Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 1581 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 1581 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 22/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24713/2021 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
ROMA CAPITALE, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
nonchè contro
AGENZIA DELLE ENTRATE-RISCOSSIONE;
– intimata –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI ROMA n. 1833/2021 depositata il 10/03/2021; udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/07/2024 dal
Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE citava Roma Capitale ed RAGIONE_SOCIALE (Ora: Agenzia delle Entrate -Riscossione , ‘Agenzia delle Entrate’ ) innanzi al Tribunale di Roma per sentire accertare la non debenza delle somme iscritte a ruolo sulla base di presupposte cartelle esattoriali per lo svolgimento di attività di gestione di spazi pubblicitari durante gli anni compresi tra il 2005 e il 2009, per l’importo di € . 593.170,35; nonché per sentire condannare Roma Capitale alla restituzione dell’importo di € . 333.636,16, somma già percepita dell’ente asseritamente creditore.
1.1. Il Tribunale adìto accoglieva la domanda di RAGIONE_SOCIALE condannando Roma Capitale alla restituzione della somma di € . 333.636,16 (oltre interessi e maggior danno); condannava, altresì, entrambe le parti convenute in solido al pagamento delle spese del giudizio in favore di parte attrice, liquidate in complessivi € . 23.000,00 oltre al pagamento delle spese non imponibili e documentate pari a € . 9.919,93 e alle spese forfettarie IVA e CPA come per legge.
La pronuncia veniva impugnata da Roma Capitale innanzi alla Corte d’Appello di Roma; Equitalia – Agenzia delle Entrate Riscossione interponeva appello incidentale, lamentando il difetto di legittimazione passiva e contestando la propria condanna al rimborso delle spese di lite in favore di RAGIONE_SOCIALE
Con sentenza del 10.03.2021 n. 1833, il giudice di seconde cure dichiarava inammissibile l’appello principale di Roma Capitale per
difetto di specificità dei motivi ex art. 342 cod. proc. civ.; in accoglimento dell’appello incidentale elevato dall’Agenzia delle Entrate, e in riforma della sentenza gravata, respingeva la domanda di rimborso delle spese di lite nei confronti di quest’ultima; condannava la RAGIONE_SOCIALE al rimborso delle spese di lite anticipate in entrambi i gradi di giudizio dall’Agenzia delle Entrate comprensive, quanto al primo grado, dei compensi per € . 4.500,00, nonché per il secondo grado di € . 5.500,00 per compensi e € . 1.138,00 per spese.
2.1. RAGIONE_SOCIALE proponeva istanza di correzione di errore materiale, esponendo che in dispositivo il giudice di seconde cure non aveva correttamente applicato il principio della soccombenza, pure enunciato in motivazione, posto che solamente RAGIONE_SOCIALE (vittoriosa in entrambi i gradi di giudizio quanto alla posizione di Roma Capitale) veniva condannata alla rifusione delle spese in favore di Agenzia delle Entrate, e non anche Roma Capitale, soccombente in entrambi i gradi di giudizio, in favore di RAGIONE_SOCIALE
2.2 . Con ordinanza del 19.05.2021 la Corte d’Appello di Roma, in accoglimento dell’istanza di correzione, intregrava il dispositivo condannando «altresì Roma Capitale al rimborso delle spese di lite in favore di RAGIONE_SOCIALE anch’esse, comprensive di compensi per euro 4.500,00, quanto al primo grado, ed euro 5.500,00 quanto al secondo».
La suddetta sentenza è impugnata da RAGIONE_SOCIALE e il ricorso -illustrato da memoria – affidato a cinque motivi.
Resiste con controricorso Roma Capitale.
Resta intimata l’ Agenzia delle Entrate-Riscossione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce erroneità della sentenza ex art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ., per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. – Violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. La ricorrente censura la decisione nella parte in cui ha riformato d’ufficio il capo relativo alle spese di lite poste della sentenza di primo grado a carico di Roma Capitale riducendo i compensi da € . 23.000,00 oltre alle spese documentate pari a € . 9.919,93 e oltre alle spese generali forfettarie e c.p.a. a € . 4.500 totali: ciò, nonostante sia il rigetto dell’appello principale di Roma Capitale, con piena conferma della sentenza gravata in relazione alla sua posizione, sia l’assenza sul punto di uno specifico motivo di gravame di Roma Capitale ovvero dell’Agenzia delle Entrate (i l cui appello incidentale aveva ad oggetto esclusivamente la propria legittimazione passiva rispetto alla controversia), in aperta violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
Con il secondo motivo si deduce erroneità della sentenza, ex art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ., per violazione dell’art. 329, comma 2, cod. proc. civ. Lamenta la ricorrente che l’Agenzia delle Entrate, con il suo appello incidentale, non ha contestato la quantificazione delle spese legali in primo grado, bensì di poter essere chiamata a risponderne in solido con Roma Capitale. Il giudice di secondo grado, statuendo che l’Agenzia delle Entrate non era sottoposta a solidarietà e che, conseguentemente, RAGIONE_SOCIALE dovesse rifonderle le spese di lite anche per il primo grado, non poteva, però, riformare la pronuncia di primo grado che condannava Roma Capitale al pagamento delle spese, modificandone l’ammontare.
I primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente, poiché entrambi censurano la pronuncia impugnata nella parte in cui
ha riformato la sentenza di primo grado con riferimento al quantum delle spese di lite poste a carico di Roma Capitale.
Essi sono fondati per le ragioni di seguito esposte.
3.1. L a Corte d’Appello ha sostanzialmente liquidato ex novo i compensi stabiliti dal giudice di prime cure a carico di Roma Capitale, in violazione degli artt. 112 e 329 cod. proc. civ.
