Repubblica Italiana In nome del Popolo Italiano Tribunale di Sondrio SEZIONE UNICA CIVILE
Il Tribunale in composizione monocratica, in persona della Dott.ssa NOME COGNOME in funzione di Giudice del lavoro, ha pronunciato la seguente
SENTENZA N._10_2025_- N._R.G._00000180_2023 DEL_30_04_2025 PUBBLICATA_IL_30_04_2025
nella causa iscritta al N.R.G. 180/2023 proposta da:
(C.F. , rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso il predetto difensore in Sondrio, INDIRIZZOC ricorrente contro (C.F. ), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso il predetto difensore in Bormio, INDIRIZZO OGGETTO:
altre ipotesi Conclusioni Per la parte ricorrente:
“Nel merito, in via principale:
accertare e dichiarare il diritto del signor rimborso delle spese legali sostenute per la difesa nel processo penale n. n. 2462/2015 R.G.N.R., per l’ammontare di euro 8.426,40, oltre a quelle sostenute successivamente sostenute per euro 533,42 (così come documentate), e per l’effetto condannare l’amministrazione resistente al pagamento in favore del ricorrente di tale somma, maggiorata degli interessi dalla mora al saldo.
C.F. – In ogni caso:
Condannare la convenuta al pagamento di spese e compensi di causa”.
Per la parte convenuta:
“NEL MERITO – Respingere ogni domanda avanzata da parte ricorrente in quanto infondata in fatto e in diritto.
– Con vittoria di spese” RAGIONI
DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso depositato in data 14/11/2023 avanti al Tribunale di Sondrio, in funzione di Giudice del Lavoro, conveniva in giudizio il chiedendone la condanna al pagamento di € 8.426,40 a titolo di rimborso delle spese legali sostenute per la difesa nel procedimento penale presso il Tribunale di Sondrio n. 2462/2015 R.G.N.R. e di € 533,42 a titolo di rimborso delle spese successivamente sostenute per il procedimento di mediazione volontaria n. 180/2023.
In data 24/01/2024 si costituiva la convenuta, contestando in fatto e in diritto il ricorso e chiedendone il rigetto.
All’udienza del 05/03/2025 la causa veniva discussa e decisa come da dispositivo.
Il ricorso è infondato e non può trovare accoglimento per le ragioni che seguono.
, in servizio presso il Comune di quale Agente scelto di Polizia dal 01/11/2009 al 01/12/2018, ha dedotto quanto segue:
durante il periodo di servizio era stato sottoposto a un procedimento penale rubricato al R.G.N.R. 2462/2015 con l’accusa di “tentato abuso d’ufficio” ex artt. 56, 81, 323 c.p.;
in particolare, gli era stato contestato il tentativo di reato in questione “perchè, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, nella sua qualità Agente di Polizia Locale del Comune di , nello svolgimento delle sue funzioni e in violazione delle norme di legge e di regolamento, compiva atti idonei diretti in modo non equivoco a procurare intenzionalmente un danno ingiusto a )”;
a seguito dell’apertura del procedimento penale, il aveva aperto a suo carico un procedimento disciplinare, nell’ambito del quale egli, in sede di audizione difensiva, aveva negato ogni addebito;
l’Ufficio per i procedimenti disciplinari aveva quindi disposto la sospensione del procedimento disciplinare sino al termine del procedimento penale;
il procedimento penale n. 2462/2015 R.G.N.R. si era concluso con sentenza – poi divenuta irrevocabile – del Tribunale di Sondrio n. 554/2018 di assoluzione con formula piena “perché il fatto non sussiste”;
in data 18/12/2018 (successivamente alle sue dimissioni rassegnate in data 01/12/2018 per motivi di salute) l’Ufficio per i procedimenti disciplinari gli aveva comunicato l’archiviazione del procedimento disciplinare;
in data 19/12/2018 aveva quindi richiesto all’ex datore di lavoro il rimborso delle spese legali sostenute nell’ambito del predetto procedimento penale ai sensi dell’art. 28 del C.C.N.L. del 14/09/2000 e della normativa di riferimento;
la predetta richiesta era stata rigettata dal , anche a seguito della reiterazione della stessa, con motivazioni contraddittorie e infondate;
il successivo procedimento di mediazione da lui instaurato non aveva dato esito positivo.
