Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 7483 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 7483 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/03/2025
SENTENZA
sul ricorso 10136-2024 proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’ISTRUZIONE E DEL MERITO, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla INDIRIZZO
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 105/2023 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 29/01/2024 R.G.N. 41/2023;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/02/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
Personale scolastico Certificazione verde Rimborso delle spese sostenute dal docente
R.G.N. 10136/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 04/02/2025
PU
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l’avvocato NOME COGNOME per delega verbale avvocato NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte d’Appello di Trieste ha respinto l’appello di NOME COGNOME docente di scuola media superiore, avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva rigettato la domanda, proposta nei confronti del Ministero dell’Istruzione e del Merito , volta ad ottenere la condanna del datore di lavoro al rimborso delle spese sostenute per ottenere, nel mese di settembre 2021, la certificazione verde prevista dal d.l. n. 52/2021, nonché al pagamento della retribuzione per il tempo impiegato nell’effett uazione del test antigienico, da qualificare orario lavorativo.
La Corte distrettuale ha ritenuto infondata la tesi dell’appellante , che aveva invocato l’applicazione della normativa in tema di salute e sicurezza dei luoghi di lavoro, dettata dal d.lgs. n. 81/2008, e sostenuto che devono gravare sul datore, pubblico o privato, gli oneri finanziari connessi alle misure relative alla sicurezza dei luoghi di lavoro.
Ha rilevato che il legislatore con la normativa emergenziale ha perseguito la finalità di tutelare la salute pubblica in tutti i momenti del vivere civile ed in tutti i luoghi che potevano costituire «terreno fertile per la diffusione del COVID-19», ivi compresi quelli di lavoro.
Ha richiamato la giurisprudenza amministrativa inerente alla legittimità degli atti adottati dal Ministero dell’istruzione per l’avvio in sicurezza dell’anno scolastico 2021/2022 , anche nella parte in cui escludono la gratuità dei tamponi antigenici,
ed ha sottolineato che a diverse conclusioni non si poteva giungere valorizzando la posizione assunta dalla Agenzia delle Entrate sulla deducibilità o meno della spesa, atteso che si era in presenza di un atto amministrativo inidoneo, in quanto tale, a derogare alla normativa primaria.
Per la cassazione della sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso sulla base di due motivi, ai quali ha opposto difese con controricorso il Ministero dell’istruzione e del merito.
L’Ufficio della Procura Generale ha depositato conclusioni scritte, ulteriormente illustrate nel corso della discussione orale, ed ha chiesto il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., il ricorrente denuncia testualmente «violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro per avere la Corte di appello di Trieste affermato la non applicabilità del decreto legislativo 9 aprile 2008 n. 81, attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007 n. 123 in materia di tutela della salute della sicurezza nei luoghi di lavoro (in particolare articoli 3 e 15) e dell’art. 2087 c.c. in base ai quali tutti i costi derivanti dalla tutela della salute e sicurezza sul lavoro devono gravare unicamente sul datore di lavoro…».
Il ricorrente torna a fare leva sul principio, definito di civiltà giuridica, secondo cui la sicurezza dei luoghi di lavoro deve essere garantita dal datore e, pertanto, nessun onere economico può gravare sul lavoratore. Richiama la risposta data da lla Agenzia delle Entrate all’interpello n. 160 del 30 marzo 2022 che, per escludere la detraibilità del costo dei tamponi antigenici, fa leva sul principio secondo cui la spesa
è sostenuta nell’esclusivo interesse del datore di lavoro e da quest’ultimo va rimborsata.
Con la seconda critica il ricorrente censura il capo della sentenza inerente al regolamento delle spese di lite e sostiene che la Corte territoriale avrebbe dovuto disporre la compensazione integrale in considerazione della novità e della complessità della questione giuridica.
Il primo motivo di ricorso è ammissibile perché, nel rispetto dell’onere imposto dall’art. 366 n. 4 cod. proc. civ., specifica il vizio dal quale sarebbe affetta la sentenza impugnata e, nel denunciare la violazione del d.lgs. n. 81/2008, artt. 3 e 15, formula una censura che può essere ricondotta al n. 3 dell’art. 360 cod. proc civ., espressamente richiamato nella rubrica.
Il motivo, peraltro, è infondato.
Il d.l. 22 aprile 2021 n. 52, più volte modificato, ha dettato una pluralità di misure volte ad assicurare, come si legge nel preambolo, « la graduale ripresa delle attività economiche e sociali, nel rispetto delle esigenze di contenimento della diffusione dell’epidemia da COVID-19 », tenendo conto, da un lato, dello stato di emergenza ancora in atto « relativo al rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili », dall’altro dell’evoluzione della situazione epid emiologica e degli effetti derivati dalla campagna vaccinale.