In tema di impugnazioni, infatti, il potere del giudice d’appello di procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, sussiste in caso di riforma in tutto o in parte della sentenza impugnata, atteso che il relativo onere deve essere attribuito e ripartito in relazione all’esito complessivo della lite, laddove, in caso di conferma della decisione impugnata, la decisione sulle spese può essere dal giudice del gravame modificata soltanto se il relativo capo della decisione abbia costituito oggetto di specifico motivo d’impugnazione (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 27606 del 29/10/2019, Rv. 655640 – 01).
Nel caso di specie, la dichiarazione di inammissibilità dell’appello principale interposto da Roma Capitale si sostanzia nella conferma della decisione di prime cure in merito all’insussistenza del credito esattoriale: quindi, sulla base dei principi sopra enunciati, la Corte d’Appello non poteva d’ufficio rivedere le spese liquidate dal giudice di primo grado.
2. Quanto all’errata condanna alle spese di lite di Roma Capitale in favore di RAGIONE_SOCIALE, così come statuita con ordinanza di correzione dell’errore materiale originario (ove era del tutto assente in dispositivo la condanna alle spese), ci si riporta a quanto sopra affermato con riferimento alle spese del primo grado di giudizio che, q uindi, si ribadisce, non possono che essere confermate nell’importo di € . 23.000,00, oltre alla rifusione delle spese documentate (€ .
9.919.23), da porsi interamente a carico di Roma Capitale a favore di RAGIONE_SOCIALE
3.3. In definitiva, il Collegio annulla la statuizione della Corte d’Appello sulla riforma delle spese liquidate in prime cure.
Con il terzo motivo si deduce l’ erroneità della sentenza, ex art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ., per violazione dell’art. 342 cod. proc. civ. Osserva la ricorrente che l’appello di Roma Capitale è stato rigettato in quanto inammissibile per difetto di specificità dei motivi di impugnazione: va da sé, quindi, che mancasse la contestazione del capo di sentenza relativa alle spese, né vi era una generica invocazione di un’ingiustizia della decisione sul punto. Avendo, invece, il giudice di seconde cure riformato il quantum delle spese, la decisione si pone in contrasto anche con l’art. 342 cod. proc. civ.
Con il quarto motivo si deduce erroneità della sentenza, ex art. 360, comma 1, n. 5) cod. proc. civ., per omessa motivazione di punto fondamentale della decisione, violazione dell’art. 111, comma 6, Cost., violazione dell’art. 4, comma 1, D.M. n. 55/2014. Non solo la Corte d’Appello ha riformato la sentenza di primo grado sulla base di un appello integralmente rigettato perché inammissibile e senza nessun capo di impugnazione sul punto delle spese di lite, ma anche nel quantum la riduzione operata prescinde totalmente dai parametri del D.M. 55/2014, invece rispettati dal giudice di primo grado che, pur avendo ridotto gli importi di circa il 20% rispetto ai valori medi, era rimasto comunque entro i limiti dello scaglione di riferimento. Inoltre, la Corte d’Appello ha addirittura dimenticato le spese vive liquidate dal giudice di primo grado obliterandole completamente senza fornire motivazione alcuna.
Avendo il Collegio accolto i primi due motivi, il terzo e il quarto si dichiarano logicamente assorbiti.
Con il quinto motivo si deduce erroneità della sentenza, ex art. 360, comma 1, n. 5) cod. proc. civ., per omessa motivazione di punto fondamentale della decisione, violazione dell’art. 111, comma 6, Cost., violazione dell’art. 4, comma 1, D.M. n. 55/2014. Lamenta la ricorrente che, anche con riferimento alla liquidazione delle spese di lite nel grado di appello, la sentenza gravata è andata ampiamente al di sotto dei parametri previsti dal D.M. n. 55/2014. In appello, infatti, la controversia aveva un va lore di € . 55.498,95; pertanto, rientrava nello scaglione compreso tra € . 52.000,00 e € . 260.000,00: tenuto conto dei valori medi contenuti nel D.M. n. 55/2014 nello scaglione di riferimento, i compensi dovevano ammontare ad un totale di € . 13.635,00, oltre spese vive, spese forfettarie al 15%, IVA e CPA; oppure, applicando la riduzione percentuale massima prevista dall’art. 4, comma 1, del DM 55/2014, la quantificazione minima dei compensi sarebbe dovuta corrispondere a € . 6.043,50. La Corte d’appello ha, invece, quantificato le spese di lite per il grado di appello in € . 5.500,00 senza fornire la benché minima motivazione sul punto.
7.1. Anche per quanto riguarda le spese di lite del secondo grado di giudizio, la doglianza merita accoglimento, per le ragioni con chiarezza esposte in ricorso.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, ai sensi dell’art. 384 c od. proc. civ., la causa può essere decisa nel merito, applicando lo scaglione compreso tra € . 52.000,00 e € . 260.000,00 del D.M. n. 55/2014 (vigente ratione temporis , quindi in vigore fino al 26.04.2018), e tenuto conto dei valori medi ivi contenuti.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione accoglie il primo, il secondo ed il quinto motivo di ricorso, dichiara assorbiti il terzo e il quarto;
cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e, decidendo nel merito, condanna Roma Capitale al pagamento delle spese dei giudizi di merito in favore di RAGIONE_SOCIALE che liquida, per il primo grado, nella somma indicata nella sentenza del Tribunale di Roma n. 15351 del 2017, e, per il secondo grado, in complessivi €. 13.535,00, oltre euro 1.138,00 per spese;
condanna Roma Capitale al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in €. 3.200,00 per compensi, oltre a €. 200,00 per esborsi e agli accessori di legge nella misura del 15%.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda