Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 8683 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 8683 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/04/2025
Oggetto: Pubblico impiego -procedimento penale -assoluzione -rimborso spese legali
Dott.
NOME COGNOME
Presidente
–
Dott. NOME COGNOME
Consigliere –
Dott. NOME COGNOME
Consigliere rel. –
Dott. NOME COGNOME
Consigliere –
Dott. NOME COGNOME
Consigliere –
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13804/2020 R.G. proposto da:
COGNOME elettivamente domiciliato presso l’indirizzo pec dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
COMUNE DI CANOSA DI PUGLIA, in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliato presso l’indirizzo pec dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 2614/2019 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 04/02/2020 R.G.N. 1060/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/01/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1. Con sentenza n. 2614/2019, pubblicata in data 4 febbraio 2019, la Corte d’appello di Bari, confermava la decisione del Tribunale di Trani, che aveva rigettato la domanda proposta da NOME COGNOME, vigile urbano dipendente del Comune di Canosa di Puglia, volta ad ottenere il pagamento della complessiva somma di euro 38.064,00 oltre accessori a titolo di rimborso delle spese legali sostenute per difendersi nel processo penale R.G. n. 382/2008 (in primo grado innanzi al Tribunale di Trani ed in secondo grado innanzi alla Corte d’appello di Bari) per il delitto di falso in atto pubblico di cui all’art. 479 cod. pen., conclusosi con sentenza di assoluzione della Corte d’appello di Bari n. 3348/2014, divenuta irrevocabile in data 15 marzo 2015.
Riteneva la Corte territoriale che, nella specie, malgrado l’intervenuta assoluzione, non sussistessero i presupposti affinché l’Ente si facesse carico delle spase sostenute dal dipendente per la difesa nel processo penale.
Evidenziava che questa Corte di legittimità aveva già sconfessato la tesi secondo cui andrebbe operata una distinzione tra la fase iniziale del procedimento penale, in cui può sussistere il conflitto di interessi, e la fase finale nel quale, ad avvenuta assoluzione, detto conflitto è venuto a mancare ed affermava che il potenziale conflitto di interessi ex ante non potesse essere rimosso dall’apprezzamento ex post dei contenuti della sentenza penale assolutoria e dei fatti così come accertati in tale sede.
Precisava che l’imputazione ascritta al COGNOME (reato di falso ex art. 479 cod. pen.), per avere il predetto attestato falsamente in un verbale di accertamento indirizzato al comando di P.M. che effettivamente un cittadino abitava presso un certo indirizzo, era significativa dell’esistenza di un conflitto di interesse e richiamava Cass. n. 18256 dell’11 luglio 2018 in ordine alla preclusione, in fattispecie del tutto analoga, del diritto al rimborso alle spese ex art. 28 c.c.n.l. enti locali.
Aggiungeva che la conferma di tale conflitto di interesse si ricavava dal fatto che il Comune, proprio in relazione ai fatti oggetto del procedimento penale, aveva avviato nei confronti del dipendente un procedimento disciplinare.
Richiamava, altresì, per completezza, Cass. n. 25976 del 31 ottobre 2017 nella parte in cui aveva escluso il diritto al rimborso nel caso in cui il dipendente avesse unilateralmente provveduto alla scelta del difensore senza la preventiva comunicazione all’amministrazione ai fini del comune gradimento.
Avverso detta pronunzia ha proposto ricorso per cassazione il lavoratore affidato ad un motivo.
Il Comune ha resistito con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
CONSIDERATO CHE
Con l’unico motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 28 del C.C.N.L. Autonomie Locali.
Critica la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto sussistente, in relazione al procedimento penale a carico del dipendente, un potenziale ‘conflitto di interessi’ rispetto all’Ente datore di lavoro.
Assume che la valutazione del conflitto di interessi ai fini del patrocinio legale non piò limitarsi ad una valutazione astratta rispetto al giudizio penale in quanto in tal modo sarebbe sempre sussistente.
Al contrario va verificato se la difesa del dipendente collida con diritti ed interessi della Pubblica Amministrazione.
Assume che, nello specifico, l’insussistenza del conflitto di interessi era da ritenersi definitivamente accertata con la sentenza penale assolutoria (richiamava, sul punto il parere della Corte dei Conti del 5 aprile 2012, già sottoposto alla valutazione del giudice di appello).
Censura altresì la sentenza impugnata per aver ritenuto che non fosse stato assolto l’obbligo di preventiva comunicazione del difensore
scelto ex art. 28 c.c.n.l. e sostiene che, nel caso in esame, il Comune aveva già conoscenza del procedimento penale nei confronti del dipendente e ‘altra parte lo stesso conflitto di interessi ex ante escludeva in radice la necessità della scelta di un difensore di comune gradimento ex ante fra Ente Pubblico e dipendente.
