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Rimborso spese mezzo proprio: spetta all’autista?

Un’ordinanza della Corte di Cassazione chiude un caso relativo al diritto di un autista al rimborso spese per l’uso del mezzo proprio. La Corte d’Appello aveva riconosciuto tale diritto, ritenendo inadeguato un accordo sindacale che prevedeva un compenso forfettario, interpretato come retribuzione per lavoro straordinario e non come rimborso. La controversia si è conclusa con un accordo transattivo tra le parti, che ha portato all’estinzione del giudizio di cassazione.

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Pubblicato il 5 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Rimborso Spese Mezzo Proprio: Quando il Compenso Forfettario non Basta

Il tema del rimborso spese mezzo proprio è una questione frequente nel diritto del lavoro, specialmente per i dipendenti che devono spostarsi tra diverse sedi aziendali. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, pur concludendosi con una declaratoria di estinzione del giudizio, offre spunti di riflessione importanti basati sulla precedente decisione della Corte d’Appello. Il caso riguarda un autista che chiedeva il rimborso per i viaggi quotidiani tra la sede contrattuale e un nuovo piazzale operativo, nonostante un accordo sindacale prevedesse un compenso forfettario.

I Fatti del Caso: Lo Spostamento tra Sedi

Un autista di autotreni, dipendente di una società di trasporti, si trovava a dover iniziare il proprio servizio da un piazzale situato a circa 70 km di distanza dalla sua sede di lavoro contrattuale. Questo spostamento quotidiano avveniva con il proprio veicolo privato. Inizialmente, un accordo sindacale aziendale aveva stabilito l’erogazione di un compenso forfettario per i giorni in cui era necessario recarsi presso la nuova sede. Tuttavia, il lavoratore ha ritenuto che tale importo non coprisse adeguatamente i costi sostenuti e ha agito in giudizio per ottenere un rimborso chilometrico completo.

La Decisione d’Appello sul rimborso spese mezzo proprio

La Corte d’Appello, riformando la sentenza di primo grado, ha dato ragione al lavoratore. I giudici hanno stabilito che lo spostamento tra la sede contrattuale e il nuovo piazzale operativo, imposto da direttive aziendali, costituiva a tutti gli effetti una prestazione lavorativa eseguita nell’interesse dell’azienda. Di conseguenza, il lavoratore aveva diritto al rimborso delle spese sostenute per l’uso del proprio veicolo.

L’interpretazione dell’Accordo Sindacale

Il punto cruciale della decisione di merito è stata l’interpretazione dell’accordo sindacale. La Corte ha ritenuto che l’emolumento previsto non fosse un rimborso spese, ma una retribuzione per il tempo di viaggio, considerato come lavoro straordinario. Questa conclusione era supportata dal fatto che tale compenso veniva trattato in busta paga come straordinario ai fini fiscali e previdenziali. Pertanto, l’accordo non era idoneo a disciplinare e a escludere il diritto del lavoratore al rimborso spese mezzo proprio previsto dall’art. 28 del CCNL di settore.

le motivazioni

La Corte d’Appello ha motivato la sua decisione sottolineando che lo spostamento non era un semplice tragitto casa-lavoro, ma un trasferimento funzionale all’attività lavorativa, eseguito su direttiva aziendale. Il tempo impiegato rappresentava un aumento dell’orario di lavoro, e il costo sostenuto per l’uso dell’auto privata doveva essere ristorato separatamente. Visto il rifiuto del datore di lavoro di concordare un rimborso specifico, la Corte ha proceduto a una liquidazione equitativa basata sulle tabelle chilometriche ACI, come previsto in questi casi dall’art. 432 c.p.c. La società di trasporti ha presentato ricorso per cassazione avverso tale sentenza. Tuttavia, nelle more del giudizio, le parti hanno raggiunto un accordo transattivo, e la società ha rinunciato al ricorso. La Corte di Cassazione, preso atto della rinuncia accettata dalla controparte, ha dichiarato estinto il giudizio, compensando le spese.

le conclusioni

Sebbene la Cassazione non si sia pronunciata nel merito, la decisione della Corte d’Appello, che ha costituito la base per l’accordo transattivo, offre un principio importante: un compenso forfettario, se trattato come retribuzione per lavoro straordinario, non può sostituire il diritto al rimborso spese mezzo proprio quando lo spostamento tra sedi è imposto dall’azienda. Questo caso evidenzia la necessità di distinguere chiaramente in sede di accordi sindacali e contrattuali la natura dei compensi erogati, specificando se si tratta di retribuzione per il tempo di viaggio o di un effettivo rimborso dei costi sostenuti dal lavoratore.

Un lavoratore che usa la propria auto per spostarsi tra due sedi aziendali ha diritto a un rimborso spese?
Sì, secondo la decisione della Corte d’Appello nel caso di specie, lo spostamento imposto dall’azienda tra due sedi di lavoro costituisce una prestazione lavorativa. Pertanto, il lavoratore ha diritto al rimborso dei costi sostenuti per l’uso del proprio veicolo, come previsto dal CCNL di riferimento.

Un accordo sindacale che prevede un compenso forfettario può escludere il diritto al rimborso spese chilometrico?
Non necessariamente. Nel caso analizzato, la Corte d’Appello ha stabilito che se il compenso forfettario è trattato fiscalmente e previdenzialmente come retribuzione per lavoro straordinario (relativo al tempo di viaggio), esso non sostituisce né esclude il diritto al rimborso delle spese vive sostenute dal lavoratore per l’utilizzo del proprio mezzo.

Cosa succede a un ricorso in Cassazione se le parti raggiungono un accordo?
Se le parti trovano un accordo transattivo durante il giudizio di Cassazione, la parte ricorrente può rinunciare al ricorso. Se la controparte accetta la rinuncia, la Corte di Cassazione dichiara l’estinzione del giudizio, chiudendo definitivamente la causa senza una decisione nel merito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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