Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 21329 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 21329 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 30/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23765/2019 R.G. proposto da
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME , domiciliato in Roma presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, con diritto di ricevere le comunicazioni all’indicato indirizzo PEC dell’AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 271/2019 della Corte d’Appello di Genova, depositata il 13.6.2019;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21.5.2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
L’attuale contro ricorrente ottenne dal Tribunale di Imperia, in funzione di giudice del lavoro, decreto ingiuntivo nei confronti del Comune di RAGIONE_SOCIALE per il pagamento di € 6.788,08, in linea capitale, somma pretesa a titolo di rimborso delle spese legali affrontate per la difesa in un procedimento penale avviato a suo carico per avere timbrato il cartellino di presenza in ufficio per un ‘ altra dipendente, procedimento conclusosi con l’archiviazione .
Il Comune di RAGIONE_SOCIALE propose opposizione al decreto ingiuntivo, che venne accolta dal Tribunale, ritenendo insussistenti i presupposti per il rimborso.
Il lavoratore si rivolse allora alla Corte d’Appello di Genova, che, in accoglimento del gravame, riformò la sentenza di primo grado e rigettò l’opposizione a decreto ingiuntivo, confermando il diritto al rimborso delle spese legali sostenute.
Contro la sentenza della Corte d’Appello il Comune di RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso affidato a un unico motivo.
Il lavoratore si è difeso con controricorso e ha depositato memoria illustrativa nel termine di legge anteriore alla data fissata per la trattazione in camera di consiglio ai sensi de ll’ art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
L’u nico motivo di ricorso è proposto « ex art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c., in relazione alla violazione e/o falsa applicazione de ll’ art. 28, comma 1, CCNL 14.9.2000 e della delibera di Giunta RAGIONE_SOCIALE del Comune di RAGIONE_SOCIALE n. 149 del 22.5.2014, alla violazione del principio di legalità e dei principi di buona amministrazione di cui agli artt. 81 e 97 Cost., alla violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 c.c., 12 Preleggi al c.c. e dei principi generali in materia di
interpretazione delle norme che privilegiano le interpretazioni in senso conforme alla Costituzione ed alla legittimità degli atti normativi e deliberativi. Illogicità e contraddittorietà manifesta nell’ iter logico motivazionale. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.».
La Corte d’Appello ha ritenuto decisiva la circostanza che il Comune di RAGIONE_SOCIALE, con delibera di RAGIONE_SOCIALE n. 149 del 22.5.2014, avesse promesso ai propri dipendenti coinvolti nelle indagini penali relative a indebite timbrature dei cartellini marcatempo, tra il quali l’attuale controricorrente, il rimborso delle spese sostenute per l’ assistenza legale, alle sole condizioni dell’assoluzione con formula ampia e della presentazione di parcella quietanzata del difensore.
Il ricorrente denuncia la violazione dei canoni legali di interpretazione dei contratti per avere la Corte d’Appello erroneamente ravvisato nella delibera n. 149 l’espressione della volontà del Comune di RAGIONE_SOCIALE di riconoscere ai dipendenti il diritto al rimborso delle spese legali a prescindere dagli ulteriori requisiti previsti dall’art. 28 del pertinente CCNL 14.9.2000, ovverosia che il procedimento penale fosse stato subito «per fatti o atti direttamente connessi all’espletamento del servizio e all’adempimento dei compiti d’ufficio » e che non sussistesse un «conflitto di interessi» con la pubblica amministrazione.
In secondo luogo, il ricorso denuncia un’omessa pronuncia sull’inammissibilità dell’appello , che ad avviso del Comune la Corte territoriale avrebbe dovuto rilevare per il fatto che nell’atto d i impugnazione il lavoratore non aveva censurato la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva escluso che il procedimento penale avesse avuto ad oggetto fatti connessi
all’adempimento dei compiti d’ufficio , essendosi limitato a negare il conflitto di interessi.
Il ricorso è fondato, per quanto di ragione, nei termini di seguito esposti.
2.1. Non sussiste la denunciata violazione dell’art. 112 c.p.c., innanzitutto perché il Comune di RAGIONE_SOCIALE non allega di avere eccepito l’inammissibilità dell’appello o che di tale inammissibilità si sia discusso in qualsiasi modo davanti alla Corte genovese. In ogni caso, la motivazione della sentenza impugnata è basata sull’affermazione d ella insindacabilità, da parte del giudice, della sussistenza di entrambi i presupposti per il rimborso delle spese legali previsti dal contratto collettivo (causa di servizio e assenza di conflitto di interessi), in quanto la relativa valutazione sarebbe già stata implicitamente fatta dallo stesso Comune proprio pronunciando la delibera n. 149, di cui la Corte ha affermato che conteneva una promessa di pagamento condizionata soltanto all’assoluzione e alla esibizione della parcella quietanzata.
In sostanza il motivo di impugnazione del lavoratore era incentrato sulla rilevanza decisiva ed assorbente della delibera RAGIONE_SOCIALE, sicché esso non aveva alcun bisogno di essere integrato con la contestazione dell’accertamento giudiziale sull’ inesistenza dei suoi presupposti a monte . E come tale il motivo è stato accolto dalla Corte territoriale.
2.2. Il ricorso è invece fondato laddove denuncia la violazione dei canoni legali di interpretazione dei contratti, proprio con riferimento al valore attribuito dalla Corte d’Appello alla più volte citata delibera RAGIONE_SOCIALE n. 149 del 22.5.2014.
2.2.1. L’interpretazione fatta propria dalla Corte ligure è stata dichiaratamente prescelta «sulla base del tenore letterale
della delibera in questione» (in realtà, del dispositivo della delibera, come sottolinea il ricorrente, che riproduce nel ricorso anche il testo del preambolo e della motivazione della delibera).
Ma, sebbene quello letterale sia un criterio di grande importanza per l’interpretazione degli atti di volontà (così come per l’interpretazione di qualsiasi testo scritto), il precetto contenuto nell’art. 1362, comma 1, c.c. impone il giudice di «non limitarsi al senso letterale delle parole», dovendo egli comunque cercare l’ «intenzione delle parti», anche mediante l ‘ interpretazione complessiva delle clausole «le une per mezzo delle altre» (art. 1363 c.c.).
2.2.2. Nel caso di specie, la delibera RAGIONE_SOCIALE, anche limitando l’es egesi alla parte riportata nella sentenza impugnata, dichiara esplicitamente di essere emessa «ai sensi dell’art. 28 del CCNL del 14.9.2000 per il RAGIONE_SOCIALE», il che è incompatibile con l’ asserita volontà del Comune di riconoscere ai dipendenti il diritto al rimborso delle spese legali a prescindere dalla causa di servizio e da ll’assenza di conflitto di interessi, che sono i requisiti richiesti proprio dalla norma del CCNL ivi richiamata e dichiaratamente applicata.
In secondo luogo, l’impegno di spesa nella delibera era esplicitamente assunto «nei limiti della succitata polizza assicurativa», ovverosia di una polizza stipulata dall’ente RAGIONE_SOCIALE a copertura del rischio di spese di assistenza legale, anche affrontate dai suoi dipendenti. E che a tale impegno il Comune abbia poi effettivamente dato seguito -distribuendo l’indennizzo assicurativo tra i vari dipendenti coinvolti , ad eccezione dell’attuale controricorrente, perché questi rifiutò il pagamento parziale -è affermazione che si legge nel ricorso, non contestata nel controricorso e che trova riscontro nella stessa motivazione della sentenza impugnata, laddove si legge
che «il Comune aveva rimborsato, sebbene in misura forfetaria (€ 1.000) , le spese legali sostenute da 23 dipendenti che si trovavano nella stessa situazione».
Poiché è pacifico che nel presente processo il lavoratore chiede il rimborso di tutte le spese sostenute per l’assistenza legale nel procedimento penale, e non di tali spese «nei limiti della succitata polizza assicurativa», non si comprende come la Corte d’Appello abbia potuto concludere, «sulla base del tenore letterale della delibera», che il diritto azionato dal lavoratore con l’originario ricorso per decreto ingiuntivo trov i il suo fondamento proprio nella delibera n. 149 del 22.5.2014, che invece limitava esplicitamente l’impegno alla capienza della polizza.
2.2.3. La Corte d’Appello ha inoltre del tutto trascurato il criterio legale ermeneutico della «conservazione del contratto», che, «nel dubbio», impone di prediligere l’interpretazione che rende il contratto o le clausole conformi al diritto, e quindi produttivi di un qualche effetto, anziché quella che li renderebbe illegittimi e, quindi, inefficaci (art. 1367 c.c.).
Secondo costante orientamento di questa Corte, nel pubblico impiego privatizzato -nel quale il rapporto di lavoro è disciplinato esclusivamente dalla legge e dalla contrattazione collettiva -non possono essere attribuiti trattamenti economici non previsti dalle suddette fonti, nemmeno se di miglior favore per il lavoratore (Cass. nn. 31387/2019; 16150/2024).
Pertanto, l’esplicito richiamo all’art. 28 del CCNL e alle condizioni ivi previste per il riconoscimento ai lavoratori del diritto al rimborso delle spese rappresentava un necessario requisito di validità della delibera, in mancanza del quale essa risulterebbe priva di effetti giuridici, se non nei limiti della c opertura assicurativa, idonea ad evitare l’assunzione da parte
della pubblica amministrazione di costi non consentiti, perché non conformi alle previsioni della contrattazione collettiva.
Ne consegue che, non solo l’interpretazione letterale e sistematica, ma anche il criterio conservativo convergono verso l’uni co risultato possibile, opposto a quello cui è RAGIONE_SOCIALE la Corte d’Appello, di intendere la volontà espressa dal Comune di RAGIONE_SOCIALE nel senso di essersi l’ente impegnato, al più, alla distribuzione tra i soggetti coinvolti dell’indennizzo assicurativo e, per il resto, di avere ribadito la subordinazione del rimborso alla sussistenza di tutti i presupposti richiesti dal contratto collettivo.
2.3. Dalle medesime considerazioni consegue, sotto altro profilo giuridico, che, laddove si volesse interpretare la delibera di RAGIONE_SOCIALE n. 149 come volta ad attribuire ai lavoratori rimborsi non previsti dal CCNL, si tratterebbe di un atto amministrativo illegittimo, che il giudice civile dovrebbe disapplicare, senza necessità di una specifica domanda o eccezione di parte (v. art. 63 d.lgs. n. 165/2001, nonché, ex multis , Cass. S.U. nn. 17535/22018; 15276/2017; 3677/2009), con conseguente rigetto della domanda che, invece, proprio dalla validità di quell’atto pretendeva di trarre fondamento .
Ha pertanto errato, la Corte d’Appello anche laddove ha liquidato tale ulteriore aspetto della controversia semplicemente rilevando che «la legittimità della delibera non è stata posta in discussione da alcuna delle parti».
2.4. Infine, anche in una prospettiva prettamente civilistica, la delibera n. 149/2014 ha il contenuto di una «promessa di pagamento», la qual e, ai sensi dell’art. 1988 c.c., non è di per sé fonte di un’obbligazione (art. 1173 c.c.), ma ha soltanto l’effetto di sollevare il destinatario della promessa dall’onere di provare il fatto generatore del suo diritto. Fatto generatore che, nel caso di specie, non può che essere
individuato nel contratto collettivo (unica fonte legittima dei diritti patrimoniali nel pubblico impiego) e, quindi, nuovamente nel citato art. 28, con tutte le condizioni in esso stabilite.
In definitiva, accolto il ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, viene decisa nel merito con la definitiva revoca del decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Imperia (art. 384, comma 2, c.p.c.).
Infatti, una volta escluso che il diritto vantato dal lavoratore possa trovare la sua origine nella delibera n. 149 della RAGIONE_SOCIALE, a prescindere dalle condizioni previste dall’art. 28 del CCNL , e dovendosi fare invece riferimento proprio a queste condizioni, è facile constatare che il tipo di fatto per cui era stato avviato il procedimento penale (indebita timbratura di cartellino marcatempo per altra collega) non rientra certo tra i «fatti o atti direttamente connessi all’espletamento del servizio e all’adempimento dei compiti d’ufficio » (conf., in termini, v. Cass. 20561/2018); inoltre, dopo l’assoluzione penale , al lavoratore venne inflitta una sanzione disciplinare per il medesimo fatto (rimprovero verbale, come indicato nella sentenza impugnata), il che rende evidente il conflitto di interessi tra lavoratore e datore di lavoro.
Le spese dell’intero processo seguono la soccombenza e vengono liquidate, quanto ai compensi, in € 2.0 20 per il primo grado, in € 1.900 per l’appello e in € 2.000 per il presente giudizio di legittimità.
Si dà atto che, in base al l’esito del giudizio , non sussiste il presupposto per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’ art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
La Corte:
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, in accoglimento del l’opposizione , revoca il decreto ingiuntivo n. 16/2017 del Tribunale di Imperia;
condanna il lavoratore al pagamento, in favore del Comune di RAGIONE_SOCIALE, delle spese dell’intero processo, liquidate , quanto ai compensi, in € 2.020 per il primo grado, in € 1.900 per il secondo grado e in € 2.000 per il giudizio di legittimità, oltre alle spese generali al 15% su tutti i compensi liquidati, al rimborso delle anticipazioni e agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 21.5.2024.