In questa sede, pertanto, parte ricorrente ha invocato il proprio diritto al rimborso, da parte della P.A. ex datrice di lavoro, delle spese legali sostenute nell’ambito del procedimento penale di cui sopra e delle spese di mediazione, in applicazione dell’art. 28 del C.C.N.L. Del 14.09.2000, dell’art. 59 CCNL 16.11.2022, dell’art. 22 del D.P.R. n.347/1983, dell’art. 67 del D.P.R. n.268/1987 e dell’art.50 del D.P.R. n.333/1990;
in particolare, ha dedotto che tutti i presupposti normativamente previsti per il rimborso delle spese da parte della P.A. nei confronti dei propri dipendenti imputati in un procedimento penale per fatti commessi nell’esercizio delle funzioni – e segnatamente i) l’apertura di un procedimento di responsabilità civile o penale nei confronti di un dipendente della P.A., ii) la connessione dei fatti oggetto del procedimento con l’espletamento del servizio e l’adempimento dei compiti d’ufficio, iii) l’insussistenza di un conflitto di interessi – dovessero ritenersi pienamente integrati nel l’apertura di un procedimento penale nei suoi confronti era pacifica; i fatti da cui aveva tratto origine il procedimento penale in questione erano direttamente connessi all’espletamento del servizio e all’adempimento dei compiti d’ufficio, come dimostrato dal tenore letterale del capo di imputazione formulato nei suoi confronti;
non sussisteva alcun conflitto di interesse, peraltro mai contestato dall’Amministrazione convenuta, comunque da escludersi vista la conclusione favorevole del processo.
, nel contestare il ricorso, in particolare ha allegato quanto segue:
la sentenza del Tribunale di Sondrio n. 554/2018 aveva escluso la responsabilità penale del ricorrente in quanto i fatti contestati non erano avvenuti “nello svolgimento delle funzioni o del servizio” bensì consistevano nell’aver esercitato “pressioni“ su affinché non assumesse alle proprie dipendenze agendo nella veste di “privato cittadino”;
per l’effetto, i fatti oggetto del procedimento penale non inerivano all’esercizio di pubbliche funzioni e, conseguentemente, non consentivano di invocare la normativa richiamata da parte ricorrente, che concerne invece l’onere della PA di rimborso delle spese sostenute dai propri dipendenti che siano stati imputati in un procedimento penale per fatti commessi nell’esercizio delle proprie funzioni;
le motivazioni di cui sopra erano già state esplicitate al ricorrente, in quanto poste a fondamento del rigetto delle richieste di rimborso avanzate da quest’ultimo.
Orbene, l’istituto oggetto di causa trova regolamentazione nell’art. 18, comma 1, D.L. 67/1997, convertito con modificazioni dalla L. n. 135/1997 (1), che dispone che “Le spese legali relative a giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità, sono rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dall’Avvocatura dello Stato. Le amministrazioni interessate, sentita l’Avvocatura dello Stato, possono concedere anticipazioni del rimborso, salva la ripetizione nel caso di sentenza definitiva che accerti la responsabilità”.
Nello stesso senso si collocano le disposizioni previste dalla contrattazione collettiva richiamate da parte ricorrente, e segnatamente l’art. 28 CCNL Comparto delle Regioni e delle Autonomie Locali del 14/09/2000 (“1. L’ente, anche a tutela dei propri diritti ed interessi, ove si verifichi l’apertura di un procedimento di responsabilità civile o penale nei confronti di un suo dipendente per fatti o atti direttamente connessi all’espletamento del servizio e all’adempimento dei compiti d’ufficio, assumerà a proprio carico, a condizione che non sussista conflitto di interessi, ogni onere di difesa sin dall’apertura del procedimento, facendo assistere il dipendente da un legale di comune gradimento. 2.
In caso di sentenza di condanna esecutiva per fatti commessi con dolo o colpa grave, l’ente ripeterà dal dipendente tutti gli oneri sostenuti per la sua difesa in ogni stato e grado del giudizio.3.
La disciplina del presente articolo non si applica ai dipendenti assicurati ai sensi dell’art. 43, comma 1”, doc. 14 ricorrente) e l’art. 59 del CCNL Comparto Funzioni locali del 16/11/2002 (“1. L’ente, anche a tutela dei propri diritti ed interessi, ove si verifichi l’apertura di un procedimento di responsabilità civile, contabile o penale nei confronti di un suo dipendente per fatti o atti direttamente connessi all’espletamento del servizio e all’adempimento dei compiti d’ufficio, assume a proprio carico, a condizione che non sussista conflitto di interessi, ogni onere di difesa, ivi inclusi quelli relativi alle fasi preliminari e ai consulenti tecnici, per tutti i gradi di giudizio, facendo assistere il dipendente da un legale, con l’eventuale ausilio di un consulente. 2.
