Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 1842 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 1842 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/01/2025
SENTENZA
sul ricorso 1107-2018 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, NOME COGNOME, nella qualità di eredi di COGNOME NOME, COGNOME NOME COGNOME tutti elettivamente domiciliati presso l’indirizzo PEC dell’avvocato NOME COGNOME che li rappresenta e difende;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 761/2017 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 27/06/2017 R.G.N. 197/2016;
Oggetto
Art. 1, commi
185 e 187, L.
662/1996,
Dipendenti
INPS
R.G.N. 1107/2018
COGNOME
Rep.
Ud. 15/10/2024
PU
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/10/2024 dalla Consigliera Dott. NOME COGNOME udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’avvocato COGNOME
udito l’avvocato NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza in epigrafe, la Corte d’appello di Firenze ha rigettato l’appello proposto dall’INPS avverso la decisione di primo grado che, in accoglimento della domanda di NOME COGNOME e di NOME COGNOME, già dipendenti dell’Istituto, ha riconosciuto il diritto delle stesse alla riliquidazione del trattamento pensionistico di anzianità, sulla base della complessiva contribuzione maturata al momento della cessazione del rapporto di lavoro, in applicazione dell’art. 4 del DM nr. 331 del 1997 emanato in attuazione dell’art. 1, comma 187, della legge nr. 662 del 1996.
La Corte di merito -dopo aver premesso che le ricorrenti avevano chiesto ed ottenuto la trasformazione del rapporto di lavoro alle dipendenze dell’Ente da tempo pieno a tempo parziale e la contestuale liquidazione della pensione di anzianità ex art. 1, commi 185 e 187, della legge nr. 662 del 1996- ha ritenuto che il trattamento pensionistico andasse liquidato, definitivamente, all’atto della cessazione del rapporto di lavoro, in applicazione della regola fissata dal regolamento attuativo di cui al DM sopra indicato.
Avverso la sentenza, l’Inps propone ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo, cui resistono, con controricorso, le parti intimate.
La causa, a seguito di infruttuosa trattazione camerale, è stata rimessa alla pubblica udienza. In vista della
pubblica udienza, il Pubblico ministero e le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ. l’INPS deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, commi 185, 187 e 189 , della legge nr. 662 del 1996; violazione e falsa applicazione dell’art. 4 della legge nr. 1338 del 1962; violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge nr. 155 del 1981; violazione e falsa applicazione dell’art. 14 della leg ge nr. 70 del 1975; violazione e falsa applicazione dell’art. 4 delle disposizioni sulla legge in generale; violazione e falsa applicazione dell’art. 4, comma 2, del D.M. nr. 331 del 1997 in relazione agli artt. 1362, 1363 e ss. cod.civ.
L ‘Istituto , complessivamente, censura l’interpretazione della normativa di riferimento come resa nella decisione impugnata.
Il motivo è infondato.
Appare opportuno, prima di procedere all’esame delle questioni devolute alla Corte, premettere il quadro normativo di riferimento, nella parte di rilievo ai fini di causa.
La legge nr. 662 del 1996, art. 1, comma 185, ha previsto che «al fine di incentivare l’assunzione di nuovo personale, ai lavoratori in possesso dei requisiti di età e di contribuzione per l’accesso al pensionamento di anzianità , dipendenti da imprese, può essere riconosciuto il trattamento di pensione di anzianità e, in deroga al regime di non cumulabilità di cui al comma 189, il passaggio al rapporto di lavoro a tempo parziale in misura non inferiore a 18 ore settimanali».
Ciò «a condizione che il datore di lavoro assuma nuovo personale per una durata e per un tempo lavorativo non inferiore a quello ridotto ai lavoratori che si avvalgono della predetta facoltà».
Ai lavoratori che si avvalgono di detta facoltà «l’importo della pensione è ridotto in misura inversamente proporzionale alla riduzione dell’orario normale di lavoro, riduzione comunque non superiore al 50 per cento». In ogni caso «la somma della pensione e della retribuzione non può superare l’ammontare della retribuzione spettante al lavoratore che, a parità di altre condizioni, presta la sua opera a tempo pieno».
