Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20326 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 20326 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12640/2024 r.g., proposto da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elett. dom.to in INDIRIZZO Roma, rappresentato e difeso dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME.
ricorrente
contro
COGNOME NOME COGNOME elett. dom.to in presso la Cancelleria di questa Corte, rappresentato e difeso dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME
contro
ricorrente
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Milano n. 262/2024 pubblicata in data 14/03/2024, n.r.g. 1344/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 23/04/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.- NOME COGNOME era stato dipendente di RAGIONE_SOCIALE fino al 23/02/2023, quando era stato licenziato per giusta causa costituita dall’assenza ingiustificata nei giorni 4, 5, 9 e 11 gennaio 2023, come da lettera di contestazione disci plinare dell’11/01/2023.
OGGETTO:
licenziamento
per
giusta
causa – somministrazione di
lavoro
–
assenza
ingiustificata
presso
l’utilizzatore – rilevanza –
limiti
Adìva il Tribunale di Milano per impugnare il licenziamento, sostenendone l’illegittimità per insussistenza dell’addebito, avendo la società ingenerato in lui il convincimento di una necessaria accettazione della proroga della missione in atto presso l’uti lizzatrice RAGIONE_SOCIALE, consenso da lui non prestato.
2.- Costituitosi il contraddittorio, il Tribunale accoglieva la domanda, ritenendo che l’assenza, pur pacifica sotto il profilo fattuale, difettasse dell’elemento soggettivo, poiché preceduta dall’invio da parte della datrice di lavoro -della proroga della missione (in atto) al lavoratore per sottoscrizione ‘in caso di accettazione’, inducendo in tal modo il dipendente a considerare necessario il proprio consenso alla proroga e, di conseguenza, legittima la mancata prosecuzione della missione in caso di mancata adesione alla proposta datoriale. Evidenziava il silenzio poi serbato dalla società al rifiuto del lavoratore comunicato in data 23/12/2022.
Il Giudice di primo grado accordava , pertanto, la tutela prevista dall’art. 3, co. 2, d.lgs. n. 23/2015, quindi ordinava la reintegrazione nel posto di lavoro e condannava la società al pagamento dell’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione valida per il calcolo del t.f.r . (euro 2.219,49) dal licenziamento all’effettiva reintegrazione, fino al massimo di dodici mensilità. Rigettava l’eccezione subordinata della società di liquidare l’indennità risarcitoria secondo il parametro dell’indenn ità di disponibilità, atteso che al momento del licenziamento la società aveva ritenuto il lavoratore ancora in missione, non avendolo collocato in disponibilità, condizione che altrimenti avrebbe richiesto il venir meno dell’assegnazione e l’attivazione d i una specifica procedura.
3.Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello rigettava il gravame interposto dalla società.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
la tesi dell’appellante, secondo cui il proprio dipendente a tempo indeterminato sarebbe stato tenuto ad accettare la proroga della missione, non trova riscontro nella disciplina legale e contrattualcollettiva;
quest’ultima si limita a sanzionare disciplinarmente solo la ‘ reiterazione del rifiuto non giustificato ‘ della ‘ proposta lavorativa congrua ‘, senza
invece prevedere alcuna conseguenza disciplinare rispetto al primo diniego opposto dal lavoratore all’invio presso l’utilizzatore;
nessuna disposizione regola specificamente la proroga della missione del dipendente dell’agenzia somministratrice, sicché tale fattispecie è soggetta alla generale disciplina dell’invio in missione, applicabile indipendente dal fatto che riguardi un nuovo utilizzatore oppure lo stesso presso cui si è svolta la missione precedente;
l’art. 34, co. 10, lett. c), CCNL come detto consente la risoluzione del rapporto di lavoro nel solo caso di ‘ reiterazione del rifiuto non giustificato ‘, sicché le parti sociali hanno escluso il disvalore disciplinare di un primo rifiuto, neppure riconducibile alla generale soggezione del dipendente al potere direttivo del datore di lavoro;
infatti le precedenti parti del medesimo art. 34, co. 10, puniscono con sanzione conservativa altre tipologie di condotte (‘ rifiuto non giustificato alla convocazione in filiale ovvero del colloquio di lavoro presso la filiale o l’utilizzatore ‘, oppure ‘ rifiuto non giustificato del percorso formativo anche per irreperibilità ‘);
trattasi di fattispecie distinte e diversa dal primo rifiuto di una proposta congrua e non interpretabili -per la loro portata punitiva -in via estensiva o analogica;
l’irrilevanza disciplinare del fatto contestato porta all’insussistenza dell’addebito sotteso al recesso, visto che per insussistenza del fatto va inteso anche il fatto nella sua giuridicità ossia nel suo disvalore disciplinare, come insegna la Corte di Cassazione (Cass. n. 12174/2019).
4.- Avverso tale sentenza RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
5.- COGNOME NOME ha resistito con controricorso.
6.- La società ricorrente ha depositato memoria.
7.- Il collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta ‘violazione e falsa applicazione’ degli artt. 34 d.lgs. n. 81/2015, 24 e 50 CCNL per le agenzie di somministrazione, 2086, 2094 e
2104 c.c. per avere la Corte territoriale ritenuto che:
il lavoratore assunto a tempo indeterminato sarebbe libero di non accettare la proroga di una missione, invece legittima anche senza il consenso del dipendente;
b) la proroga sarebbe equiparabile ad una offerta congrua ai sensi dell’art. 50 CCNL.
Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta ‘violazione e falsa applicazione’ degli artt. 32, 34, co. 9, e 50 CCNL per avere la Corte territoriale equiparato il rifiuto della proroga della missione ad un primo rifiuto di un’offerta lavorativa congrua.
I due motivi -da esaminare congiuntamente per la loro connessione -sono inammissibili.
La censura sub a) del primo motivo è inammissibile per difetto di pertinenza rispetto alla ratio decidendi , atteso che la Corte territoriale ha evidenziato soltanto l’insussistenza di qualunque previsione che sanzioni il primo rifiuto del lavoratore ad una missione (o alla sua proroga) disposta dal datore di lavoro e, dunque, la sua irrilevanza sul piano disciplinare, secondo una precisa scelta delle parti sociali, che hanno inteso non sanzionare quel primo rifiuto neppure sotto il profilo della ‘ generale soggezione del dipendente al potere direttivo del datore di lavoro ‘ (v. sentenza impugnata, p. 5, ult. cpv.).
La censura sub b) del primo motivo ed il secondo motivo sono parimenti inammissibili per la medesima ragione: a prescindere dall’ammissibilità di un’equiparazione fra missione e offerta congrua, quali atti datoriali oggettivamente di contenuto diverso, nondimeno resta il fatto che il primo rifiuto ad una missione (o alla sua proroga) non è previsto dal CCNL come condotta disciplinarmente sanzionabile, né tantomeno la società ricorrente ha dedotto di aver elaborato un proprio codice disciplinare e di avervi incluso quel primo rifiuto.
3.Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta ‘violazione e falsa applicazione’ dell’art. 3 L. n. 604/1966, o in subordine 3, co. 1, d.lgs. n. 23/2015, nonché 33, co. 2, CCNL e 1362, 1363 e 1366 c.c. per avere la Corte territoriale ritenuto che:
non potesse avere alcuna valenza disciplinare la condotta tenuta dal sig. COGNOME essendo egli ‘in disponibilità’;
b) le parti sociali avessero inteso escludere la rilevanza disciplinare del primo rifiuto del dipendente.
La censura sub a) è inammissibile, poiché fondata su un presupposto -l’avere la Corte territoriale considerato il COGNOME come se fosse ‘in disponibilità’ ossia in una pausa fra una missione e l’altra del tutto estraneo all’iter logico -giuridico in cui è stata articolata la motivazione della sentenza d’appello.
Anche l’art. 33, co. 2, CCNL invocato dalla ricorrente secondo cui ‘ la mancata disponibilità o assenza del lavoratore verso le attività proposte dall’Agenzia, qualora non giustificata, costituisce inadempimento contrattuale ‘ -è irrilevante ai fini del presente giudizio. La questione, infatti, non attiene alla qualificazione della condotta del COGNOME in termini di ‘inadempimento’, quanto in termini di ‘illecito disciplinare’ giustificativo della sanzione espulsiva .
La censura sub b) è inammissibile, perché si risolve in una lettura meramente contrappositiva di varie clausole del CCNL, senza alcuna specifica indicazione del criterio ermeneutico che si assume violato e di come questa asserita violazione sia stata compiuta dalla Corte territoriale. Sotto questo profilo, dunque, il motivo si presenta privo della necessaria specificità. In ogni caso, deve essere condivisa nel merito la opzione ermeneutica alla base della decisione impugnata in quanto coerente con la interpretazione sistematica della disciplina di riferimento, in assenza di specifica regolazione della fattispecie in esame sia a livello legislativo sia a livello di disciplina collettiva Le altre doglianze -relative all’applicabilità della tutela di cui all’art. 3, co. 2, d.lgs. n. 23/2015 piuttosto che di quella prevista dall’art 3, co. 1, d.lgs. cit.; al riconoscimento della misura massima dell’indennità risarcitoria (v. ricorso per cassazione, pp. 22-24) -sono inammissibili sia perché non veicolate con apposito motivo, sia perché non si confrontano con la specifica motivazione al riguardo addotta dai giudici d’appello, che hanno richiamato plurime decisioni di questa Corte di legittimità.
4.Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta ‘violazione e falsa applicazione’ degli artt. 3, co. 2, d.lgs. n. 23/2015, e 1227 c.c. per avere la Corte territoriale omesso di valorizzare il comportamento negligente del COGNOME ai fini dell’ aliunde
percipiendum , eccezione sollevata nel ricorso d’appello alle pp. 17 e 18 e non -come erroneamente affermato dalla Corte territoriale -in sede di discussione.
Il motivo è infondato.
Contrariamente all’assunto della ricorrente, la Corte territoriale non affatto omesso di esaminare l’eccezione, ma al contrario l’ha presa espressamente in esame e l’ha motivatamente rigettata (v. sentenza impugnata, pp. 8 -9: ‘ … non possa avere luogo l’ulteriore decurtazione, invocata dalla parte appellante … dell’aliunde percipiendum. Risulta infatti documentalmente provata la diligenza spiegata da COGNOME nella ricerca, dapprima di una collocazione lavorativa alternativa nel l’ambito della stessa utilizz atrice RAGIONE_SOCIALE (v. doc. 12, ric. 1 gr.) e, successivamente al recesso, di una nuova occupazione … tempestivamente reperita pochi mesi dopo e precisamente in data 06.09.23 … ‘). La censura, dunque, si rivela priva di fondamento.
5.- Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge, con attribuzione ai difensori dichiaratisi antistatari.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione lavoro, in data