Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 14905 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 14905 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso 4056-2019 proposto da:
SOTTO COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 739/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 18/07/2018 R.G.N. 172/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
11/04/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
LIQUIDAZIONE PENSIONE
R.G.N. 4056/2019
Ud. 11/04/2025 CC
Rilevato che:
1. NOME COGNOME affermava di aver svolto una carriera lavorativa divisa tra Italia (quale titolare di impresa commerciale) e Svizzera (quale lavoratore dipendente) e di essere titolare di pensione dal marzo del 2001; affermava, altresì, che in data 7/11/2002 la sede INPS di Bologna gli comunicava di aver proceduto al ricalcolo della sua pensione a far data dalla sua erogazione, individuando un indebito pari ad euro 6.248,10, tanto in ragione di un diverso criterio da applicarsi quanto alla valorizzazione della contribuzione versata in Svizzera. In data 11/3/2005 il ricorrente inoltrava all’INPS domanda di riliquidazione della pensione denunciando l’errore compiuto dall’I stituto, che avrebbe dovuto valorizzare la pensione sulla intera retribuzione percepita in Svizzera anziché sulla retribuzione riparametrata sulla base della minore aliquota contributiva prevista in Svizzera. L’INPS respingeva l’istanza e NOME COGNOME adiva il Tribunale di Bologna, in funzione di g iudice del lavoro, chiedendo la condanna dell’INPS a riliquidare la pensione con decorrenza dal marzo 2001 e con riferimento alla retribuzione effettivamente percepita anche per il lavoro prestato in Svizzera. L’INPS si costituiva e chiedeva il rigetto della domanda. Il Tribunale di Bologna accoglieva la domanda affermando il diritto del ricorrente a mantenere il criterio di valorizzazione della pensione previgente, più favorevole perché fatto salvo dall’ultimo periodo dell’art. 1, comma 777, della legge n. 296/2006 disposizione nelle more intervenuta per dettare l ‘esatta interpretazione dell’art. 5, secondo comma, d.P.R. 27/4/1968, n. 488 ma inapplicabile a chi avesse già ottenuto, o anche solo richiesto, come si legge nella motivazione del Tribunale, la liquidazione della pensione.
L’INPS proponeva appello ritenendo applicabili le disposizioni dettate dalla novella. NOME COGNOME si costituiva in giudizio e chiedeva il rigetto del gravame. La Corte di Appello di Bologna, sezione lavoro, respingeva l’appello e affermava che anche dall’applicazione della novella costituita dall’art. 1, comma 777, della legge n. 296/2006 discendeva la fondatezza della pretesa del Sotto COGNOME a vedersi riliquidare la pensione sulla base delle retribuzioni effettivamente percepite.
Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione l’INPS; NOME COGNOME rimaneva intimato. Con l’ordinanza 30/1/2018, n. 2305, la Corte di cassazione accoglieva il ricorso e affermava che «effettivamente il computo delle retribuzione pensionabile effettuato dall’Istituto riparametrando la retribuzione effettivamente percepita all’estero in relazione all’inferiore aliquota contributiva ivi applicata risulta conforme al disposto dell’art. 5, comma 2, d.P.R. n. 488/1968 come interpretato autenticamente dall’art. 1, comma 777, L. n. 296/2006; che la predetta disposizione è da ritenersi pienamente legittima, stante la pronunzia di inammissibilità resa, con la sentenza n. 166 del 12 luglio 2017, dalla Corte costituzionale relativamente alla questione di legittimità costituzionale sollevata da questa Corte con ordinanza n 96/2015». Sulla base di tale premessa la Corte cassava la sentenza impugnata e rinviava alla Corte di Appello per un nuovo esame.
Riassunto il giudizio di rinvio , l’INPS, in qualità di appellante, chiedeva la riforma della sentenza di primo grado e il rigetto della originaria domanda, NOME COGNOME al contrario chiedeva la conferma della sentenza di primo grado e del l’accoglimento della domanda. Con la sentenza n. 739/2018
depositata il 18/7/2018, la Corte di Appello di Bologna, sezione lavoro, riformava la sentenza di primo grado e rigettava l’originario ricorso del Sotto Corona.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME con tre motivi di impugnazione. L’INPS si è costituito con controricorso e ha chiesto il rigetto dell’impugnazione .
