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Rimborso spese legali: CCNL prevale sulla delibera

La Corte di Cassazione ha stabilito che il diritto di un dipendente pubblico al rimborso delle spese legali è strettamente vincolato alle condizioni previste dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL), ovvero la connessione dei fatti con il servizio e l’assenza di conflitto di interessi. Una delibera comunale che promette un rimborso incondizionato, a seguito di assoluzione penale, non può derogare a tali requisiti. Nel caso specifico, l’azione del dipendente (timbrare il cartellino per un collega) non è stata ritenuta connessa al servizio, negando così il diritto al rimborso integrale.

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Pubblicato il 9 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Rimborso spese legali dipendente pubblico: il CCNL prevale sempre

Il tema del rimborso spese legali dipendente pubblico è cruciale e spesso fonte di contenzioso. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti fondamentali, stabilendo un principio netto: le condizioni previste dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) non possono essere superate da una delibera comunale, anche se questa appare più favorevole al lavoratore. Analizziamo questa importante decisione.

I Fatti di Causa

Un dipendente comunale, a seguito di un procedimento penale avviato a suo carico per aver timbrato il cartellino di una collega, veniva assolto. Forte di una delibera della Giunta comunale che prometteva il rimborso delle spese legali ai dipendenti coinvolti in tali indagini, a condizione della sola assoluzione e presentazione della parcella, il lavoratore otteneva un decreto ingiuntivo per il pagamento di circa 6.800 euro.

Il Comune si opponeva, sostenendo che mancassero i presupposti previsti dalla normativa di riferimento, in particolare dal CCNL di settore. Il Tribunale accoglieva l’opposizione, ma la Corte d’Appello ribaltava la decisione, ritenendo che la delibera comunale costituisse una promessa vincolante e autonoma, sufficiente a fondare il diritto del lavoratore al rimborso.

La Decisione della Corte d’Appello e il Ricorso in Cassazione

Secondo la Corte d’Appello, la volontà espressa dal Comune nella delibera era chiara: rimborsare le spese a fronte della sola assoluzione, senza necessità di verificare le ulteriori condizioni richieste dal CCNL (connessione dei fatti al servizio e assenza di conflitto di interessi). L’ente pubblico, quindi, si sarebbe impegnato a prescindere da tali requisiti.

Il Comune ha impugnato questa sentenza dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando la violazione delle norme sull’interpretazione dei contratti e dei principi di legalità e buona amministrazione. L’ente sosteneva che la Corte d’Appello avesse erroneamente ignorato il fatto che la delibera stessa richiamava esplicitamente l’art. 28 del CCNL, subordinando implicitamente il rimborso alle condizioni ivi previste.

Le Motivazioni della Suprema Corte sul rimborso spese legali

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del Comune, cassando la sentenza d’appello e decidendo nel merito con la revoca del decreto ingiuntivo. Le motivazioni sono un compendio di diritto del pubblico impiego e interpretazione contrattuale.

Innanzitutto, la Corte ha sottolineato che l’interpretazione di un atto non può fermarsi al mero ‘senso letterale delle parole’. La delibera comunale, richiamando espressamente l’art. 28 del CCNL, non poteva essere letta come una volontà di derogare a tale norma. Al contrario, ne confermava l’applicazione. L’art. 28 del CCNL subordina il rimborso spese legali dipendente pubblico a due requisiti imprescindibili:

1. Che il procedimento penale riguardi ‘fatti o atti direttamente connessi all’espletamento del servizio e all’adempimento dei compiti d’ufficio’.
2. Che non sussista un ‘conflitto di interessi’ con l’ente datore di lavoro.

Nel caso di specie, l’azione contestata (la timbratura del cartellino per un’altra persona) non rientrava in alcun modo tra i compiti d’ufficio del dipendente. Inoltre, il fatto che il lavoratore avesse ricevuto una sanzione disciplinare per lo stesso comportamento, seppur dopo l’assoluzione penale, rendeva palese il conflitto di interessi con l’amministrazione.

In secondo luogo, la Cassazione ha ribadito un principio fondamentale del pubblico impiego privatizzato: i trattamenti economici possono essere stabiliti solo dalla legge o dalla contrattazione collettiva. Una delibera comunale non può introdurre trattamenti di maggior favore non previsti da tali fonti, pena la sua illegittimità. Pertanto, l’unica interpretazione valida della delibera era quella conforme al CCNL, limitando l’impegno del Comune alla sola copertura garantita da un’eventuale polizza assicurativa, e non a un rimborso integrale e incondizionato.

Infine, anche qualificando la delibera come ‘promessa di pagamento’ ai sensi dell’art. 1988 c.c., essa non crea un’obbligazione ex novo, ma si limita a sollevare il destinatario dall’onere di provare il rapporto sottostante. Tale rapporto, nel pubblico impiego, non può che essere identificato nel contratto collettivo, con tutte le sue condizioni.

Conclusioni

La sentenza in esame riafferma con forza la centralità del Contratto Collettivo Nazionale nel disciplinare il rapporto di lavoro pubblico. Il diritto al rimborso spese legali dipendente pubblico non è automatico in caso di assoluzione, ma è ancorato a precise condizioni sostanziali che devono essere sempre verificate: la stretta attinenza del fatto contestato alle mansioni lavorative e la totale assenza di un conflitto di interessi con l’amministrazione di appartenenza. Le delibere degli enti locali non possono scavalcare questi paletti, e un’interpretazione che porti a tale risultato deve essere considerata errata.

Un Comune può promettere il rimborso delle spese legali a un dipendente pubblico con una delibera che ignora le condizioni del CCNL?
No. Secondo la Corte di Cassazione, una delibera comunale non può derogare o concedere trattamenti economici più favorevoli rispetto a quelli previsti dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL). Qualsiasi delibera deve essere interpretata in conformità con il CCNL, specialmente se lo richiama esplicitamente.

Quando un dipendente pubblico ha diritto al rimborso delle spese legali sostenute in un procedimento penale?
Il diritto al rimborso sorge solo se sono soddisfatte due condizioni previste dal CCNL (nello specifico, l’art. 28 del CCNL 14.9.2000): il procedimento deve riguardare fatti o atti direttamente connessi all’espletamento del servizio e ai compiti d’ufficio, e non deve esistere un conflitto di interessi tra il dipendente e l’ente pubblico.

Timbrare il cartellino per un collega è un fatto connesso al servizio ai fini del rimborso delle spese legali?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che l’indebita timbratura del cartellino marcatempo per un collega non rientra in alcun modo tra i ‘fatti o atti direttamente connessi all’espletamento del servizio’. Anzi, tale comportamento genera un evidente conflitto di interessi con il datore di lavoro, escludendo il diritto al rimborso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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