Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23794 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 23794 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 13830-2022 proposto da:
COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE – AZIENDA PER LA TUTELA DELLA SALUTE SARDEGNA (già ASL N.3 DI NUORO), in persona del Direttore legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 198/2021 della CORTE D’APPELLO DI CAGLIARI SEZIONE DISTACCATA di SASSARI, depositata il 24/11/2021 R.G.N. 165/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/06/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
PUBBLICO IMPIEGO
R.G.N.13830/2022
Ud 18/06/2025 CC
Fatti di causa
1. Con separati ricorsi depositati il 14/10/2014 l’ASL n. 3 di Nuoro (alla quale di seguito è succeduta l’Azienda per la tutela della Salute – ATS Sardegna) proponeva opposizione avverso i decreti ingiuntivi emessi dal Tribunale di Nuoro, in funzione di giudice del lavoro, in favore dei dottori COGNOME NOME, COGNOME, COGNOME. Alla base dei provvedimenti monitori, i medici avevano allegato: di avere ricoperto, quali medici specialisti, fin dal mese di giugno dell’anno 2004, la funzione di responsabile di branca (nell’ambito ciascuno di un diverso settore); che fino al mese di luglio del 2011, essi avevano sempre percepito, in ragione di tali incarichi, un’indennità mensile di euro 300,00; che a partire dalla mensilità di agosto 2011, la Asl aveva interrotto i pagamenti e non aveva più corrisposto la menzionata indennità pur continuando i medici a ricoprire l’incarico fino al 6.6.2014 e che pertanto essi erano creditori delle somme dovute a titolo di indennità. Con l’opposizione l’Asl n. 3 di Nuoro rappresentava che l’accordo integrativo regionale (AIR) per la medicina specialistica ambulatoriale interna, come modificato il 29/07/2009, in attuazione del d.P.R. n. 271/2000, individuava le funzioni e i compiti dei c.d. responsabili di branca e aveva disposto il venir meno del rinnovo automatico delle relative cariche sicchè gli incarichi degli opposti erano scaduti a decorrere dal 2011. Il Tribunale di Nuoro, in funzione di giudice del lavoro, riuniti i ricorsi, con la sentenza n. 154/2018, rigettava le opposizioni a decreto ingiuntivo. Secondo il Tribunale era emerso che i medesimi medici avevano continuato a svolgere le funzioni di responsabile di branca anche dopo il 2011 e fino al 2014 e non si era verificata alcuna scadenza degli incarichi perché, anche sotto il vigore della nuova disciplina,
doveva ritenersi operante il regime di proroga tacita vigente in precedenza.
Avverso detta sentenza proponeva appello l’Azienda per la tutela della Salute – ATS Sardegna; COGNOME NOME, COGNOME, NOME COGNOME resistevano chiedendo il rigetto dell’impugnazione. Con la sentenza n. 198/2021 depositata il 24/11/2021 la Corte di Appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, sezione lavoro, accoglieva l’appello e, per l’effetto, accoglieva le opposizioni a decreto ingiuntivo e respingeva le pretese azionate in via monitoria.
Avverso detta pronuncia hanno proposto ricorso per cassazione COGNOME NOME, COGNOME, NOME COGNOME con impugnazione articolata su quattro motivi. Si è costituita con controricorso l’Azienda regionale della Salute -ARES eccependo in via preliminare il proprio difetto di legittimazione passiva e chiedendo nel merito il rigetto del ricorso.
La parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis. 1 c.p.c..
Il ricorso è stato trattato dal Collegio nella camera di consiglio del 18 giugno 2025.
Ragioni della decisione
In via preliminare deve essere valutata l’eccezione preliminare di difetto di legittimazione passiva sollevata dalla Azienda regionale della Salute -ARES, costituitasi con controricorso.