La parte ricorrente e la parte controricorrente hanno depositato memorie illustrative ai sensi dell’art. 380 -bis. 1 cod. proc. civ..
Il ricorso è stato trattato dal Collegio nella camera di consiglio dell’11/4/2025.
Considerato che :
Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1, comma 777, della legge 296 del 2006 in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. Secondo il ricorrente la pronuncia impugnata avrebbe errato nel ritenere che la pensione della quale è titolare non fosse già stata liquidata dall’INPS nel 2001 e , quindi, prima dell’entrata in vigore dell’art. 1, comma 777, legge n.296/2006 e che il ricorrente non fosse, per questa via, sottratto all’applicazione della novella , in ragione del disposto dell’ultimo periodo dell’art. 1, comma 777, della legge citata.
Con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. Si critica la sentenza impugnata perché avrebbe errato, travisando il materiale probatorio, segnatamente l’estratto contributivo del ricorrente e la comunicazione d ‘indebito da parte dell’INPS, e avrebbe considerato come provvedimento definitivo di liquidazione quello che, al contrario, era un provvedimento di riliquidazione
che interveniva su una pensione già liquidata secondo i precedenti, e più favorevoli, criteri.
In via subordinata al mancato accoglimento dei due motivi di ricorso, il ricorrente chiede sollevarsi questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 777, della legge n. 296/2006 per contrarietà agli artt. 3, 38, 117 primo comma, della Costituzione.
Il primo e il secondo motivo di ricorso vanno esaminati congiuntamente perché logicamente connessi.
4.1. Il ricorrente attacca la sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto la sua domanda affermando, in via assorbente e decisiva, l’ina pplicabilità della clausola di salvaguardia, dettata dall’ultimo comma dell’art. 1, comma 777, legge n.296 del 2006, trattandosi di trattamento pensionistico non ancora liquidato in via definitiva. Ad avviso del ricorrente, la pensione era stata liquidata, con salvezza dei diritti quesiti, già nel 2001 e il provvedimento successivo dell’INPS era stato qualificato come riliquidazione; per questa via, la sentenza della Corte di Appello di Bologna avrebbe travisato i documenti amministrativi e le prove in atti così determinando error in procedendo e nullità della sentenza o comunque una erronea interpretazione della disposizione invocata con il primo motivo, così incorrendo nel vizio di falsa applicazione di legge.
4.2. I due motivi sono infondati. Si consideri che l’articolo 1, comma 777, legge n.296/2006 recita: «777. L’articolo 5, secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1968, n. 488, e successive modificazioni, si interpreta nel senso che, in caso di trasferimento presso l’assicurazione generale obbligatoria italiana dei contributi versati ad enti previdenziali di Paesi esteri in conseguenza di convenzioni ed accordi internazionali di sicurezza sociale, la retribuzione
pensionabile relativa ai periodi di lavoro svolto nei Paesi esteri è determinata moltiplicando l’importo dei contributi trasferiti per cento e dividendo il risultato per l’aliquota contributiva per invalidità, vecchiaia e superstiti in vigore nel periodo cui i contributi si riferiscono. Sono fatti salvi i trattamenti pensionistici più favorevoli già liquidati alla data di entrata in vigore della presente legge». La Corte di Appello di Bologna ha ritenuto che quello del Sotto Corona non fosse un trattamento pensionistico «già liquidato alla data di entrata in vigore della legge in questione» e cioè alla data del 1°/1/2007. Va osservato, in proposito, che come si legge nel ricorso «in data 11/03/2005 il ricorrente inoltrava all’INPS domanda di riliquidazione del trattamento pensionistico». Appare evidente come, già nella prospettazione del ricorrente precedente all’avvio del lungo giudizio, la pensione in godimento non fosse una pensione liquidata in via definitiva dall’INPS , nel 2001. Vi era in atto una controversia circa le modalità di liquidazione del trattamento, controversia poi sfociata in via giudiziale. Alla data di entrata in vigore della legge n.296 cit. , il ricorrente non godeva di un trattamento pensionistico più favorevole già liquidato. Tanto è dimostrato dagli stessi motivi spiegati dal l’assicurato, con il ricorso originario, svolti non già per una pretesa definitività della liquidazione, operata nel 2001 dall’INPS , e relativa intangibilità, sibbene sulla scorta del l’errore in cui sarebbe incorso l’Istituto , nella liquidazione posta a giustificazione della ripetizione dell’indebito , al fine di una riliquidazione del trattamento pensionistico su basi diverse. Per questa via, ad avviso del Collegio, la pronuncia della Corte di Appello non merita censura nella parte in cui afferma che il trattamento pensionistico del ricorrente non rientra tra quelli
che l’art. 1, comma 777, fa salvi ed esclude dal l’ ambito applicativo.
