Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 16957 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 16957 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso 12872-2021 proposto da:
IRAGIONE_SOCIALENRAGIONE_SOCIALEARAGIONE_SOCIALEIRAGIONE_SOCIALEL. -ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 513/2020 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 09/12/2020 R.G.N. 89/2020;
Oggetto
Previdenza
R.G.N.12872/2021
COGNOME
Rep.
Ud 05/06/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/06/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
Rilevato che:
1. con sentenza del 9 dicembre 2020 la Corte d’appello di Torino confermava (salvo che per il residuale profilo del cumulo di interessi e rivalutazione come precisato in motivazione) la decisione del Tribunale di Vercelli che, accogliendo il ricorso di NOME COGNOME aveva condannato l’Inail a corrisponderle la somma di euro 18.292,60 nonché euro 1.368,87;
NOME COGNOME unica erede di NOME COGNOME già dipendente Ispesl transitato alle dipendenze dell’Inail, cessato dal servizio il 21 settembre 2011 e venuto a morte il 22 ottobre 2011, aveva dedotto l’illegittimità dell’operato dell’Inail, il quale, dopo aver liquidato il trattamento di fine servizio (in seguito più in breve: TFS) del de cuius nel gennaio 2012, aveva proceduto alla riliquidazione dello stesso trattamento in data 2/12/2013 e poi ancora in data 23/7/2014: in entrambi i casi (a suo avviso) tardivamente rispetto al termine di decadenza annuale dell’art. 1 comma 98 della legge n. 228 del 2012 e dell’ art. 30 del d.P.R. 1032 del 1073;
la Corte d’appello, come già prima il Tribunale, accoglieva la prospettazione della COGNOME, osservando che il termine annuale per procedere alla rideterminazione del TFS/TFR era irrimediabilmente spirato:
i) in data 30/10/2013, ex art. 1 co. 98 della legge n. 228/2012 cit. (con decorso dal 30/10/2012: data d’entrata in vigore del d.l. n. 185/2012) se il ricalcolo era riferito alla sola quota relativa
all’anzianità contributiva maturata a decorrere dal 1° novembre 2011; ed infatti l’Istituto aveva effettuato la riliquidazione solo l’8/11/2013;
ii) in data 12/1/2013 ex art. 30 d.P.R. n. 1032/1073, cit., laddove si ritenesse – com’era accaduto (v. p. 17 sentenza) – che l’errore di calcolo fosse legato alla ‘quota’ relativa all’anzianità maturata fino al 31/12/2010 (prendendo erroneamente in considerazione il 100% delle voci retributive e non soltanto l’80’% come stabilito dagli artt. 3 -38 del d.P.R. 1032/1973); l’originaria liquidazione risaliva al 12/1/2012 e il provvedimento di riliquidazione era stato adottato, in parte qua , solo il 23 luglio 2014;
3 . contro tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Inail con un solo motivo, resistito con controricorso dalla COGNOME.
Considerato che:
nell’unico motivo di ricorso l’Inail denuncia violazione falsa applicazione dell’art. 12 comma 10 del d.P.R. n. 78 del 2010, dell’art. 1 comma 98 della legge n. 228 del 2012 e dell’art. 30 del d.P.R. n. 1032 del 1073, in relazione all’articolo 360 n. 3 c.p.c.;
la Corte d’appello aveva rigettato il ricorso facendo essenzialmente leva sul termine annuale di cui all’art. 30 del d.P.R. n. 1032 del 1073 ma tale norma, riferita ai dipendenti statali, non poteva essere applicata agli ex-dipendenti Ispesl, transitati all’Inail;
se è vero che il trattamento di quiescenza dei dipendenti ex Ispesl transitati all’Inail deve essere necessariamente calcolato secondo le disposizioni degli artt. 3 e 38 del d.P.R. n. 1032 del 1973, anche ai fini del TFS, non può dirsi però che all’Inail e ai suoi dipendenti, transitati dall’ ex Ispesl, possa estendersi l’intera disciplina del d.P.R. n. 1032 del 1973 e in particolare il suo articolo 30, norma (questa) di stretta interpretazione perché deroga al principio generale di ripetibilità dell’indebito corrisposto
al dipendente pubblico e che va, dunque, circoscritta nella sua portata applicativa ai soli «provvedimenti adottati dall’amministrazione del fondo di previdenza nelle materie previste dal presente testo unico» e non anche a quelli di liquidazione dei trattamenti di quiescenza adottati dall’Inail, quale datore di lavoro, che provvede a liquidazione del TFS per i propri dipendenti;
1.1 il motivo, non esente dai profili di inammissibilità di cui si dirà, non è fondato;
1.1.1 va sottolineato che la sentenza impugnata ritiene l’Inail decaduta dalla possibilità di rideterminare il TFS e ciò non solo in forza del disposto dell’art. 30 del d.P.R. n. 1032 del 1073 ma anche ai sensi dell’ art. 1 co. 98 legge n. 228/2012;
in particolare, quest’ultima disposizione testualmente recita:
« Al fine di dare attuazione alla sentenza della Corte costituzionale n. 223 del 2012 e di salvaguardare gli obiettivi di finanza pubblica, l’articolo 12, comma 10, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, è abrogato a decorrere dal 1° gennaio 2011. I trattamenti di fine servizio, comunque denominati, liquidati in base alla predetta disposizione prima della data di entrata in vigore del decreto-legge 29 ottobre 2012, n. 185, sono riliquidati d’ufficio entro un anno dalla predetta data ai sensi della disciplina vigente prima dell’entrata in vigore del citato articolo 12, comma 10, e, in ogni caso, non si provvede al recupero a carico del dipendente delle eventuali somme già erogate in eccedenza. Gli oneri di cui al presente comma sono valutati in 1 milione di euro per l’anno 2012, 7 milioni di euro per l’anno 2013, 13 milioni di euro per l’anno 2014 e 20 milioni di euro a decorrere dall’anno 2015. All’onere di 1 milione di euro per l’anno
2012 si provvede mediante corrispondente riduzione della dotazione del Fondo per interventi strutturali di politica economica di cui all’articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307 » ;
com’è agevole constatare, il dettato normativo, riguardante i dipendenti in regime di TFS, nello stabilire un termine annuale di decadenza per la riliquidazione dei ‘ trattamenti di fine servizio comunque denominati’ , li intende unitariamente, e non distingue, invero, ai fini dell’operatività del termine di decadenza annuale, tra le singole quote d el TFS, sicché deve ritenersi coerente con la ratio sollecitatoria sottesa alla disposizione l’esegesi fornita dal giudice d’appello , il quale riferisce in primis la decadenza annuale dell’Inail al disposto dell’art. 12 co. 10 del d.l. n. 78/2010;
1.1.2 vero è che il giudice d’appello richiama, in termini rafforzativi del decisum , anche la decadenza (anch’essa largamente maturata) di cui alla disposizione dell’art. 30 d.P.R. cit.;
a riguardo, l’Inail sostiene, dal canto suo, che l’art. 1 co. 98 della legge n. 228/2012 non sarebbe tuttavia applicabile perché verrebbe qui in considerazione una riliquidazione afferente alla (sola) quota di trattamento precedente al 31/12/2010 (su cui il disposto dell’art. 12 comma 10 del d.l. n. 78/2010 in concreto non inciderebbe) e che vi sarebbe stata, nel caso di specie , falsa applicazione dell’art. 30 d.P.R. n. 1032 del 1973, trovando tale disposizione, sempre a parere dell’Inail, applicazione ai dipendenti non statali e non agli ex dipendenti Ispesl transitati all’Inail;