Qualora il dipendente, sempre a condizione che non sussista conflitto d’interesse, intenda nominare un legale o un consulente tecnico di sua fiducia in sostituzione di quello messo a disposizione dall’ Ente o a supporto dello stesso, vi deve essere il previo comune gradimento dell’Ente e i relativi oneri sono interamente a carico dell’interessato.
Nel caso di conclusione favorevole dei procedimenti di cui al comma 1 e, nell’ambito di un procedimento penale con sentenza definitiva di assoluzione o decreto di archiviazione per infondatezza della notizia di reato o perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato, l’Ente procede al rimborso delle spese legali e di consulenza nel limite massimo dei costi a suo carico qualora avesse trovato legale, ai parametri minimi ministeriali forensi.
Tale ultima clausola si applica anche nei casi in cui al dipendente non sia stato possibile applicare inizialmente il comma 1 per presunto conflitto di interesse, anche solo potenziale.
Resta comunque ferma la possibilità per il dipendente di nominare un proprio legale o consulente tecnico di fiducia, anche senza il previo comune gradimento dell’Ente.
In tale ultimo caso, anche ove vi sia la conclusione favorevole del procedimento, i relativi oneri restano interamente a suo carico (…)”, ancora doc. 14 ricorrente).
Come si evince inequivocabilmente dal tenore letterale dell’art. 18 richiamato e delle ulteriori previsioni di cui ai contratti collettivi citate, il diritto al rimborso in capo ai pubblici dipendenti sorge in relazione alle spese legali relative a giudizi promossi nei loro confronti, tra le altre cose, in conseguenza di fatti ed atti connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali:
uno dei presupposti del diritto di cui si discute, pertanto, è costituito dalla diretta correlazione tra i fatti posti in essere dal pubblico dipendente – in relazione ai quali è stato avviato un giudizio per responsabilità civile, penale o amministrativa – e l’esercizio, da parte dello stesso, di pubbliche funzioni in ragione del suo ufficio.
Ciò in quanto, come già affermato dalla Corte di Cassazione con sent. n. 2366/2016 con motivazioni che si condividono e si richiamando anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c.,
“(…) l’Amministrazione è legittimata a contribuire alla difesa del suo dipendente imputato in un procedimento penale sempreché sussista un interesse specifico al riguardo e tale interesse deve individuarsi qualora sussista imputabilità dell’attività all’Amministrazione stessa e dunque una diretta connessione di tale attività con il fine pubblico (così Cass. 10 marzo 2011, n. 5718; Cass. 30 ottobre 2013, n. 24480;
si veda, sul requisito della comunione degli interessi perseguiti attraverso il reato ipotizzato e quelli dell’ente pubblico datore di lavoro, posto come necessario dal’art. 18 del D.L. n. 87 del 1997, Cass. 24 novembre 2008, n. 27871 nonché Consiglio di Stato 26 febbraio 2013, n. 1190 secondo cui “la connessione dei fatti con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali va intesa nel senso che tali atti e fatti siano riconducibili all’attività funzionale del dipendente stesso in un rapporto di stretta dipendenza con l’adempimento dei propri obblighi, dovendo trattarsi di attività che occorre che vi sia un nesso di strumentalità tra l’adempimento del dovere e il compimento dell’atto, nel senso che il dipendente non avrebbe assolto ai suoi compiti se non compiendo quel fatto o quell’atto” e, in termini, Consiglio di Stato 22 dicembre 1993, n. 1392). Del resto la natura del diritto al rimborso è stata individuata quale espressione di un principio generale di difesa volto, da un lato, a proteggere l’interesse personale del soggetto coinvolto nel giudizio in uno all’immagine della p.a. per la quale quel soggetto agisce e dall’altro a confermare il principio cardine dell’ordinamento che vuole riferire alla sfera giuridica del titolare dell’interesse sostanziale le conseguenze derivanti dall’operato di chi agisce per suo conto;
non a caso la legittimazione dogmatica del principio attinge alla teoria del mandato (cui commoda et eius incommoda) e trova ancoraggio positivo nella norma dell’art. 1720, co. 2, cod. civ. secondo cui “il mandante deve rimborsare al mandatario le anticipazioni…..
dal giorno in cui sono state fatte, e deve pagargli il compenso che gli spetta.
Il mandante deve, inoltre, risarcire i danni che il mandatario ha subito a causa dell’incarico” che ha portato ad affermare l’esistenza di un principio generale, immanente nel sistema, e di un limite, non meno generale, dato dal fatto che il mandatario abbia pur sempre agito in vantaggio e non in danno del mandante (cfr. Consiglio di Stato 10 dicembre 2013, n. 5919; Consiglio di Stato 7 ottobre 2009, n. 6113)”.
