinuncia al ricorso: il silenzio dopo la proposta

La Corte di Cassazione dichiara l’estinzione di un giudizio a seguito della mancata richiesta di decisione da parte dei ricorrenti entro 40 giorni dalla comunicazione della proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. Tale silenzio viene interpretato come una tacita rinuncia al ricorso, con conseguente condanna alle spese processuali a favore della controparte.

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Pubblicato il 30 agosto 2025 in Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Rinuncia al Ricorso in Cassazione: Cosa Succede se non si Risponde alla Proposta del Relatore?

Nel complesso iter del processo civile, le scadenze e le procedure rivestono un’importanza cruciale, specialmente nel giudizio di Cassazione. Una recente decisione della Suprema Corte ci offre un chiaro esempio di come l’inattività di una parte possa portare a una conclusione drastica del procedimento: l’estinzione per tacita rinuncia al ricorso. Questo articolo analizza il decreto in questione, spiegando le dinamiche processuali e le conseguenze pratiche per chi si trova ad affrontare un giudizio di legittimità.

Il Contesto del Caso: un Appello Davanti alla Suprema Corte

La vicenda trae origine da un ricorso presentato alla Corte di Cassazione avverso una sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Brescia. Le parti ricorrenti, assistite dai loro legali, avevano impugnato la decisione di secondo grado, portando la controversia all’ultimo livello di giudizio. Dall’altra parte, la controparte si era costituita per difendere la sentenza d’appello e resistere al ricorso.

La Proposta di Definizione e la Tacita Rinuncia al Ricorso

In conformità con la procedura semplificata prevista dall’articolo 380-bis del codice di procedura civile, il relatore designato dalla Corte ha formulato una proposta di definizione del giudizio. Questa proposta, che solitamente evidenzia l’inammissibilità, l’improcedibilità o la manifesta infondatezza/fondatezza del ricorso, è stata regolarmente comunicata ai difensori di entrambe le parti.

A questo punto, la legge offre al ricorrente una scelta: accettare la proposta, portando a una rapida chiusura del caso, oppure insistere per una decisione nel merito, chiedendo che il ricorso venga discusso in udienza pubblica o in camera di consiglio. La norma stabilisce un termine perentorio di quaranta giorni dalla comunicazione per presentare tale richiesta. Nel caso di specie, le parti ricorrenti non hanno compiuto alcuna azione entro il termine stabilito. Questo silenzio non è stato neutro, ma ha attivato una presunzione legale di rinuncia al ricorso.

La Decisione della Corte di Cassazione

Preso atto del decorso del termine di quaranta giorni senza che fosse pervenuta alcuna istanza di decisione, la Corte di Cassazione ha applicato rigorosamente il dettato normativo. Ha dichiarato estinto il giudizio, equiparando di fatto il silenzio dei ricorrenti a una rinuncia esplicita all’impugnazione. Di conseguenza, ha condannato i ricorrenti al pagamento delle spese processuali sostenute dalla controparte nel giudizio di legittimità, liquidandole in un importo specifico.

le motivazioni

La motivazione alla base del decreto è puramente procedurale e si fonda sull’interpretazione dell’art. 380-bis, secondo comma, del codice di procedura civile. La norma è concepita per deflazionare il carico di lavoro della Suprema Corte, incentivando una rapida definizione dei ricorsi con esito prevedibile. Il meccanismo prevede che se il ricorrente, dopo aver ricevuto una proposta che prefigura un esito a lui sfavorevole, non manifesta attivamente la volontà di proseguire, il suo ricorso si intende rinunciato. Questo automatismo processuale serve a evitare che procedimenti palesemente privi di fondamento restino pendenti, occupando inutilmente le risorse della giustizia. La Corte, pertanto, non entra nel merito della questione, ma si limita a constatare il verificarsi della condizione risolutiva prevista dalla legge: il decorso del termine senza un’istanza di prosecuzione. Anche la condanna alle spese, regolata dall’art. 391 c.p.c., è una conseguenza diretta della dichiarazione di estinzione, ponendo a carico della parte che ha rinunciato i costi del giudizio.

le conclusioni

La decisione in esame ribadisce un principio fondamentale per chi opera nel diritto: nel processo civile, e in particolare in Cassazione, i termini sono perentori e l’inattività può avere conseguenze definitive. Per gli avvocati, emerge l’obbligo di monitorare attentamente le comunicazioni della cancelleria e di consultarsi tempestivamente con i propri assistiti per decidere la strategia da adottare dopo la ricezione di una proposta ex art. 380-bis c.p.c. Per i cittadini, questo caso insegna che affidarsi a un legale non esime dal mantenere un dialogo attivo sul progresso della causa, poiché le scelte (o le non scelte) procedurali hanno un impatto diretto e talvolta irreversibile sull’esito del contenzioso e sui costi da sostenere.

Cosa succede se un ricorrente in Cassazione non risponde alla proposta di definizione del giudizio entro il termine stabilito?
Se il ricorrente non deposita un’istanza per la decisione del ricorso entro quaranta giorni dalla comunicazione della proposta del relatore, il ricorso si intende rinunciato e il giudizio viene dichiarato estinto, come previsto dall’art. 380-bis, secondo comma, del codice di procedura civile.

La rinuncia al ricorso in questo caso deve essere formale?
No, non è necessaria una dichiarazione formale. La legge stabilisce una presunzione di rinuncia basata sul semplice silenzio della parte ricorrente dopo la scadenza del termine. L’inattività è legalmente equiparata a una rinuncia.

Chi paga le spese legali in caso di estinzione del giudizio per tacita rinuncia al ricorso?
In caso di estinzione del giudizio per rinuncia, la parte ricorrente che ha rinunciato è condannata a pagare le spese processuali sostenute dalla controparte nel giudizio di Cassazione, ai sensi dell’art. 391 del codice di procedura civile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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