2. Il motivo è infondato.
Reputa il Collegio di ribadire -per finalità di nomofilachia -(v. da ultimo Cass. n. 4539 dell’11 febbraio 2022) che l’obbligo delle amministrazioni pubbliche di farsi carico delle spese necessarie per assicurare la difesa legale al dipendente, pur se espressione della regola civilistica generale di cui all’art. 1720, comma 2, cod. civ., non è incondizionato e non sorge per il solo fatto che il procedimento di responsabilità civile o penale riguardi attività poste in essere nell’adempimento di compiti di ufficio (v. Cass., Sez. Un., 6 luglio 2015, n. 13861; Cass. 27 settembre 2016, n. 18946; Cass. 4 luglio 2017, n. 16396).
Infatti, il legislatore e le parti collettive, nel porre a carico dell’erario una spesa aggiuntiva, hanno dovuto contemperare le esigenze economiche dei dipendenti coinvolti, per ragioni di servizio, in un procedimento penale con quelle di limitazione degli oneri posti a carico dell’amministrazione.
La necessità di realizzare un giusto equilibrio fra detti opposti interessi ha ispirato le varie discipline dettate per ciascun tipo di rapporto e di giudizio (art. 67 d.P.R. n. 268 del 1987 per i dipendenti degli enti locali; art. 18 del d.l. n. 67 del 1997 applicabile ai dipendenti statali; art. 3 del d.l. n. 543 del 1996 in tema di giudizi di responsabilità amministrativa dinanzi alla Corte dei conti; le previsioni dei contratti collettivi del personale pubblico contrattualizzato dettate per i differenti comparti), sicché è stato affermato, e va qui ribadito, che in ragione della specificità e della diversità delle normative, si deve escludere che nel settore del lavoro pubblico costituisca principio
generale il diritto incondizionato ed assoluto al rimborso delle spese legali (Cass. 13 marzo 2009, n. 6227).
Non è, infatti, sufficiente che il dipendente sia stato sottoposto a procedimento per fatti commessi nell’esercizio delle sue funzioni e sia stata accertata l’assenza di responsabilità, dovendo essere di volta in volta verificata anche la ricorrenza delle ulteriori condizioni alle quali è stato subordinato dal legislatore o dalle parti collettive il diritto all’assistenza legale o al rimborso delle spese sostenute.
Nello specifico, l’art. 28 c.c.n.l. (che ricalca la disciplina dettata dall’art. 67 del d.P.R. n. 268 del 1987), correttamente valorizzato dalla Corte territoriale, richiede la presenza di determinate condizioni che nella specie risultano insussistenti; la suddetta norma pattizia, infatti, al primo comma prevede che: « L’ente, anche a tutela dei propri diritti ed interessi, ove si verifichi l’apertura di un procedimento di responsabilità civile o penale nei confronti di un suo dipendente per fatti o atti direttamente connessi all’espletamento del servizio e all’adempimento dei compiti d’ufficio, assumerà a proprio carico, a condizione che non sussista conflitto di interessi, ogni onere di difesa sin dall’apertura del procedimento, facendo assistere il dipendente da un legale di comune gradimento »; la disposizione è strutturata nel senso che l’obbligo del datore di lavoro ha ad oggetto non già il rimborso al dipendente dell’onorario corrisposto ad un difensore di sua fiducia, ma l’assunzione diretta degli oneri di difesa fin dall’inizio del procedimento, con la nomina di un difensore di comune gradimento (Cass., S.U., n. 6227 del 2009 cit.); detto obbligo, inoltre, è subordinato all’esistenza di precise condizioni perché l’assunzione diretta della difesa del dipendente è imposta all’ente locale solo nei casi in cui: a) si tratti di fatti o atti direttamente connessi all’espletamento del servizio e all’adempimento dei compiti d’ufficio; b) non sussista conflitto di interessi; c) la difesa sia stata assicurata da un legale di ‘comune gradimento’.
La connessione dei fatti con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali va intesa nel senso che tali atti e fatti devono essere riconducibili all’attività funzionale del dipendente stesso in un rapporto di stretta dipendenza con l’adempimento dei propri obblighi, dovendo trattarsi di attività che necessariamente si ricollegano all’esercizio diligente della pubblica funzione, nonché occorre che vi sia un nesso di strumentalità tra l’adempimento del dovere e il compimento dell’atto, nel senso che il dipendente non avrebbe assolto ai suoi compiti se non compiendo quel fatto o quell’atto è, perciò, innanzitutto necessario che le condotte contestate al dipendente nel procedimento penale siano connesse alle esigenze di ufficio e non al proprio interesse privato (cfr. Cass. n. 28507 del 2018; Cass. n. 20561 del 2018; Cass. n. 24480 del 2013; Cass. n. 5718 del 2011; Cass. n. 27871 del 2008).