Sono state, dunque, consentite attività in precedenza vietate, ma la loro ripresa è stata accompagnata dalla previsione di condizioni poste agli esercenti ed ai fruitori dei servizi. In particolare la partecipazione alle attività indicate nell’art. 9 bis, comma 1, del d.l. citato (servizi di ristorazione, al chiuso; spettacoli aperti al pubblico, eventi e competizioni sportivi; musei, altri istituti e luoghi della cultura e mostre; piscine, centri natatori, palestre, sport di squadra, centri benessere;
sagre e fiere, convegni e congressi; centri termali, parchi tematici e di divertimento; centri culturali, centri sociali e ricreativi; attività di sale gioco, sale scommesse, sale bingo e casinò; concorsi pubblici) è stata permessa solo « ai soggetti muniti di una delle certificazioni verdi COVID-19, di cui all’articolo 9, comma 2 ,» ossia delle « certificazioni comprovanti lo stato di avvenuta vaccinazione contro il SARS-CoV-2 o guarigione dall’infezione da SARS-CoV-2, ovvero l’effettuazione di un test antigenico rapido o molecolare, quest’ultimo anche su campione salivare e nel rispetto dei criteri stabiliti con circolare del Ministero della salute, con esito negativo al virus SARS-CoV-2 » ( così la definizione dettata nel comma 1, dell’art. 9, ulteriormente specificata nel comma 2).
Quanto al settore scolastico il d.l., nel testo applicabile alla fattispecie ratione temporis , ha previsto, all’art. 9 ter , comma 1, l’obbligo per il personale scolastico di munirsi, a partire dal 1° settembre 2021 e sino alla cessazione dello stato di emergenza, di certificazione verde ( Dal 1° settembre 2021 e fino al 31 dicembre 2021, termine di cessazione dello stato di emergenza, al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione in presenza del servizio essenziale di istruzione, tutto il personale scolastico del sistema nazionale di istruzione e universitario, nonché gli studenti universitari, devono possedere e sono tenuti a esibire la certificazione verde COVID-19 di cui all’articolo 9, comma 2. ) ed al comma 2 ha aggiunto che, in caso di mancato rispetto dell’obbligo imposto, il personale sarebbe stato considerato assente ingiustificato ed il rapporto di lavoro sarebbe stato sospeso, a decorrere dal quinto giorno di assenza, senza diritto alla retribuzione ed a compensi o emolumenti, comunque denominati ( Il mancato rispetto delle disposizioni di cui al
comma 1 da parte del personale scolastico e di quello universitario è considerato assenza ingiustificata e a decorrere dal quinto giorno di assenza il rapporto di lavoro è sospeso e non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominato .)
3.1. La normativa citata si inscrive nell’ambito delle plurime misure che il legislatore, a fronte dell’emergenza sanitaria di rilevanza internazionale data dalla diffusione e gravità dell’epidemia da SARS -Cov2 ( che già l’11 marzo 2020 l’OMS aveva definito «pandemia»), ha adottato al fine di tutelare la salute pubblica.
Non a caso la Corte Costituzionale, nell’escludere che nella materia, ricondotta alla profilassi internazionale, potesse intervenire la legislazione regionale, se non espressamente autorizzata da quella statale, ha evidenziato che la disciplina dettata in tema di certificazione verde è stata finalizzata a limitare la diffusione del contagio, consentendo l’interazione tra persone in luoghi pubblici o aperti al pubblico solo ai soggetti che, in quanto vaccinati, guariti, o testati con esito negativo al COVID-19, si offrivano a vettori della malattia con un minor tasso di probabilità (cfr. Corte Cost. n. 164/2022 e negli stessi termini Corte Cost. n. 50/2024).
3.2. Sempre al fine di limitare la diffusione del contagio, inoltre, il legislatore ha valutato le diverse ‘comunità lavorative’ e, tenendo conto della natura delle attività svolte, nonché della maggiore o minore fragilità dei fruitori dei servizi, ha individuato categorie di lavoratori alle quali ha imposto l’obbligo vaccinale, come cond izione imprescindibile per poter rendere la prestazione lavorativa, differenziandole da altre per le quali è stato ritenuto sufficiente il solo possesso della certificazione verde, anche se rilasciata a seguito di effettuazione di test antigenico, di durata
temporale limitata perché attestante unicamente la condizione di non portatore del virus al momento dell’esame. Non è questa la sede per ripercorrere in dettaglio l’evoluzione della normativa, che è andata di pari passo con l’evolversi della pandemia e che ha portato alla progressiva estensione delle categorie alle quali l’obbligo vaccinale è stato imposto (fra queste rientra anche il personale della scuola a partire dal mese di dicembre 2021). Quella normativa, che questa Corte ha esaminato in dettaglio ad altri fini (cfr. Cass. n. 1881/2025, Cass. n. 31216/2024, Cass. n. 12211/2024 alle cui motivazioni si rinvia), è stata più volte vagliata dal Giudice delle leggi (Corte Cost. n. 186/2023; Corte Cost. n. 185/2023; Corte Cost. n. 156/2023; Corte Cost. n. 15/2023; Corte Cost. n. 14/2023; Corte Cost. n. 188/2024) che, nell’escludere i dedotti profili di illegittimità dell’imposizione dell’obbligo vaccinale e delle conseguenze sul rapporto di lavoro derivate dal mancato adempimento dell’obbligo medesimo, ha evidenziato che la legislazione emergenziale ha realizzato un contemperamento tra la dimensione individuale e quella collettiva del diritto alla salute.
