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Rimborso iscrizione albo: no se c’è libera professione

Una dirigente biologa di un’azienda sanitaria pubblica ha chiesto il rimborso della tassa di iscrizione all’albo professionale. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 5462/2025, ha respinto la richiesta, ribaltando la decisione della Corte d’Appello. La Suprema Corte ha stabilito che il rimborso iscrizione albo non è dovuto quando il professionista, pur in regime di esclusiva, ha la facoltà di svolgere attività libero-professionale. Poiché l’iscrizione non serve l’interesse esclusivo del datore di lavoro ma anche quello potenziale del dipendente, il costo resta a carico di quest’ultimo.

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Pubblicato il 13 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Rimborso Iscrizione Albo: la Cassazione Nega il Diritto ai Sanitari Pubblici

L’obbligo di iscrizione a un albo professionale per i dipendenti pubblici è da sempre un tema dibattuto. La domanda centrale è: chi deve pagare la relativa tassa? Il dipendente o il datore di lavoro? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito una risposta chiara per i dirigenti sanitari, stabilendo che il rimborso iscrizione albo non è dovuto se il professionista ha la possibilità, anche solo potenziale, di esercitare la libera professione.

I Fatti del Caso: La Richiesta della Dirigente Biologa

Una dirigente biologa, impiegata a tempo indeterminato e in regime di esclusiva presso un’Azienda Sanitaria Locale, aveva richiesto il rimborso delle spese sostenute per l’iscrizione alla sezione speciale dell’albo dei biologi. La sua tesi si basava sul presupposto che tale iscrizione fosse una condizione necessaria per il mantenimento del rapporto di lavoro e, quindi, sostenuta nell’esclusivo interesse del datore di lavoro.

Inizialmente, il Tribunale aveva respinto la sua domanda. Successivamente, la Corte d’Appello aveva ribaltato la decisione, accogliendo la richiesta della professionista. I giudici di secondo grado avevano applicato per analogia i principi validi per gli avvocati degli enti pubblici, per i quali l’iscrizione all’albo speciale è considerata un costo a carico dell’ente. L’Azienda Sanitaria ha quindi presentato ricorso in Cassazione.

La Decisione della Corte e il diniego al rimborso iscrizione albo

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Azienda Sanitaria, annullando la sentenza d’appello e respingendo definitivamente la domanda della biologa. La Suprema Corte ha tracciato una netta distinzione tra la professione forense e le professioni sanitarie all’interno del pubblico impiego, un distinguo che si è rivelato decisivo per la negazione del rimborso iscrizione albo.

Le Motivazioni della Sentenza: Differenza tra Professioni Sanitarie e Forensi

La Corte ha fondato la sua decisione su un punto cruciale: il divieto assoluto di esercizio della professione per conto di terzi. Per un avvocato dipendente di un ente pubblico, l’iscrizione all’apposito elenco speciale è funzionale esclusivamente all’attività svolta per l’ente. La legge vieta in modo categorico a questi professionisti di assumere incarichi esterni. Di conseguenza, l’iscrizione soddisfa unicamente l’interesse del datore di lavoro pubblico, che deve quindi farsene carico.

La situazione è radicalmente diversa per un dirigente biologo, così come per altre figure sanitarie. Anche se opera in regime di esclusività, la normativa di settore (in particolare il D.Lgs. 502/1992) e la contrattazione collettiva consentono l’esercizio della libera professione, sia essa intramuraria (all’interno delle strutture aziendali) o, a determinate condizioni, extramuraria. Questa possibilità, sebbene regolamentata e soggetta a limiti per non confliggere con i doveri istituzionali, fa sì che l’iscrizione all’albo non sia più un requisito nell’interesse esclusivo dell’ente.

L’iscrizione diventa, infatti, una condizione abilitante che il professionista può utilizzare anche per un proprio, potenziale, tornaconto personale. Poiché l’interesse non è più esclusivo del datore di lavoro, viene meno il presupposto per l’obbligo di rimborso.

Conclusioni: Implicazioni per i Professionisti Sanitari Pubblici

Questa ordinanza stabilisce un principio di diritto importante con notevoli implicazioni pratiche. I professionisti sanitari del settore pubblico, inclusi biologi, medici e infermieri, non possono pretendere il rimborso delle quote di iscrizione ai rispettivi albi professionali se la normativa consente loro di svolgere attività libero-professionale. Il criterio determinante è la non esclusività dell’interesse del datore di lavoro. La sentenza chiarisce che il costo per mantenere l’abilitazione professionale resta a carico del singolo, in quanto rappresenta un titolo che può essere speso anche al di fuori del rapporto di impiego pubblico.

Un professionista sanitario dipendente pubblico ha diritto al rimborso delle spese di iscrizione all’albo?
No, secondo questa ordinanza, il professionista sanitario non ha diritto al rimborso se la legge e la contrattazione collettiva gli consentono, anche con limitazioni, di svolgere attività libero-professionale.

Perché la Corte di Cassazione ha trattato questo caso in modo diverso rispetto a quello degli avvocati dipendenti pubblici?
La differenza fondamentale è che agli avvocati dipendenti pubblici è assolutamente vietato svolgere attività professionale per terzi. Per loro, l’iscrizione all’albo speciale serve unicamente l’interesse del datore di lavoro. Per i biologi e altri sanitari, invece, è permessa l’attività libero-professionale, quindi l’iscrizione serve anche un interesse proprio del professionista.

Qual è il criterio decisivo per stabilire se il datore di lavoro debba rimborsare l’iscrizione all’albo?
Il criterio decisivo è se l’iscrizione all’albo sia imposta nell’interesse esclusivo del datore di lavoro. Se il dipendente può trarre un beneficio personale dall’iscrizione, come la possibilità di esercitare la libera professione, il costo non è rimborsabile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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