Quanto all’ulteriore requisito costituito dall’assenza di un conflitto di interessi con l’Amministrazione di appartenenza, questa Corte ha affermato che tale conflitto è rilevante indipendentemente dall’esito del giudizio penale e dalla relativa formula di assoluzione; ne consegue che al dipendente comunale, assolto dall’imputazione, non compete il rimborso delle spese legali qualora i fatti ascrittigli esulino dalla funzione svolta (Cass. n. 2297 del 2014; Cass. n. 17874 del 2018); in altri termini, ai fini del rimborso richiesto è necessario che il fatto di reato oggetto dell’imputazione penale non configuri una fattispecie ontologicamente in conflitto con i doveri d’ufficio che determini ipso facto la legittimazione dello stesso Ente di costituirsi parte civile.
Da tale argomentazione discende che l’assoluzione, ancorché con la formula ‘piena’, non legittima il richiesto rimborso non risolvendo ex post il conflitto di interessi, in quanto l’indicata formula non consente di ricondurre alla pubblica Amministrazione e ai suoi fini istituzionali l’attività penalmente rilevante che è stata contestata.
Il principio è stato ribadito da questa Corte, secondo il cui orientamento se l’accusa è quella di aver commesso un reato che contempli l’ente locale come parte offesa (e, quindi, in oggettiva situazione di conflitto di interessi), il diritto al rimborso non sorge affatto, escludendo dunque che esso emerga solo nel momento in cui il dipendente sia stato, in ipotesi, assolto dall’accusa (v. Cass. 2475 del 2019; Cass. n. 18256 del 2018; in termini anche Cass., S.U., n. 13048 del 2007).
È stato, in particolare, precisato che, in tema di rimborso delle spese legali, ai sensi dell’art. 28 del c.c.n.l. enti locali del 14.9.2000, l’ente assume in carico ogni onere di difesa dei dipendenti, facendoli assistere da un legale di comune gradimento, nei procedimenti di responsabilità civile o penale connessi all’espletamento del servizio ed all’adempimento dei compiti di ufficio, anche a tutela dei propri interessi, sicché presupposto di operatività di detta garanzia è l’insussistenza, da valutarsi ‘ex ante’, di un genetico ed originario conflitto di interessi, che permane anche in caso di successiva assoluzione del dipendente.
Nella specie, l’ipotesi accusatoria (poi venuta meno a seguito dell’assoluzione dell’imputato perché ‘il fatto non sussiste’), lungi dall’essere significativa di un collegamento con i compiti d’ufficio postulava l’esistenza di un conflitto di interessi (il ricorrente è stato imputato di un reato il cui soggetto passivo è proprio la pubblica Amministrazione che è, come tale, legittimata alla costituzione di parte civile, irrilevante essendo che, nella specie, tale costituzione non risulta esservi stata ed assumendo comunque rilievo significativo che l’Amministrazione, per gli stessi fatti, abbia avviato nei confronti del COGNOME un procedimento disciplinare), escludendo, nel contempo, che la difesa del dipendente potesse essere riferita alla tutela dei diritti ed interessi dell’Amministrazione medesima; la circostanza che la condotta materiale contestata al ricorrente sia stata posta in essere nell’esercizio
delle proprie funzioni di vigile urbano non esclude il conflitto di interessi perché, anzi, contrariamente, qualifica l’ipotesi di reato di cui all’art. 479 cod. pen. Né, come detto, l’assoluzione con formula piena risolve ex post il conflitto di interessi, in quanto tale formula non consente di per sé di ricondurre alla pubblica Amministrazione e ai suoi fini istituzionali l’attività penalmente rilevante che è stata contestata al dipendente.
Senza dire che nessun elemento sussiste riguardo alla difesa assicurata, nella specie, da un legale di ‘comune gradimento’.
Conclusivamente il ricorso va rigettato.
La regolamentazione delle spese segue la soccombenza.
Va dato atto, ai fini e per gli effetti indicati da Cass., S.U., n. 4315/2020, della sussistenza delle condizioni processuali richieste dall’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese relative al giudizio di legittimità, liquidate in euro 200,00 per esborsi ed euro 5.000,00 per compensi professionali oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis , dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della Corte Suprema di cassazione il 22 gennaio 2025.
La Presidente NOME COGNOME