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Rifiuto incarico RSPP: licenziamento legittimo

La Corte di Cassazione ha confermato la legittimità del licenziamento di un dipendente che aveva rifiutato l’incarico di RSPP. Il rifiuto, motivato con una generica ‘manifesta incompatibilità con il datore di lavoro’, è stato considerato un grave atto di insubordinazione, tale da ledere irrimediabilmente il rapporto fiduciario. La Corte ha stabilito che una motivazione così vaga e non circostanziata non giustifica il rifiuto di adempiere a una disposizione aziendale, rendendo proporzionata la sanzione espulsiva.

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Pubblicato il 9 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Rifiuto Incarico RSPP: Quando Diventa Giusta Causa di Licenziamento

Il rifiuto incarico RSPP da parte di un dipendente può legittimare il licenziamento per giusta causa? A questa domanda ha dato una risposta chiara e netta la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 34553/2024. La Suprema Corte ha stabilito che opporsi all’assunzione di tale ruolo, adducendo una generica ‘manifesta incompatibilità con il datore di lavoro’, costituisce un atto di insubordinazione così grave da ledere il rapporto di fiducia e giustificare la massima sanzione espulsiva. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante pronuncia.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine dalla decisione di un’azienda di licenziare un proprio dipendente dopo che questi si era rifiutato di assumere l’incarico di Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP). Il lavoratore aveva motivato il suo diniego affermando di trovarsi in una situazione di ‘manifesta incompatibilità con lo stesso datore di lavoro’.

Il percorso giudiziario è stato altalenante:
1. Tribunale di Nola: In primo grado, il giudice aveva dato ragione al lavoratore, dichiarando illegittimo il licenziamento e ordinando la reintegra.
2. Corte d’Appello di Napoli: In secondo grado, la decisione è stata ribaltata. La Corte territoriale ha ritenuto legittimo il recesso, qualificando il rifiuto del dipendente come una grave forma di insubordinazione.

Il lavoratore ha quindi presentato ricorso in Cassazione, contestando la decisione della Corte d’Appello su tre fronti: l’errata qualificazione del suo comportamento come insubordinazione, la mancata obbligatorietà dell’accettazione dell’incarico e l’eccessiva gravità della sanzione.

La Decisione della Corte di Cassazione sul Rifiuto Incarico RSPP

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso del dipendente, confermando la legittimità del licenziamento. Gli Ermellini hanno smontato punto per punto le difese del lavoratore, delineando principi chiari in materia di obblighi contrattuali e insubordinazione.

L’Interpretazione della Contestazione: il Rifiuto come Insubordinazione

Uno dei motivi di ricorso si basava sul fatto che la lettera di contestazione disciplinare non utilizzava esplicitamente il termine ‘insubordinazione’. La Cassazione ha respinto questa argomentazione, chiarendo che il concetto di insubordinazione è ampio e non si limita alla violazione di un ordine esplicito. Esso ricomprende ‘qualsiasi comportamento atto a pregiudicare l’esecuzione ed il corretto svolgimento delle disposizioni aziendali’. Il rifiuto di assumere un incarico rientra pienamente in questa categoria, indipendentemente dal nomen iuris utilizzato nella contestazione.

Natura dell’Incarico di RSPP e Obbligo del Dipendente

Il ricorrente sosteneva che la nomina a RSPP costituisse una delega di funzioni non obbligatoria. Anche su questo punto, la Corte ha dato torto al lavoratore. Ha precisato che la questione non era la natura formale dell’atto di nomina, ma il rifiuto di adempiere a una disposizione aziendale. La designazione a RSPP è un’assegnazione di compiti e mansioni rientranti nel potere direttivo del datore di lavoro, a cui il dipendente è tenuto a conformarsi, salvo la presenza di giustificati e comprovati motivi di impedimento.

Le Motivazioni della Sentenza

Il cuore della decisione risiede nella valutazione della gravità del comportamento del dipendente. La Corte di Cassazione ha ritenuto che il rifiuto fosse grave non tanto per la natura dell’incarico in sé, quanto per la motivazione addotta. La giustificazione di ‘manifesta incompatibilità’ è stata giudicata ‘assolutamente generica ed immotivata’.

Questo tipo di motivazione, secondo i giudici, impedisce al datore di lavoro qualsiasi controllo sulla legittimità delle ragioni del rifiuto e dimostra un’opposizione preconcetta e non collaborativa. Un simile atteggiamento mina alla base il rapporto fiduciario, che è l’elemento essenziale di ogni contratto di lavoro subordinato. Il rifiuto di adempiere alla propria prestazione, infatti, può essere giustificato solo in caso di un inadempimento grave e totale della controparte (ex art. 1460 c.c.), situazione che richiede una ‘chiara e precisa esplicitazione dell’intera situazione’, del tutto assente nel caso di specie.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche

La sentenza stabilisce un principio fondamentale per i rapporti di lavoro: un dipendente non può sottrarsi a una legittima disposizione aziendale, come l’assunzione di un incarico, adducendo motivazioni generiche e non verificabili. Le implicazioni sono duplici:

* Per i lavoratori: Qualsiasi rifiuto di svolgere una mansione o assumere un incarico deve essere supportato da ragioni oggettive, specifiche e dimostrabili (ad esempio, mancanza dei requisiti tecnici, violazione di norme di sicurezza, conflitto di interessi). Una generica ‘incompatibilità’ non è una valida giustificazione.
* Per i datori di lavoro: Viene rafforzato il potere direttivo e organizzativo. Un rifiuto immotivato a ricoprire un ruolo chiave come quello dell’RSPP può essere considerato una violazione talmente grave degli obblighi di diligenza e obbedienza da giustificare il licenziamento per giusta causa, poiché incide direttamente sulla fiducia necessaria per la prosecuzione del rapporto.

È legittimo licenziare un dipendente che rifiuta l’incarico di RSPP?
Sì, secondo questa ordinanza è legittimo se il rifiuto è immotivato o basato su ragioni generiche. Un tale comportamento viene qualificato come un grave atto di insubordinazione che lede il rapporto di fiducia con il datore di lavoro.

La motivazione ‘manifesta incompatibilità con il datore di lavoro’ è sufficiente a giustificare un rifiuto?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che questa motivazione è ‘assolutamente generica ed immotivata’ e non consente al datore di lavoro di verificare la legittimità del rifiuto. Pertanto, non è una giustificazione valida.

Un atto di insubordinazione deve essere esplicitamente menzionato nella lettera di contestazione per essere valido?
No. La Corte ha chiarito che non è necessario usare il termine specifico ‘insubordinazione’. È sufficiente che dalla descrizione dei fatti contestati emerga chiaramente un comportamento che pregiudica il corretto svolgimento delle disposizioni aziendali, come il rifiuto di assumere un incarico.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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