1.1.3 tali assunti non possono essere condivisi;
anche a voler prescindere dai superiori (e assorbenti) rilievi in ordine all’esegesi dell’art. 1 co. 98 cit. e all’impossibilità (dunque) di scomporre
e parcellizzare singole ‘quote’ dell’unico TFS che è stato qui oggetto di riliquidazione, resta il fatto che, del tutto correttamente, la difesa della controricorrente evidenzia (v. p. 13 controricorso) come tale questione, id est quella afferente a ll'(in)applicabilità dell’art. 30 del d.P.R. n. 1032/1973 all’ex dipendente Ispesl , sia stata prospettata per la prima volta in sede di legittimità: ad essa, in effetti, non si fa alcun cenno la sentenza impugnata e l’Inail non allega né dimostra di averla ritualmente posta al vaglio dei giudici del merito;
trattasi di questione che, alla luce soprattutto dei rilievi sviluppati in giudizio dalla difesa della COGNOME in ordine all’esplicito richiamo operato al d.P.R. 1032/1073 sia pure con disciplina interna, implica invero un giudizio (anche) di fatto (venendo in considerazione l’ eventuale esistenza di atti di sostanziale autolimitazione dell’Inail con volontaria estensione tout court delle disposizioni del d.P.R. n. 1032/1973, ivi compreso quelle dell’ articolo 30) e ciò renderebbe applicabile l’orientamento consolidato espresso da questa Corte sull ‘ inammissibilità delle ‘ questioni miste ‘ (diritto coniugato a fatto: cfr. Cass. SU n. 26603/2024) che non divengono di per sé ammissibili solo perché la pronuncia fa riferimento a dati di fatto che consentirebbero di risolvere la questione medesima nel giudizio di legittimità;
1.1.3 si aggiunga, con riguardo all’applicazione della disposizione di cui all’art. 30 d.P.R. cit., che non può dirsi priva di significato la circostanza che l’Istituto, pur contestando l’applicabilità ai dipendenti ex Ispesl dell’art. 30 d.P.R. cit., amme tte che il TFS è stato qui (ri)calcolato secondo le disposizioni del d.P.R. n. 1032/1973 che puntualmente richiama e in particolare degli artt. 3 (recante ‘Indennità spettante al dipendente’) e 38 (recante ‘Base
contributiva’) del d.P.R., tanto in linea con la nota della Presidenza del Consiglio dei ministri dell’11/12/2012 secondo la quale «il legislatore, nel disporre la soppressione dell’Ispesl, ha stabilito anche la perdurante applicazione del ‘trattamento giuridico ed economico prev isto dalla contrattazione collettiva per il comparto ricerca e dell’area VII’, con ciò presumibilmente legittimando anche un ‘ effetto di trascinamento ‘ del regime del trattamento di fine servizio per i dipendenti trasferiti ‘ qu ale previsto dall’amministrazione di appartenenza;
su tale profilo lo stesso Istituto si sofferma lungamente, senza al contempo chiarire però le ragioni per le quali l’ampio rinvio, così operato, al d.P.R. n. 1032 del 1973 dovrebbe valere limitatamente alle sole disposizioni degli artt. 3-38 citt. e con esclusione dell’art. 30 dello stesso d.P.R., laddove esso prevede, per poter procedere a riliquidazione del TFS, il termine -perentorio, come ritenuto dal giudice d’appello -di decadenza annuale;
rispetto al quale questa Corte ha precisato, e tale orientamento va qui ribadito, che la ratio del sistema è di porre un termine fisso di un anno, decorrente dall’emanazione del provvedimento da correggere, qualora gli errori di calcolo o di fatto che lo inficiano siano da imputare all’ente che eroga il TFS perché, in questo caso, l’ ente ha da subito tutti gli elementi per avvedersi del suo errore e porvi rimedio (cfr. sia pure in termini generali ma con affermazioni di principio richiamabili in questa sede: Cass. 4/6/2024, n. 15597);
tanto basta (or dunque) per la reiezione del ricorso; le spese di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
La Corte: rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di legittimità che liquida in €. 4.000,00 per com pensi ed €. 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Corte Suprema