Il successivo comma 187 ha stabilito, poi, che, con decreto del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con il Ministro del tesoro, venissero emanate le necessarie norme regolamentari «per la definizione dei criteri e delle modalità applicative di quanto disposto al comma 185 nei confronti del personale delle amministrazioni pubbliche di cui del D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, art. 1, comma 2», precisandosi, al contempo, che nell’ambito delle predette amministrazioni pubbliche «si prescinde dall’obbligo di nuove assunzioni di cui al medesimo comma 185».
Le disposizioni attuative sono state emanate con Decreto nr. 331 del 29 luglio 1997, il quale per quanto qui interessa, prevede, all’art. 4, comma 2, che: «Al momento della cessazione del rapporto di lavoro si procede alla rideterminazione del trattamento di pensione sulla base della complessiva anzianità maturata».
La Corte di appello di Firenze, in applicazione di tale normativa, ha riconosciuto il diritto delle dipendenti, al momento della definitiva cassazione dei rapporti di lavoro, alla riliquidazione del trattamento pensionistico, computando
tutti i contributi versati anche durante il periodo di lavoro part time.
15. L’INPS contesta tale ricostruzione e sostiene che, per i propri dipendenti che continuano a prestare lavoro dopo la decorrenza della pensione, vale la regola generale di cui all’art. 19 del DPR nr. 488 del 1968 che stabilisce solo il diritto ad un «supplemento di pensione». In altre parole, alla fattispecie di causa non sarebbe applicabile l’art. 4 del DM nr. 331 del 1997.
16. La peculiarità del caso concreto sarebbe data dal particolare regime previdenziale dei dipendenti dell’INPS ( e de ll’INAIL) . Questi, pur essendo pubblici dipendenti, sono iscritti all’AGO. Ragione per cui, secondo la tesi sostenuta dall’Istituto, l’inclusione del patrimonio contributivo successivo alla decorrenza della pensione varrebbe solo ai fini di un «supplemento» di pensione ma non potrebbe mai essere utilizzato ai fini della rideterminazione del trattamento di pensione.
17. Per l’ INPS, il DM nr. 331 del 1997, attuativo delle disposizioni di cui all’art. 1, comma 185, della legge nr. 662 del 1996, opererebbe solo con riferimento ai dipendenti di tutte le altre Amministrazioni Pubbliche (diverse cioè da ll’ INPS e dall’ INAIL). Per questi, esclusivamente, a norma del l’art. 4 co.2, è prevista la «rideterminazione del trattamento di pensione sulla base della complessiva anzianità maturata» al momento della cessazione del rapporto di lavoro. Viceversa, tale disposizione regolamentare non riguarderebbe le posizioni di quei lavoratori pubblici che , come i dipendenti dell’INPS e dell’INAIL, restano soggetti alla disciplina di legge sull’AGO . Per costoro, la prestazione pensionistica non può che calcolarsi a norma della legge nr. 1338 del 1962 e dell’art. 7 della legge nr. 155 del 1981: la contribuzione accreditata per
l’attività lavorativa svolta dopo il pensionamento di anzianità darebbe, cioè, luogo esclusivamente alla liquidazione di supplementi di pensioni.
18. Il Collegio non condivide le censure dell’INPS. Reputa, di contro, corretta la conclusione raggiunta dalla Corte di appello, in quanto aderente al dato letterale e alla ratio della disciplina in esame.
19. N ell’esaminare la normativa di cui all’art. 1, commi 185 e 187, della legge nr. 662 del 1996 e del successivo Decreto attuativo, questa Corte, sin dalla pronuncia nr. 25800 del 2011, ha affermato che la disciplina ivi delineata è da qualificarsi come eccezionale, avendo portata derogatoria del sistema in vigore all’epoca della sua emanazione. La possibilità di cumulo, sia pure limitato, tra pensione e reddito di lavoro, senza necessità dell’interruzione del rapporto di lavoro, è situazione atipica poiché il requisito indefettibile della pensione di anzianità, ai sensi dell’art. 22 della legge nr. 153 del 1969, è proprio la cessazione del rapporto (v. Cass nr. 14417 del 2019, punto 7).
20. Anche la normativa successiva che ha, poi, abolito il divieto di cumulo tra pensioni di anzianità e reddito di lavoro ha comunque mantenuto fermo il principio dalla necessità di interruzione del rapporto lavorativo. Ciò si desume dall ‘art. 44, comma 2, parte seconda, della legge nr. 289 del 2002, ove è previsto che la disposizione ( di abolizione del divieto di cumulo) si applica – oltre che agli iscritti alle forme di previdenza di cui al comma 1, già pensionati di anzianità alla data del 1 dicembre 2002 e nei cui confronti trovino applicazione i regimi di divieto parziale o totale di cumulo (art. 44, comma 2, 1^ parte, L. cit.) – anche agli iscritti che hanno maturato i requisiti per il pensionamento di anzianità, hanno interrotto il rapporto di lavoro e presentato domanda di pensionamento entro il 30 novembre 2002.
Il sistema tracciato dalla legge nr. 662 del 1996 si pone, dunque, in termini derogatori rispetto alla regola generale, prevedendo un trattamento pensionistico che viene liquidato in costanza del rapporto di lavoro, sia pure ridotto in ragione della retribuzione che si continua a percepire.
Per l’attuazione di tale sistema «nei confronti del personale delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29» l’art. 1, comma 187, della legge nr. 662 del 1996 opera, altresì, il rinvio ad una fonte regolamentare.
Quest’ultima (art. 4, comma 2, DM nr. 331 del 1997) riferisce la previsione della «rideterminazione del trattamento di pensione sulla base della complessiva anzianità maturata» indistintamente al personale della pubblica amministrazione: nel suo perimetro di applicazione sono, dunque, compresi anche i dipendenti dell’ INPS e dell’INAIL.
L’assunto dell’I stituto è sganciato dal testo di legge e neppure coerente con la ratio della norma.
Il legislatore ha destinato la disciplina di cui al l’art. 1, comma 185, della legge nr. 662 del 1996 indifferentemente al settore privato e pubblico, individuando quali destinatari della stessa i «dipendenti di impresa».
Per il settore pubblico, la disciplina è stata, però, completata da una fonte secondaria cui il Legislatore h rimesso la definizione di «criteri e modalità applicative di quanto disposto al comma 185». Tra questi «criteri» vi è anche quello inteso ad assicurare non solo il mantenimento del reddito percepito, mediante il cumulo della pensione e della residua retribuzione part time ma, altresì, il calcolo del trattamento pensionistico definitivo in base a tutto il periodo lavorato, comprensivo di quello part time.
In altre parole, il combinato disposto dell’art. 1, comma 185, cit. e del regolamento delegato delinea una
normativa di carattere speciale che, per quando riguarda tutto il personale delle pubbliche amministrazioni, deroga la disciplina generale da un duplice punto di vista: da un lato, consente la prosecuzione del rapporto di pubblico impiego del dipendente sia pure trasformato, con lo stesso datore di lavoro, in rapporto part time, ed il contemporaneo conseguimento del trattamento pensionistico di anzianità; dall’altro, garantisce, al momento della definitiva cessazione del rapporto di lavoro, la rideterminazione del trattamento previdenziale in godimento in base alla complessiva anzianità maturata, invece del mero riconoscimento del diritto ai supplementi di pensione.
L’interpretazione resa dalla sentenza impugnata è dunque immune dai rilievi mossi.
Segue il rigetto del ricorso, con le spese che si compensano in ragione della novità della questione trattata.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese di lite.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater , dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis , se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 15