1.1. Sostiene l’Azienda regionale della Salute:
che la legge regionale della Sardegna 27/07/2016, n. 17 ha disposto la soppressione delle vecchie Asl e l’istituzione della Azienda territoriale salute – ATS che era subentrata in tutte le posizioni attive e passive delle aziende soppresse, compresa la
Asl n. 3 di Nuoro che era parte del rapporto con NOME COGNOME e che per questa ragione la Azienda territoriale salute – ATS era stata parte del giudizio di primo grado innanzi al Tribunale di Nuoro e aveva di seguito proposto l’impugnazione accolta dalla Corte di Appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, sezione lavoro, con la decisione in questa sede impugnata;
che la parte ricorrente ha notificato il ricorso per cassazione alla Azienda regionale della Salute -ARES in virtù della legge regionale Sardegna 10/09/2020, n. 24 che ha stabilito la soppressione di Azienda territoriale salute – ATS e la istituzione della nuova Azienda Regionale della Salute alla quale era affidata la funzione di Ufficio liquidazione di tutti i debiti facenti capo alla Azienda territoriale salute – ATS e prima ancora alle USL;
-che, tuttavia, la successiva legge regionale Sardegna 22/11/2021, n. 17, intervenuta prima della pubblicazione della sentenza di appello pronunciata tra le parti, aveva istituito la Gestione sanitaria liquidatoria, con autonomia patrimoniale ed economica e con personalità giuridica, alla quale erano trasferiti tutti i debiti facenti capo alla Azienda territoriale salute – ATS e alle ASL, tanto da renderla l’unico legittimato passivo;
che, pertanto, il ricorso per cassazione, notificato ad Azienda regionale della Salute -ARES quale soggetto continuatore della Azienda territoriale salute – ATS era male diretto perché non sussisteva alcun collegamento tra Azienda regionale della Salute -ARES e Azienda territoriale salute – ATS.
1.2. Il Collegio ritiene infondata l’eccezione preliminare sollevata dalla Azienda regionale della Salute -ARES. Si consideri, in proposito, che l’articolo 34, comma 6 della legge regionale Sardegna 22/11/2021, n. 17, stabilisce: «6. Contestualmente all’istituzione di ARES, nell’interesse della
Regione e su indicazione dell’Assessorato regionale competente in materia di sanità, è istituita la Gestione regionale sanitaria liquidatoria, dotata di personalità giuridica e di autonomia patrimoniale ed economica, competente per la liquidazione di tutte le posizioni attive e passive e di tutte le cause pendenti, dalla data di costituzione dell’Azienda per la tutela della salute (ATS) e di quelle facenti in precedenza capo alle soppresse unità sanitarie locali e alle soppresse aziende sanitarie. A questo scopo nel bilancio della Regione, a decorrere dal 2021, è istituito un apposito capitolo di spesa. Per l’espletamento di tutte le attività è utilizzato il personale dell’ARES. Il commissario liquidatore, competente a dirigere la Gestione regionale sanitaria liquidatoria, è nominato dalla Giunta regionale. L’attività liquidatoria di ARES è completata entro tre anni. Ai relativi oneri si fa fronte con le risorse del fondo sanitario regionale attribuite ad ARES.»
1.3. La Gestione regionale sanitaria liquidatoria è descritta dalla disposizione come un organo della Azienda regionale della Salute si avvale del personale della Azienda regionale della Salute e dei fondi messi a disposizione dalla Regione.
1.4. Nel solco della consolidata giurisprudenza di questa Corte va esclusa la natura esclusiva della legittimazione passiva attribuita alle gestioni liquidatorie. In proposito è opportuno richiamare le argomentazioni spese da Cass. 15/04/2010, n. 9049: «quanto al merito della vicenda, è appena il caso di richiamare la consolidata giurisprudenza di questa Corte la quale riconosce la legittimazione sostanziale e processuale concernente i pregressi rapporti creditori e debitori delle soppresse UU.SS.LL sia alle gestioni liquidatorie che alle Regioni, individuando comunque nelle regioni il soggetto passivo delle obbligazioni (Cass. S.U. 23022 del 2005).
Secondo Cass. 1532 del 26 gennaio 2010, questi principi non comportano affatto l’attribuzione di una legittimazione processuale esclusiva alle gestioni liquidatorie in persona del commissario liquidatore. Del resto, con numerose pronunce, questa Corte ha riconosciuto che la legittimazione processuale in ordine alle controversie spetta sia alle Gestioni liquidatorie che alle Regioni (Cass. n. 20412 del 2006, 18285 del 2005). Nè a diverse conclusioni può giungersi, nel caso di specie, sulla base della legislazione regionale (L.R. Piemonte 22 settembre 1994, n. 39), considerato che la stessa non elimina affatto la titolarità passiva della Regione, ma la rende concorrente con quella attribuita alla Gestione Liquidatoria in persona del Commissario Liquidatore. I principi affermati da questa Corte, come più sopra ricordati, hanno ricevuto l’avallo della Corte Costituzionale, nella sentenza n. 89 del 23/31 marzo 2000. Consegue da quanto sopra che il ricorso deve essere accolto, e cassata la sentenza della Corte torinese che non si è attenuta a tali principi (dichiarando l’estinzione del procedimento per effetto della mancata riassunzione nei confronti del Commissario liquidatore della Gestione, soggetto questo, peraltro, già ritenuto dal primo giudice – con sentenza passata in giudicato – privo di autonoma personalità giuridica)». Ed ancora, secondo Cass. 29/01/2019, n. 2343 «la legittimazione sostanziale e processuale concernente i rapporti creditori e debitori conseguenti alla soppressione delle USL spetta, in via concorrente con le gestioni liquidatorie, alle Regioni, in quanto una interpretazione costituzionalmente orientata della normativa regionale esclude l’ammissibilità di una attribuzione della legittimazione processuale in capo alle sole gestioni liquidatorie; tale ultima legittimazione, infatti, risponde soltanto a criteri amministrativo-contabili, intesi ad
assicurare la distinzione delle passività già gravanti sugli enti soppressi rispetto alla corrente gestione economica degli enti successori. (In applicazione del principio, la S.C. ha disatteso le censure della regione ricorrente che deduceva il permanere della legittimazione passiva unicamente in capo alla gestione liquidatoria delle USL e lamentava l’omesso rilievo circa l’insussistenza del rapporto organico di gestione, amministrazione o indirizzo tra la stessa e l’ospedale nel quale erano state effettuate le trasfusioni dannose denunciate dall’originario attore)». Rileva, altresì, il principio di diritto affermato da Cass. ss. u. 20/06/2012, n. 10135 secondo il quale: la legittimazione sostanziale e processuale concernente i rapporti creditori e debitori conseguenti alla soppressione delle USL spetta, in via concorrente con le gestioni liquidatorie, alle Regioni, in quanto una interpretazione costituzionalmente orientata della normativa regionale esclude l’ammissibilità di una attribuzione esclusiva della legittimazione processuale in capo alle gestioni liquidatorie; tale ultima legittimazione, infatti, risponde soltanto a criteri amministrativo-contabili, intesi ad assicurare la distinzione delle passività già gravanti sugli enti soppressi rispetto alla corrente gestione economica degli enti successori.
Va, dunque, ritenuto che, all’esito del descritto iter legislativo, l’autonomia giuridica sia rimasta in capo all’ente, che però è rappresentato esclusivamente dai liquidatori per tutta la durata della procedura.
La “gestione regionale sanitaria liquidatoria” dell’ATS Sardegna rappresenta, a ben guardare, solo la modalità organizzativa e amministrativa attraverso cui l’ente (ATS Sardegna prima e ARES poi) viene gestito nella fase di liquidazione. Non si tratta
di un soggetto distinto rispetto all’ATS Sardegna, ma di una funzione interna all’ente stesso nella sua fase liquidatoria.
Pertanto, la legittimazione passiva nelle controversie relative a obbligazioni sorte durante la liquidazione spetta all’ATS Sardegna in liquidazione, rappresentato dai liquidatori, così come correttamente individuata nel ricorso per cassazione e nella notificazione dello stesso.
Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione della legge regionale 28 luglio 2006, n. 10 e successive modifiche (Tutela della salute e riordino del servizio sanitario della Sardegna. Abrogazione della legge regionale 26 gennaio 1995, n. 5) e della legge regionale 17 novembre 2014, n. 23 (Norme urgenti per la riforma del sistema sanitario regionale): sull’assetto istituzionale e organizzativo del servizio sanitario regionale.
2.1. Con questo motivo si critica in sostanza la sentenza impugnata perché, nel decidere la controversia, non avrebbe tenuto conto che la Regione Autonoma Sardegna con l’Assessorato all’igiene e alla sanità aveva dato indicazione alle Asl di procedere al pagamento degli incarichi conferiti e ha, in senso contrario, affermato che «in nessun passaggio del parere è affermato che la nuova disciplina prevede il rinnovo tacito dell’incarico ma affronta un aspetto particolare ossia lo svolgimento di attività aggiuntiva da parte dei responsabili di branca perdenti posto. Pertanto, il comitato consultivo si è limitato a dare delle indicazioni nei confronti di tutte quelle ASL che non hanno tempestivamente attivato le procedure per l’individuazione del nuovo responsabile di branca facendo sì che quelli cessati continuassero di fatto a svolgere dette mansioni, con invito ad effettuare il relativo pagamento».
2.2. Il motivo è infondato. In primo luogo l’affermazione della sentenza criticata con il motivo di ricorso non viola i parametri normativi invocati che riguardano leggi generali di riordino della sanità senza che sia indicata una disposizione in particolare. In secondo luogo l’interpretazione del documento offerta dalla sentenza della Corte di Appello è logica e coerente. Va, in definitiva, osservato che, a prescindere dal significato attribuibile al parere in questione, l’indicazione dell’organo amministrativo non poteva in ogni caso valere a superare il principio secondo cui in materia di impiego pubblico e retribuzione è dovuto quanto stabilito in virtù della legge e del c.c.n.l. e della contrattazione integrativa senza che possano assumere rilievo decisivo diverse indicazioni degli organi amministrativi.
Con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione o falsa applicazione degli artt. 36 Cost. e 2126 c.c. e del D.P.R. n. 271 del 2000 che ha reso esecutivo il contratto collettivo nazionale dei medici specialisti ambulatoriali interni. La sentenza impugnata sarebbe viziata nella parte in cui ha statuito che «non essendo più previsto alcun rinnovo automatico, lo svolgimento di fatto di detto incarico da parte del responsabile cessato non ha fondamento contrattuale atteso che il medico ambulatoriale è un lavoratore autonomo». Secondo la parte ricorrente il rapporto di lavoro del medico specialista ambulatoriale sarebbe stato stipulato nelle forme del rapporto di lavoro subordinato ai sensi del d.P.R. 271/2000.
3.1. Il motivo è infondato, la sentenza sul punto va esente da censure perché esclude l’applicabilità dell’art. 2126 c.c. al rapporto di lavoro dei medici convenzionati perché non si tratta di rapporto di lavoro subordinato e tanto in piena conformità al costante orientamento della giurisprudenza di questa Corte.
3.2. In proposito si consideri che: «la norma di cui all’art. 2126 cod.civ. (sulla “prestazione di fatto con violazione di legge”) ha carattere eccezionale e può trovare applicazione solo nell’ambito del lavoro subordinato, senza possibilità di estensione a rapporti di lavoro autonomi, neppure se riconducibili all’ipotesi del lavoro c.d. parasubordinato di cui all’art. 409 n. 3 cod.proc.civ. (nella specie, la S.C. ha escluso l’applicabilità della disposizione citata all’attività svolta da un medico generico di base convenzionato con una unità sanitaria locale in favore di assistiti in eccedenza rispetto al massimale di legge applicabile nel caso specifico)» (Cass. 25/03/1995, n. 3496).
3.3. Circa la natura del rapporto di lavoro dei medici convenzionati: in materia di medici convenzionati, va escluso che nell’ordinamento sia rinvenibile un principio generale, ancorché settoriale, di assimilazione delle prestazioni svolte presso enti sanitari dai medici in base a convenzioni, ex art. 48 legge n. 833 del 1978, a quelle rientranti nell’ambito del rapporto di pubblico impiego, attesa l’assenza nei rapporti d’opera professionale (pur caratterizzati da collaborazione coordinata e continuativa) del requisito della subordinazione, dovendosi ritenere che le disposizioni che estendono l’applicabilità della normativa del pubblico impiego con equiparazione alle prestazioni subordinate abbiano carattere speciale ed eccezionale e siano insuscettibili di essere applicate al di fuori dei casi considerati. (Cass. 29/07/2008 n. 20581). I rapporti tra i medici convenzionati esterni e gli enti sanitari, disciplinati dall’art. 48 della l. n. 833 del 1978 e dagli accordi collettivi nazionali stipulati in attuazione di tale norma, pur se costituiti in vista dello scopo di soddisfare le finalità istituzionali del servizio sanitario nazionale, corrispondono a rapporti libero-
professionali che si svolgono di norma su un piano di parità, non esercitando l’ente pubblico nei confronti del medico convenzionato alcun potere autoritativo, all’infuori di quello di sorveglianza, nè potendo incidere unilateralmente, limitandole o degradandole ad interessi legittimi, sulle posizioni di diritto soggettivo nascenti, per il professionista, dal rapporto di lavoro autonomo. Ne deriva che tali rapporti, non connotati da subordinazione, non possono essere ricompresi nell’ambito di applicazione della direttiva 99/70/CE sul lavoro a tempo determinato, che presuppone la presenza di «un rapporto di lavoro disciplinato dalla legge, dai contratti collettivi o dalla prassi in vigore di ciascuno Stato membro», al quale non può essere ricondotto il rapporto di parasubordinazione che si instaura con il medico convenzionato (Cass. 05/03/2020, n. 6294; nel medesimo senso Cass. 13/04/2011 n. 8457).