Nel caso di specie era stato sottoposto a procedimento penale per il reato di cui agli artt. 56, 81 e 323 c.p. “perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, nella sua qualità Agente di Polizia Locale del Comune di nello svolgimento delle sue funzioni e in violazione di nome di legge e di regolamento, compiva atti idonei diretti in modo non equivoco a procurare intenzionalmente un danno ingiusto a In particolare ha avuto delle liti con la suddetta persona offesa, liti che hanno avuto origine da un contratto di locazione di un immobile di proprietà dello stesso imputato e occupato dalla famiglia di questo contesto, venuto a conoscenza del fatto che moglie di un suo cugino aveva preso contatti con in vista di un’assunzione di quest’ultima come cameriera per l’albergo “RAGIONE_SOCIALE” (di proprietà della società RAGIONE_SOCIALE ), si è sostenendo che in caso contrario sarebbero sorti dei problemi e che comunque persone come dovevano essere allontanate da non otteneva quanto voluto perché assumeva ugualmente nonostante le dichiarazioni dell’Agente di Polizia Locale. Con le condotte appena descritte violava il principio di imparzialità che impone a qualsiasi pubblico ufficiale di non intromettersi in vicende in cui sono coinvolte persone con cui ha in corso delle liti e comunque violava l’art. 39 del Regolamento di Corpo di Polizia Locale del Comune di che, al comma 3 lett. b), stabilisce che il personale di Polizia Locale deve usare l’autorità derivante dalla propria funzione senza abusare di tale autorità a proprio vantaggio” (doc. 4 ricorrente).
Tuttavia, in sede dibattimentale e all’esito dell’istruttoria svolta, è stato accertato con sentenza passata in giudicato (sent. n. 554/2018 del Tribunale di Sondrio) che la condotta contestata a nulla aveva a che vedere con l’esercizio di pubbliche funzioni e, conseguentemente, è stata esclusa la responsabilità penale del predetto per il reato di cui all’art. 323 c.p.c. proprio per l’assenza del presupposto dell’elemento oggettivo del reato costituito dall’esercizio di pubbliche funzioni da parte dell’agente: al contrario, è emerso che le condotte contestate a erano state poste in essere quale “privato cittadino”, senza che inerissero all’esercizio di un pubblico potere (ancora doc. 4 ricorrente).
Il Tribunale di Sondrio, invero, ha affermato quanto segue:
“Orbene, esaminando il primo presupposto dell’elemento oggettivo, il collegio non riesce a cogliere quali funzioni pubbliche abbia esercitato il vigile urbano durante le conversazioni con la moglie di suo cugino Egli, in quel contesto, ha al contrario agito come privato cittadino, non ha piegato le sue funzioni pubbliche a suoi interessi privati, né ha minacciato alcunché.
Pertanto le sue richieste, quand’anche insistenti e poco gradite (tant’è che la non le ha prese in considerazione), furono solo espressione di libera manifestazione del pensiero e non possono in alcun modo costituire un abuso” (ancora doc. 4 ricorrente).
Pertanto, l’esito del giudizio cui è stato sottoposto il ricorrente si è concluso con un accertamento passato in giudicato – per definizione atto a superare l’iniziale inquadramento giuridico della fattispecie in sede di formulazione dell’imputazione – in ordine all’insussistenza di qualsivoglia correlazione tra i fatti contestati a e l’esercizio di pubbliche funzioni.
Ne consegue che devono ritenersi mancanti, nel caso in esame, gli elementi, fondanti il diritto al rimborso delle spese legali, dell’imputabilità dell’attività del dipendente alla Pubblica Amministrazione e della diretta connessione dell’attività stessa con la funzione pubblica, come sopra precisati.
Alla luce delle superiori considerazioni le domande devono essere rigettate.
Il regime delle spese segue il principio della soccombenza, di talché parte ricorrente deve essere condannata alla rifusione in favore di parte convenuta delle spese di lite, che si liquidano come da dispositivo.
Il Tribunale di Sondrio, in persona della Dott.ssa NOME COGNOME definitivamente pronunciando, ogni altra domanda ed istanza disattesa, così provvede:
rigetta il ricorso;
condanna la parte ricorrente al pagamento in favore della parte convenuta delle spese di lite, che liquida in € 1.500,00 per compensi, oltre 15% per spese generali, I.V.A. qualora dovuta e C.P.A. come per legge.
Fissa il termine di giorni 60 per il deposito delle motivazioni della sentenza.
Così deciso il 05/03/2025 Il Giudice NOME COGNOME
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Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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