Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23665 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 23665 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 21450-2023 proposto da:
ISPETTORATO RAGIONE_SOCIALE BARI in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;
– ricorrente –
contro
ASSOCIAZIONE RAGIONE_SOCIALE GCOGNOME RAGIONE_SOCIALE COGNOME in persona dei legali rappresentanti pro tempore; COGNOME tutti rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrenti –
nonchè contro
COGNOME NOMECOGNOME
– intimato –
avverso la sentenza n. 711/2023 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 06/04/2023 R.G.N. 274/2022;
Oggetto
QUALIFICAZIONE
RAPPORTO DI
LAVORO
R.G.N. 21450/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 10/07/2025
cc
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/07/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte di appello di Bari, confermando la pronuncia del giudice di prime cure e in sede di opposizione ad ordinanza ingiunzione ex art. 22 della legge n. 689 del 1981 della Direzione Territoriale del Lavoro di Bari dell’11.2.2016, ha escluso la natura subordinata dei rapporti di lavoro instaurati dall’Associazione RAGIONE_SOCIALE Spinazzola NOME COGNOMEin persona dei suoi legali rappresentanti) con quattro soci dell’Associazione (che avevano dato disponibilità ad attività di volontariato con mansioni di ‘autista/soccorritore’ per l’espletamento del servizio 118 dell’Ospe dale di Spinazzola), come cristallizzato nel verbale redatto dall’Ispettorato territoriale del lavoro di Bari in data 25.3.2011 che aveva respinto la configurazione di rapporti di volontariato.
La Corte territoriale ha rilevato che dall’istruttoria svolta in primo grado non erano emersi elementi tali da far ritenere che i rapporti di volontariato instaurati tra l’Associazione e i quattro soci presentassero i caratteri tipici della subordinazione (il cui onere della prova spettava all’Ispettorato, vista la pretesa sanzionatoria esercitata attraverso l’emissione del provvedimento punitivo); inoltre, la ricezione di un rimborso spese pari a 25,00 euro per ciascun turno di servizio (pari a 8 ore) non era indicativa della natura subordinata del rapporto perché -per la sua modesta entità – non poteva essere assimilata al corrispettivo della prestazione resa ed era rispettosa della previsione di cui all’art. 2 della l. n. 266 del 1991 in quanto andava a compensare le spese che i soci erano
certamente chiamati a sostenere (ovvero le spese di trasporto per raggiungere la postazione e le spese per i pasti, necessari in ragione della durata dei turni).
Per la cassazione di tale sentenza l’Ispettorato del lavoro ha proposto ricorso affidato a un motivo. L’A ssociazione volontari G. INDIRIZZO emergenza radio Spinazzola (in persona del legale rappresentante pro tempore NOME COGNOME e dell’ex legale rappresentante della medesima Associazione, NOME COGNOME) ha resistito con controricorso, illustrato da memoria.
Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo ed unico motivo di ricorso si denunzia violazione d ell’art. 2 Legge n. 266/1991, nonché degli artt. 2094 e 2697 cod.civ. in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 c.p.c. La sentenza della Corte di Appello appare viziata in quanto ha ritenuto insussistente un rapporto di lavoro subordinato, operando un malgoverno dell’onere probatorio in materia, nonché un’erronea interpretazione della normativa in materia di lavoro volontario. In particolare, nonostante consolidato orientamento giurisprudenziale che -in applicazione dell’art. 2 cit. ritiene che l’attività di volontariato non possa essere retribuita in alcun modo, salvo rimborsi per spese effettivamente affrontate dal volontario (con inclusione, tra i compensi, vietati, dei rimborsi spes e ‘forfettari’, in quanto non specificamente collegati con effettive spese), la sentenza impugnata ha escluso la violazione della disposizione normativa, fondandosi sull’assunto, indimostrato da parte dell’Associazione, che i rimborsi fossero connessi al sostenimento di spese per il vitto, il
carburante o per l’acquisto di schede telefoniche. Il collegamento dell’erogazione, per ciascun volontario, di euro 25,00 (per ogni prestazione giornaliera di 8 ore) con le spese è stato espressamente escluso nell’ambito dell’istruttoria e non diversamente provato dall’Associazione sulla quale gravava il relativo onere.