3.3. Le disposizioni normative che qui vengono in rilievo vanno, allora, interpretate alla luce dell’intero contesto nel quale si inseriscono che rende evidente come la certificazione verde non possa essere minimamente assimilata alle misure che il datore di lavoro è tenuto ad adottare, sopportandone i relativi costi, per garantire la sicurezza dei luoghi di lavoro, nel rispetto delle prescrizioni imposte dal d.lgs. n. 81/2008.
Oltre a quanto si è già detto sulla finalità di tutelare la salute pubblica, non solo nei luoghi di lavoro ma anche in relazione alle plurime diverse attività consentite ai soli possessori della certificazione, va evidenziato che il legislatore, una volta avviata la campagna gratuita di vaccinazione, che le più autorevoli voci scientifiche a livello mondiale indicavano
come strumento idoneo a contrastare la diffusione del virus, ha permesso ad alcune categorie di lavoratori, pubblici e privati, la presentazione del test antigenico in sostituzione dell’attestato di avvenut o adempimento dell’obbligo vaccinale, e ciò ha fatto nell’esclusivo interesse del prestatore al quale è stato consentito di non sottoporsi alla vaccinazione, senza incorrere nella sospensione prevista dal legislatore quale conseguenza della mancata sottoposizione alla vaccinazione medesima.
Conseguentemente non può essere invocato nella fattispecie il principio secondo cui devono gravare sul datore di lavoro le spese che il prestatore sopporta nell’esclusivo interesse del primo, atteso che la previsione di una modalità alternativa alla vaccinazione è stata ispirata, lo si ribadisce, dall’intento di rispettare, ove possibile, la scelta della persona di rifiutare la somministrazione del vaccino.
3.4. Non vale richiamare per contrastare le corrette conclusioni alle quali la Corte territoriale è pervenuta la risposta data dall’Agenzia delle Entrate all’interpello n. 160 del 30 marzo 2022.
E’ consolidato nella giurisprudenza di questa Corte l’orientamento secondo cui «l e circolari con le quali l’Agenzia delle entrate interpreti una norma tributaria, anche qualora contengano direttive agli uffici gerarchicamente subordinati, esprimono esclusivamente un parere non vincolante, oltre che per gli uffici a cui sono dirette, per il contribuente, per la stessa autorità che le ha emanate e per il giudice; pertanto, la cd. interpretazione ministeriale delle norme tributarie, sia essa contenuta in circolari o risoluzioni, non costituisce fonte di diritto, né è soggetta al controllo di legittimità esercitato dalla Corte di cassazione (ex artt. 111 Cost. e 360 c.p.c.), trattandosi non di manifestazione di attività normativa, ma di attività interna alla medesima
pubblica amministrazione, destinata ad esercitare una funzione direttiva nei confronti degli uffici dipendenti, ma inidonea ad incidere sul rapporto tributario» (Cass. n. 35098/2022 e negli stessi termini Cass. S.U. n. 23031/2007). A maggior ragione il richiamato parere, non conforme a diritto, per quanto si è detto circa la non assimilabilità del tampone alle misure di sicurezza imposte dal d.lgs. n. 81/2008, non può in alcun modo vincolare nell’individuazione degli obblighi che derivano dal rapporto di impiego rispettivamente a carico del datore di lavoro e del prestatore. 4. Il secondo motivo, con il quale si censura la sentenza impugnata per non avere disposto la compensazione delle spese di lite, è inammissibile.
In tema di spese processuali, infatti, il sindacato della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui esula dall’ambito del giudizio di legittimità, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, pur in presenza delle condizioni alla cui ricorrenza il legislatore ha subordinato la deroga al principio di soccombenza.
In linea con la natura discrezionale del potere di compensazione questa Corte, da tempo, ha affermato che solo la compensazione deve essere sorretta da adeguata motivazione, che dia conto dell’esercizio del potere nel rispetto della normativa vigente ratione temporis , motivazione che, invece, non è richiesta qualora, come nella fattispecie, il giudice si sia uniformato alla regola generale della soccombenza (cfr. fra le tante più recenti Cass. n. 4738/2024, Cass. n. 25674/2023, Cass. n. 19477/2023).
5. In via conclusiva il ricorso deve essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate come da dispositivo. 6. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla L. 24.12.12 n. 228, si deve dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dal ricorrente.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in € 600,00 per competenze professionali, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto Così deciso in Roma nella Camera di consiglio della Sezione