4.3. Il ricorrente deduce, poi, che la sentenza avrebbe travisato documenti in atti che dimostravano la definitività del primo provvedimento di liquidazione. Sotto questo profilo il motivo è inammissibile. I documenti in questione non sono riportati in ricorso e non sono esaustivamente descritti. Assume, ad ogni modo, assorbente rilievo la circostanza che si denuncia un errore che cadrebbe sulla valutazione della prova e non sul contenuto oggettivo della medesima. Si consideri, in proposito, che: il travisamento della prova, per essere censurabile in Cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., per violazione dell’art. 115 c.p.c., postula: a) che l’errore del giudice di merito cada non sulla valutazione della prova ( demonstrandum ), ma sulla ricognizione del contenuto oggettivo della medesima ( demonstratum ), con conseguente, assoluta impossibilità logica di ricavare, dagli elementi acquisiti al giudizio, i contenuti informativi che da essi il giudice di merito ha ritenuto di poter trarre; b) che tale contenuto abbia formato oggetto di discussione nel giudizio; c) che l’errore sia decisivo, in quanto la motivazione sarebbe stata necessariamente diversa se fosse stata correttamente fondata sui contenuti informativi che risultano oggettivamente dal materiale probatorio e che sono inequivocabilmente difformi da quelli erroneamente desunti dal giudice di merito; d) che il giudizio sulla diversità della decisione sia espresso non già in termini di possibilità, ma di assoluta certezza (Cass. 6/4/2023, n. 9507). Nello stesso senso assume rilievo l’ulteriore principio secondo il quale: i n tema di scrutinio del ragionamento probatorio seguito dal giudice di merito, l’errore di valutazione nell’apprezzamento dell’idoneità dimostrativa del
mezzo di prova non è sindacabile in sede di legittimità se non si traduce in un vizio di motivazione costituzionalmente rilevante, mentre deve ritenersi censurabile, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., per violazione dell’art. 115 del medesimo codice, l’errore di percezione che sia caduto sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, qualora investa una circostanza che abbia formato oggetto di discussione tra le parti (Cass. 21/12/2022 n. 37382).
In via subordinata, e per l’ipotesi di mancato accoglimento dei primi due motivi di ricorso, la difesa del ricorrente, formulando un terzo motivo, ha invitato la Corte a sollevare questione di legittimità costituzionale del l’art. 1, comma 777, legge 296 del 2006. In proposito rileva il Collegio che la questione è manifestamente infondata; rimangono in proposito valide le osservazioni in ordine alla legittimità costituzionale della norma già rassegnate dalla ordinanza della Corte, pronunciata tra le medesime parti e all’origine del rinvio, osservazioni che si richiamano, anche ai sensi dell’art. 118, primo comma, disp. att. cod.proc.civ., perchè rese circa la stessa disposizione e circa i medesimi dubbi, alla luce di sentenze della Corte costituzionale che hanno dichiarato inammissibile la questione come già sollevata e che si sono anche confrontate con le sentenze della CEDU pronunciate in argomento escludendo che da esse discenda, in via diretta, l’incostituzionalità della norma.
Il ricorso deve, pertanto, essere respinto.
Alla soccombenza fa seguito la condanna del ricorrente al pagamento delle spese, competenze e onorari, liquidate in ragione del valore di causa, in favore dell’Istituto controricorrente.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente alla rifusione nei confronti dell’INPS delle spese del presente giudizio di legittimità, spese che liquida in euro 4.000,00 (quattromila) per compensi, euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge; a i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, dell’11 aprile