Il ricorso non è fondato.
La legge n. 266 del 1991, art. 2, prevede che ‘ l’attività del volontariato non può essere retribuita in alcun modo nemmeno dal beneficiario. Al volontario possono essere soltanto rimborsate dall’organizzazione di appartenenza le spese effettivamente sostenute per l’attività prestata, entro limiti preventivamente stabiliti dalle organizzazioni stesse “.
La previsione (sostanzialmente confermata, anzi maggiormente circostanziata, dall’art. 17 del d.lgs. n.117 del 2017, che prevede espressamente il divieto di rimborsi spese di tipo forfetario) ha evidente carattere antiabusivo, al fine di evitare commistioni tra attività lavorativa e volontariato.
Questa Corte (Cass. n. 23890/2015, Cass. n. 24451/2018) ha precisato che la prima parte di tale disposizione significa che non possono essere considerati rimborsi di spese – e vanno quindi qualificati come compensi, come tali soggetti a tassazione – gli esborsi erogati dalle associazioni di volontariato ai propri associati a titolo di rimborso forfettario, ossia senza specifico collegamento con spese, singolarmente individuate, effettivamente sostenute dai percettori. Ciò implica, sul piano probatorio, che grava sulla parte contribuente che contesti la pretesa erariale (associazione, per quanto riguarda la ritenuta alla fonte, ed associato, per quanto riguarda l’intero prelievo IRPEF) l’onere di documentare il
sostenimento delle spese di cui le somme erogate dall’associazione costituirebbero specifico rimborso.
6. La disposizione in esame – inserita in un articolo di legge che definisce normativamente l’attività di volontariato tende a garantire che i rimborsi spese non mascherino l’erogazione di compensi, ossia, in definitiva, che il rapporto associativo non mascheri un rapporto di lavoro (si veda, sul punto Cass. Sez. Lav. nn. 12964/08, 10974/10, 9468/13) e a tal fine prescrive che i rimborsi a ciascun singolo volontario, per un verso, siano connessi a “spese effettivamente sostenute” – il che risulta intrinsecamente incompatibile con la determinazione dell’entità del rimborso con criteri forfettari – e, per altro verso, rientrino in “limiti preventivamente stabiliti”. Pertanto, ove l’attività sia svolta a fronte di un rimborso spese forfetario deve escludersi la sussistenza di un rapporto di volontariato e la configurazione di un rapporto di lavoro, di natura autonoma o subordinata (a seconda dell’accertamento che il giudice effettua sulle concrete modalità di svolgimento del rapporto stesso).
Ebbene, nel caso di specie, la Corte territoriale -in ossequio alla previsione di cui all’art. 2 della legge n. 266 del 1991 e in conformità con l’orientamento di questa Corte innanzi richiamato -ha correttamente ritenuto di escludere la configurazione di un rapporto di volontariato, in considerazione della corresponsione, ai soci dell’ente, di un rimborso di carattere forfetario (quindi a fronte della erogazione di rimborsi che non corrispondevano a spese effettivamente sostenute, che dovevano essere provate dall’associazione). Dovendo, conseguentemente, ritenersi sussistente tra associazione e soci un rapporto di lavoro (autonomo o subordinato), la Corte territoriale ha, peraltro, escluso -secondo accertamento di fatto
insindacabile in sede di legittimità, se non sotto il profilo, non censurato, della individuazione dei criteri generali ed astratti da applicare -l’esistenza di un vincolo di subordinazione, avuto riguardo alla specificità degli incarichi conferiti ai lavoratori ed al modo in cui venivano svolti, rilevando che non era percepibile un assoggettamento alle puntuali direttive del datore di lavoro e facendo riferimento ai criteri complementari e sussidiari usualmente utilizzati quali indizi probatori della subordinazione (cfr., ex plurimis, Cas. n. 9256/2009).
In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile; le spese di lite sono regolate secondo il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c.
Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 200,00 per esborsi, nonché in Euro 6.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 20012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, d ell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale del 3 aprile 2025.
Il Presidente dott.ssa NOME COGNOME