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Rimessione in termini: PC rotto non basta, lo dice la Corte

Una parte ha perso un termine processuale perentorio a causa di un malfunzionamento del computer del proprio legale. La Corte d’Appello ha respinto la richiesta di rimessione in termini, affermando che un guasto tecnico non costituisce una causa di forza maggiore o un’impossibilità assoluta. La sentenza sottolinea che il professionista avrebbe dovuto adottare soluzioni alternative, dimostrando così una mancanza di diligenza che esclude la concessione del beneficio.

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Pubblicato il 5 maggio 2025 in Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Rimessione in termini per guasto al PC: quando è esclusa?

Nel mondo dei processi civili, il rispetto delle scadenze è cruciale. Un termine mancato può compromettere l’esito di una causa. Tuttavia, la legge prevede uno strumento, la rimessione in termini, per sanare una decadenza quando questa è dovuta a cause non imputabili alla parte. Ma cosa succede se la causa è un guasto al computer dell’avvocato? Una recente sentenza della Corte d’Appello di Lecce offre una risposta chiara e rigorosa, stabilendo un principio fondamentale sulla diligenza professionale nell’era digitale.

I Fatti del Caso: dalla multa alla querela di falso

Tutto ha inizio con un’opposizione a una sanzione pecuniaria davanti al Giudice di Pace. Durante il giudizio, la parte ricorrente decide di contestare la veridicità del verbale di accertamento attraverso una querela di falso. Come previsto dalla procedura, il Giudice di Pace sospende la causa principale e assegna un termine di 45 giorni per riassumere il procedimento relativo alla querela di falso davanti al Tribunale competente.

Tuttavia, l’atto di riassunzione non viene depositato entro la scadenza. Il Tribunale, di conseguenza, dichiara inammissibile la querela. La giustificazione addotta dal legale è un malfunzionamento del software del proprio computer, che gli avrebbe impedito di completare il deposito telematico in tempo. La richiesta di rimessione in termini viene però respinta, spingendo la parte a proporre appello.

La Decisione dei Giudici: perché la rimessione in termini è stata negata

La Corte d’Appello ha confermato integralmente la decisione di primo grado, rigettando l’appello. Il cuore della decisione si basa su una distinzione fondamentale: quella tra “mera difficoltà” e “impossibilità assoluta”.

Il Problema del “Guasto al PC”

I giudici hanno chiarito che un malfunzionamento tecnico, per quanto fastidioso, non integra quella “causa non imputabile” richiesta dall’art. 153 c.p.c. per concedere la rimessione in termini. Non si tratta di un evento imprevedibile e insormontabile, ma di un inconveniente che un professionista diligente dovrebbe essere in grado di prevenire o aggirare.

Il Dovere di Diligenza dell’Avvocato

La Corte ha sottolineato che il legale avrebbe potuto e dovuto attivarsi per trovare una soluzione alternativa. La firma digitale, necessaria per il deposito telematico, non è legata a un singolo computer, ma a un dispositivo (smart card o chiavetta USB). Sarebbe stato sufficiente utilizzare un altro PC, magari quello di un collega, per accedere all’applicativo ministeriale, creare la busta telematica e completare il deposito. La mancata adozione di queste semplici contromisure è stata interpretata come una carenza di diligenza, che esclude la possibilità di ottenere il beneficio.

Le Motivazioni della Corte d’Appello

La sentenza si fonda su solidi principi giuridici. In primo luogo, viene ribadito che il termine per la riassunzione del giudizio di querela di falso, come stabilito dall’art. 65 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, è perentorio. Ciò significa che è improrogabile e il suo mancato rispetto determina la decadenza dall’azione.
In secondo luogo, la Corte richiama un consolidato orientamento della Cassazione, secondo cui la rimessione in termini è un istituto eccezionale. Per ottenerla, la parte deve fornire la prova rigorosa che la decadenza sia stata causata da un fattore estraneo alla sua volontà, dotato di carattere di “assolutezza” e non di mera “difficoltà”.
Il malfunzionamento di un software, secondo la Corte, rientra in quest’ultima categoria. È un ostacolo superabile. L’affermazione del difensore secondo cui il deposito telematico può avvenire “soltanto con computer configurato con la firma digitale” è stata giudicata priva di fondamento. La tecnologia della firma digitale è per sua natura portatile e svincolata da una specifica postazione hardware. La mancata organizzazione per fronteggiare un’evenienza così comune come un guasto tecnico ricade, quindi, nell’alveo della responsabilità professionale e non può essere usata come scudo per sanare una decadenza.

Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche

La decisione è un monito importante per tutti i professionisti legali. Nell’esercizio della professione, i problemi tecnici sono un rischio calcolato e non un evento eccezionale. La sentenza stabilisce che non è sufficiente invocare un guasto per ottenere una rimessione in termini; è necessario dimostrare di aver fatto tutto il possibile per superare l’ostacolo. La diligenza professionale oggi include anche la capacità di gestire gli imprevisti tecnologici, predisponendo piani B come l’accesso a computer alternativi. In assenza di tale prova, il rischio di una decadenza processuale ricade interamente sulla parte e sul suo difensore.

Un guasto al computer dell’avvocato giustifica la rimessione in termini?
No, secondo questa sentenza non è una giustificazione sufficiente. Il guasto tecnico non è considerato una causa di “assoluta impossibilità” non imputabile, ma una difficoltà superabile con la dovuta diligenza, ad esempio utilizzando un altro dispositivo.

Cosa deve dimostrare una parte per ottenere la rimessione in termini?
Deve dimostrare che la decadenza dal termine è avvenuta per una causa non imputabile, ovvero un fattore estraneo alla sua volontà che presenti i caratteri dell’assolutezza, e non una semplice difficoltà o un’impossibilità relativa.

Il termine per riassumere un giudizio di querela di falso è prorogabile?
No, l’art. 65 delle disposizioni di attuazione del c.p.c. stabilisce che si tratta di un termine perentorio. Pertanto, non può essere né abbreviato né prorogato, nemmeno con l’accordo delle parti, e il suo mancato rispetto causa la decadenza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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