3.4. La parte ricorrente ha poi rivendicato, con la domanda originaria spiegata in via monitoria, un emolumento che trova fondamento negli accordi collettivi nazionale e cioè nella fonte dei rapporti convenzionali tra medici specialisti e Usl e quindi in una fonte incompatibile con la natura subordinata del rapporto di lavoro predicata con il secondo motivo di ricorso.
Con il terzo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1, n. 9, ACN 23/03/2005 così come modificato e integrato dall’art. 2, n. 9, ACN 29/07/2009: in ordine alla tacita rinnovabilità dell’incarico di responsabile di branca. La sentenza impugnata sarebbe viziata nella parte in cui ha statuito che gli odierni ricorrenti <> tant o avendo ritenuto che, a seguito dell’entrata in vigore del nuovo A.C.N. del 29.7.2009 sarebbe stata escluso
il rinnovo automatico della nomina del responsabile di branca sicchè gli incarichi affidati ai ricorrenti non si sarebbero più prorogati automaticamente e sarebbero venuti a cessare nel 2011.
Con il quarto motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost. e art. 1, n. 9, ACN 23/03/2005: sulla mancata applicazione e sulla modifica in peius dell’accordo collettivo del 2009. La sentenza impugnata è criticata perché sarebbe viziata nella medesima parte -già censurata con il terzo motivo -in cui ha statuito che gli odierni ricorrenti «non avrebbero dovuto né potuto più svolgere l’incarico di responsabile di branca in assenza di un formale provvedimento dell’amministr azione appellante».
I due motivi possono essere esaminati congiuntamente perché riguardano lo stesso capo della sentenza e censurano le stesse argomentazioni spese dalla Corte per l’interpretazione della medesima fonte pattizia.
6.1. I motivi sono infondati. La sentenza offre una interpretazione dell’accordo che risponde al dato letterale della disposizione pattizia (nella versione applicabile ratione temporis dell’accordo, era stata soppressa la previsione del rinnovo tacito dell’incarico che nella versione precedente era, invece, espressamente prevista). L’interpretazione della Corte di Appello risponde poi alla ragione fondante della disposizione convenzionale in discussione: veniva, infatti, introdotto un nuovo modello organizzativo e un nuovo strumento, quello delle elezioni, per l’individuazione del responsabile.
6.2. L’art. 2, paragrafi 9 e 10, dell’ACN spiega in modo piano e letterale che la scadenza dell’incarico interviene dopo due anni, salvo che prima della scadenza del termine non venga fatta richiesta di nuova elezione; alla scadenza del termine biennale
il responsabile decade e si attivano le procedure per la nuova nomina senza che possa operare alcun rinnovo tacito. Di qui la validità della conclusione raggiunta dalla sentenza impugnata circa l’assenza di titolo per la prosecuzione della funzione e l’ass enza di titolo alla retribuzione.
In conclusione il ricorso deve essere integralmente respinto.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese che liquida in complessivi euro 2.500,00 (duemilacinquecento), oltre ad euro 200,00 per esborsi, al rimborso forfettario spese generali nella misura del 15% e accessori come per legge; , del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater versamento, da parte dei ricorrenti a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione