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Rimborso spese legali dipendente pubblico: quando spetta?

Un agente di polizia locale, assolto dall’accusa di tentato abuso d’ufficio, ha citato in giudizio il suo ex datore di lavoro, il Comune, per ottenere il rimborso delle spese legali. Il tribunale ha respinto la richiesta, stabilendo che le azioni dell’agente, pur avvenute durante il suo periodo di servizio, non erano state compiute nell’esercizio delle sue funzioni pubbliche, ma come “privato cittadino” in una disputa personale. Di conseguenza, mancava il nesso di causalità necessario per il diritto al rimborso spese legali del dipendente pubblico.

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Pubblicato il 7 maggio 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Rimborso Spese Legali Dipendente Pubblico: Quando è un Diritto?

Il tema del rimborso spese legali per un dipendente pubblico coinvolto in un procedimento giudiziario è complesso e strettamente legato alla natura delle sue azioni. Un dipendente della Pubblica Amministrazione ha diritto a vedere coperte le proprie spese legali solo se i fatti contestati sono direttamente connessi all’esercizio delle sue funzioni. Una recente sentenza del Tribunale di Sondrio chiarisce questo punto, negando il rimborso a un agente di Polizia Locale assolto in un processo penale, poiché aveva agito come “privato cittadino” e non nell’esercizio dei suoi poteri pubblici.

I Fatti del Caso: L’Agente di Polizia e le Pressioni Indebite

Un agente di Polizia Locale veniva accusato di tentato abuso d’ufficio. Secondo l’accusa, l’agente avrebbe esercitato pressioni sulla moglie di suo cugino, titolare di un’attività alberghiera, per indurla a non assumere una persona con cui l’agente stesso aveva dei dissidi privati, derivanti da un precedente contratto di locazione. L’agente, forte della sua posizione, avrebbe violato il principio di imparzialità, tentando di usare la sua autorità per scopi personali. A seguito di queste accuse, veniva avviato un procedimento penale, che si concludeva con una sentenza di assoluzione con formula piena: “perché il fatto non sussiste”. Il Tribunale penale, infatti, accertava che l’agente non aveva agito nell’esercizio delle sue funzioni pubbliche, ma come un semplice privato cittadino.

La Richiesta di Rimborso Spese Legali del Dipendente Pubblico e la Difesa del Comune

Una volta assolto, l’ex agente (che nel frattempo si era dimesso per motivi di salute) chiedeva al Comune, suo ex datore di lavoro, il rimborso delle spese legali sostenute per la sua difesa, ammontanti a oltre 8.000 euro, oltre a quelle per il successivo procedimento di mediazione. La richiesta si basava sulla normativa, inclusi i Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (CCNL), che prevedono la tutela legale per i dipendenti pubblici coinvolti in procedimenti giudiziari per fatti connessi all’espletamento del servizio.

Il Comune si opponeva fermamente, sostenendo che il diritto al rimborso mancasse del suo presupposto fondamentale. La stessa sentenza di assoluzione aveva chiarito che le condotte dell’agente non erano avvenute “nello svolgimento delle funzioni o del servizio”, ma consistevano in pressioni esercitate in veste di “privato cittadino”. Pertanto, non esisteva quella diretta correlazione tra i fatti contestati e l’esercizio delle pubbliche funzioni richiesta dalla legge per far scattare l’obbligo di rimborso a carico dell’ente pubblico.

Le Motivazioni della Decisione del Tribunale

Il Tribunale del Lavoro ha dato ragione al Comune, respingendo la richiesta di rimborso. Il giudice ha analizzato la normativa di riferimento, in particolare l’art. 18 del D.L. 67/1997 e le disposizioni dei CCNL, sottolineando che il presupposto per il rimborso spese legali al dipendente pubblico è la sussistenza di un nesso diretto e funzionale tra i fatti oggetto del procedimento e l’adempimento dei compiti d’ufficio.

Il Tribunale ha evidenziato come la giurisprudenza costante, inclusa quella della Corte di Cassazione, richieda una “diretta connessione” dell’attività del dipendente con il fine pubblico. L’amministrazione è tenuta a sostenere le spese di difesa solo quando l’attività del dipendente, anche se illecita, sia in qualche modo riconducibile all’attività funzionale dell’ente stesso.

Nel caso specifico, la sentenza penale aveva già escluso categoricamente questo collegamento. Era emerso che l’agente non aveva “piegato le sue funzioni pubbliche a suoi interessi privati”, ma aveva agito al di fuori di esse, come un qualunque cittadino coinvolto in una disputa personale. Le sue richieste, seppur insistenti, erano state una “libera manifestazione del pensiero” e non un abuso di potere. Mancando l’elemento oggettivo del reato, ovvero l’esercizio di pubbliche funzioni, veniva a mancare anche il presupposto per il rimborso delle spese legali.

Le Conclusioni: Quando un Atto è “Privato” e Non “Pubblico”

La sentenza è un importante promemoria del confine tra l’azione del funzionario pubblico e quella del privato cittadino. Il diritto al rimborso spese legali per un dipendente pubblico non è automatico in caso di assoluzione, ma dipende da una valutazione sostanziale: i fatti per cui è stato processato devono essere una diretta emanazione del suo ruolo istituzionale. Se, come in questo caso, il dipendente agisce per risolvere questioni personali, anche se durante l’orario di servizio o facendo implicitamente leva sulla sua posizione, non può pretendere che sia la collettività, attraverso l’ente pubblico, a farsi carico dei costi della sua difesa legale. La decisione riafferma che la tutela legale a carico dell’amministrazione serve a proteggere il corretto funzionamento della Pubblica Amministrazione, non a coprire le conseguenze di dispute di natura strettamente privata.

Quando un dipendente pubblico ha diritto al rimborso delle spese legali da parte dell’amministrazione?
Un dipendente pubblico ha diritto al rimborso quando è coinvolto in un procedimento giudiziario (civile, penale o amministrativo) per fatti o atti direttamente connessi con l’espletamento del servizio e l’adempimento dei compiti d’ufficio. È necessario che il procedimento si concluda con una sentenza o un provvedimento che escluda la sua responsabilità e che non sussista un conflitto di interessi con l’ente.

Perché il Tribunale ha negato il rimborso all’agente di Polizia Locale in questo caso?
Il Tribunale ha negato il rimborso perché la stessa sentenza penale di assoluzione aveva stabilito che le condotte contestate all’agente non erano state poste in essere nell’esercizio delle sue funzioni pubbliche, ma in veste di “privato cittadino” per questioni personali. Mancava quindi il presupposto essenziale della connessione diretta tra i fatti e il servizio d’ufficio.

Qual è la differenza tra agire come “privato cittadino” e agire nell’esercizio delle “pubbliche funzioni”?
Secondo la sentenza, si agisce nell’esercizio delle “pubbliche funzioni” quando le proprie azioni sono direttamente riconducibili ai compiti e ai poteri conferiti dall’ufficio ricoperto. Si agisce, invece, come “privato cittadino” quando le azioni, pur compiute da un pubblico ufficiale, sono motivate da interessi personali e non hanno alcun legame con le finalità istituzionali del proprio ruolo, come nel caso di una lite privata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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