Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 32250 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 32250 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: TRICOMI IRENE
Data pubblicazione: 13/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9203/2024 R.G. proposto da :
AZIENDA RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa da ll’avvocato NOME COGNOME presso cui domicilia PEC: EMAIL
-ricorrente-
contro
NOMECOGNOME appresentata e dife sa dall’avvocato NOME COGNOME presso cui domicilia PEC: EMAIL
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO NAPOLI n. 818/2024 depositata il 20/02/2024, RG n. 2654/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d’Appello di Napoli, con la sentenza n. 818 del 2024 ha accolto l’appello proposto da NOME COGNOME nei confronti dell’Azienda sanitaria locale di Caserta, avverso la sentenza emessa tra le parti dal Tribunale di Santa Maria C.V., e in riforma della stessa ha condannato l’ASL Caserta al pagamento in favore della lavoratrice della somma di euro 3,425,7 oltre interessi al saggio legale ed eventuale maggior danno, ex art. 16 della legge 412 del 1991 dalla maturazione al saldo.
La lavoratrice aveva convenuto in giudizio l’Azienda chiedendo la restituzione delle somme trattenute per gli anni 2011, 2012, 2013 e 2014, in busta paga a titolo di variabile aziendale pari al 30% della somma stabilita dalla delibera n. 1239/2010 in virtù dell’incarico alla medesima attribuito, in ragione della modifica del trattamento economico variabile aziendale per riduzione dei fondi contrattuali disposto con provvedimento del 5 novembre 2012 n. 30098.
Per la cassazione della sentenza di appello ricorre l’ASL Caserta prospettando un motivo di ricorso.
Resiste la lavoratrice con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso è prospettata: Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti o accordi collettivi nazionali di lavoro, ai sensi dell’art. 360, n.3, cpc, nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione d ell’art. 9, comma 2 -bis, del d.l. n. 78 del 2010, conv. nella legge n. 122 del 2010, in relazione all’art. 9 del CCNL 8 giugno 2000, e agli artt. 1362 e 2363, cod. civ.
La ricorrente deduce che la Corte d’Appello non ha tenuto conto delle necessità di risanamento del Servizio sanitario nazionale della Regione Campania e delle norme del contratto collettivo che regolano la retribuzione di posizione. Con il provvedimento di nomina del Commissario ad acta venivano stabilite misure di razionalizzazione e di contenimento della spesa per il personale. Ricorda la giurisprudenza amministrativa che è intervenuta sulle funzioni e sui poteri del Commissario ad acta , nonché la giurisprudenza costituzionale che ha affermato che le funzioni amministrative del Commissario ad acta , incaricato dell’attuazione del piano di rientro per il disavanzo sanitario, previamente concordato tra lo Stato e la Regione interessata, devono essere poste al riparo da ogni interferenza degli organi regionali. Pertanto, la singola A.S.L. non poteva sottrarsi ai poteri del Commissario ad acta, ed era obbligata a seguire quanto da questi disposto in virtù dei poteri conferitigli. La ricorrente ricorda, quindi, il decreto n. 63 del 2010, con il quale il Commissario ad acta approvava le Linee regionali di indirizzo per la determinazione dei fondi contrattuali per le aziende sanitarie della Campania, al fine di pervenire a procedure omogenee tra le medesime. In particolare, per il fondo che finanzia la retribuzione di posizione unificata e variabile aziendale, l’indennità di specifica medica, indennità di direzione di struttura complessa e l’eventuale specifico trattamento, si devono considerare le singole voci su base annuale, comprensiva di tredicesima mensilità del singolo dirigente cessato.
Il motivo è fondato e va accolto per quanto di ragione.
Analoghe questioni sono già state esaminate da questa Corte con le sentenze n. 32560 del 2023, 32594, 32557 del 2023. In particolare, in analoga fattispecie, Cass., n. 32560 del 2023, la cui motivazione si richiama ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c. , accogliendo il ricorso dell’ASL Caserta, per quanto di ragione, ha affermato che:
«Il ricorso pone, nella sostanza, le seguenti questioni:
oggetto e legittimità della cristallizzazione e della riduzione dell’ammontare complessivo delle risorse destinate al trattamento accessorio previste dall’ art. 9, comma 2 -bis , del d.l. n. 78 del 2010, con. mod. dalla legge n. 122 del 2010;
modalità attuativa della prevista riduzione delle risorse in misura proporzionale alla riduzione del personale in servizio;
ricaduta della cristallizzazione/riduzione delle risorse sui trattamenti economici accessori individuali.
4 . Occorre premettere che l’art 45, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001, prevede che il trattamento economico fondamentale e accessorio dei lavoratori alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni è definito dai contratti collettivi, i quali (comma 3) stabiliscono, in coerenza con le disposizioni legislative vigenti, trattamenti economici accessori collegati: a) alla performance individuale; b) alla performance organizzativa con riferimento all’amministrazione nel suo complesso e alle unità organizzativ e o aree di responsabilità in cui si articola l’amministrazione; c) all’effettivo svolgimento di attività particolarmente disagiate ovvero pericolose o dannose per la salute.
5 . Per l’erogazione della retribuzione accessoria – in cui si inscrivono la retribuzione di posizione e la retribuzione di risultato dei dirigenti medici – al fine di premiare il merito e la performance dei dipendenti, compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica, sono destinate apposite risorse nell’ambito di quelle previste per il rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro (si v., Corte cost. n. 190 del 2022).
Vengono in rilievo: il ‘Fondo per l’indennità di specificità medica, retribuzione di posizione, equiparazione, specifico trattamento e indennità di direzione di struttura complessa’ (art. 9 CCNL economico Area dirigenza medica veterinaria 2008/2009, richiamato nella sentenza di appello);
il Fondo ‘Fondi per il trattamento accessorio legato alle condizioni di lavoro’ (art. 10, CCNL cit.);
il ‘Fondo per la retribuzione di risultato e per la qualità della prestazione individuale’ (art. 11, CCNL cit.).
6 . L’art. 40, comma 3 -bis , secondo periodo, come modificato dal d.lgs. n. 75 del 2017, ha rafforzato il rapporto tra performance e buon andamento dell’Amministrazione, già introdotto, nei sensi sopra richiamati, dalla riforma dettata dal d.lgs. n. 150 del 2009, prevedendo che ‘La contrattazione collettiva integrativa assicura adeguati livelli di efficienza e produttività dei servizi pubblici, incentivando l’impegno e la qualità della performance, destinandovi, per l’ottimale perseguimento degli obiettivi organizzativi ed individuali, una quota prevalente delle risorse finalizzate ai trattamenti economici accessori comunque denominati ai sensi dell’articolo 45, comma 3. La predetta quota è collegata alle risorse variabili determinate per l’anno di riferime nto’.
7. L’art. 51 del CCNL 5 dicembre 1996 Area dirigenza medica e veterinaria, richiamato dai ricorrenti, dispone che le aziende od enti, in relazione alle articolazioni aziendali individuate dal d.lgs. n. 502 del 1992, dalle leggi regionali di organizzazione e dagli eventuali atti di indirizzo e coordinamento del Ministero della Sanità, determinano la graduazione delle funzioni dirigenziali cui è correlato il trattamento economico di posizione.
La retribuzione di posizione è, quindi, una componente del trattamento economico accessorio dei dirigenti di I e II livello dell’Area medico – veterinaria che, in relazione alla graduazione delle funzioni prevista dal comma 3 del medesimo art. 51, è collegata all’incarico agli stessi conferito dall’Azienda.
Essa è composta di una parte fissa e di una parte variabile, la cui somma complessiva corrisponde al valore economico degli incarichi attribuiti in base alla graduazione delle funzioni.
La corresponsione della parte variabile della retribuzione di posizione richiede la ‘pesatura’ delle singole attività dirigenziali, da cui deriva la determinazione della quota di pertinenza del singolo medico, che, altrimenti, deve essere
corrisposta, nella sola quota minima ed ‘invariabile’ prevista dalla contrattazione collettiva (cfr., ex aliis , Cass., n. 10613 del 2023 e giurisprudenza ivi richiamata).
La retribuzione di risultato, in quanto connessa al raggiungimento di obiettivi, ha una giustificazione autonoma rispetto alla retribuzione di posizione.
In relazione al rapporto tra le risorse destinate alla retribuzione di posizione e alla retribuzione di risultato, si può ricordare come questa Corte (Cass., n. 9040 del 2023, cui adde, ex aliis , Cass. 29855 del 2023) ha affermato (in fattispecie relativa alle conseguenze risarcitorie della mancata graduazione delle funzioni, che la mancata attivazione e completamento del procedimento finalizzato all’adozione del provvedimento di graduazione delle funzioni e di pesatura degli incarichi, legittima il dirigente medico interessato a chiedere, non l’adempimento di tale obbligazione, ma solo il risarcimento del danno per perdita della chance di percepire la parte variabile della retribuzione di posizione – Cass., n. 29716 del 2023) che se la retribuzione di posizione per qualche ragione non sia in tutto o in parte erogata e se da ciò derivi la disponibilità di importi sul corrispondente fondo, essi vengono imputati alla retribuzione di risultato del medesimo anno, che può subire in tal modo un incremento. In tal modo, lo stesso identico evento che è ragione di inadempimento (omessa graduazione e corresponsione dell’indennità di posizione parte variabile) è ragione del beneficio consistente nell’incremento della retribuzione di risultato.
Tanto premesso, si osserva che poiché la misura economica della retribuzione trova (necessario) fondamento nella contrattazione collettiva, si stabilizza in capo al dipendente il diritto alla percezione della stessa come prevista da quest’ultima, atteso che l’Amministrazione datrice di lavoro, nei limiti delle risorse disponibili stabilite dal legislatore che operano anche per la contrattazione, non ha alcun potere di disposizione sull’applicazione del contratto
collettivo del Comparto di appartenenza (si v., Cass., n. 6090 del 2021).
Consegue a ciò che, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità con orientamento consolidato, per il principio di pari trattamento, di cui al medesimo art. 45 del d.lgs., sono vietati da parte del datore di lavoro trattamenti individuali migliorativi o peggiorativi rispetto a quelli previsti dalla contrattazione collettiva (cfr., ex multis , Cass., n. 18523 del 2022, n. 12106 del 2022, n. 11008 del 2022), anche se ciò non esclude differenziazioni operate in quella sede, in quanto la disparità trova titolo non in scelte datoriali unilaterali lesive della dignità del lavoratore, ma in pattuizioni dell’autonomia negoziale delle parti collettive.
11 . Nella fattispecie in esame trova applicazione l’art. 9, comma 2 -bis , del d.l. n. 78 del 2010, in ragione del quale, dando attuazione alle linee di indirizzo regionale, la A.S.L Caserta disponeva la riduzione nella misura del 30% della remunerazione variabile aziendale del trattamento economico per la dirigenza medica e veterinaria, fino alla revisione della graduazione delle funzioni, operando la relativa trattenuta sulla busta paga dei dirigenti medici. 12. In aderenza alla linea programmatica enunciata nella rubrica ‘Contenimento delle spese in materia di impiego pubblico’, l’art. 9 preclude ogni incremento dei trattamenti economici complessivi dei singoli dipendenti per gli anni 2011, 2012, 2013 (comma 1); cristallizza l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale all’importo dell’anno 2010 (comma 2 -bis ), salvo riduzione in ragione della riduzione del personale in servizio (si v., Cass., n. 6930 del 2021).
Tali norme costituiscono disposizioni statali di contenimento e razionalizzazione della spesa pubblica che si applicano a tutte le Amministrazioni inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione e integrano disposizione inderogabili di finanza pubblica che prevalgono sulla diversa disciplina dettata dai contratti collettivi (si v., Cass., n. 5138 del 2022).
13. Il Giudice delle Leggi ha più volte affermato che nell’ambito dell’impiego pubblico privatizzato l’autonomia collettiva può venire compressa o, addirittura, annullata nei suoi esiti concreti e ciò non solo quando introduca un trattamento deteriore rispetto a quanto previsto dalla legge, ma anche quando sussista l’esigenza di salvaguardia di superiori interessi generali (sentenze n. 219 del 2014, n. 40 del 2007, n. 393 del 2000, n. 143 del 1998, n. 124 del 1991, n. 34 del 1985, sentenza n. 178 del 2015, sentenza n. 169 del 2017, come illustrato da Cass., n. 5138 del 2022).
Si è comunque precisato (sentenza n. 65 del 2016) che il meccanismo legislativo dei tagli lineari non impone di effettuare riduzioni di identica dimensione in tutti i settori, ma di intervenire in ciascuno di questi, limitandosi ad individuare un importo complessivo di risparmio e lasciando alle Regioni il potere di decidere l’entità dell’intervento in ogni singolo ambito.
14. Le disposizioni statali di contenimento della spesa relativa al personale delle Amministrazioni pubbliche hanno superato il vaglio di costituzionalità (cfr. Corte Cost. n. 200 del 2018 e la giurisprudenza richiamata in motivazione) e soltanto il regime di sospensione della contrattazione collettiva, di cui al comma 17 dell’art. 9 d.l. n. 78 del 2010 è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo ma, unicamente, a partire dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza n. 178 del 2015. Con que st’ultima decisione la Corte ha osservato, quanto al d.l. n. 78 del 2010, che lo stesso ‘risponde all’esigenza di governare una voce rilevante della spesa pubblica, che aveva registrato una crescita incontrollata, sopravanzando l’incremento delle retribuzioni del settore privato’ ed ha conseguentemente escluso l’ipotizzata violazione degli artt. 36, primo comma, e 39, primo comma, Cost. «in quanto il sacrificio del diritto alla retribuzione commisurata al lavoro svolto e del diritto di accedere alla contrattazione collettiva non è, nel quadro ora delineato, né irragionevole né sproporzionato» (Cass., n. 5138 del 2022, cit.).
15. Dunque, il comma 2bis dell’art. 9 del medesimo decreto -legge prevede: ‘A decorrere dal 1º gennaio 2011 e sino al 31 dicembre 2014 l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, di ciascuna delle amministrazioni di cui all’art.1, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001, non può superare il corrispondente importo dell’anno 2010 ed è, comunque, automaticamente ridotto in misura proporzionale alla riduzione del personale in serviz io (…)’.
Il trattamento accessorio è tradizionalmente collegato alla posizione di lavoro e alla produttività.
16. Il dato testuale contenuto nell’art. 9, comma 2bis , attesta in modo chiaro e non equivocabile che il limite delle risorse disponibili deve essere dunque ‘cristallizzato’ nell’importo corrispondente a quello dell’anno 2010.
Il legislatore ha poi stabilito una misura volta altresì a ridurre ulteriormente le risorse, già cristallizzate al 2010, attraverso la riduzione del numero dei dirigenti in servizio che determina la automatica riduzione in misura proporzionale delle risorse.
Questo significa che, ove vi siano nel corso di ciascun anno cessazioni dal servizio, le risorse in origine destinate alla remunerazione dei dirigenti cessati dal servizio, gravanti sui Fondi contrattuali dell’Area negoziale della dirigenza medica e veteri naria, devono essere decurtate in relazione alle stesse (si v., Cass. 6930 del 2021, paragrafi 55-61).
Diversamente, come già affermato dalla sentenza da ultimo richiamata e dal Procuratore Generale, si avrebbe l’aumento della consistenza delle risorse, atteso il minor numero di lavoratori, rispetto all’anno 2010, così venendo disattesa la lettera della nor ma e la sua finalità di risparmio della spesa pubblica.
17 . Per dare attuazione alla previsione ‘ridotto in misura proporzionale’ e quindi al criterio indicato dal legislatore, l’ammontare annuo complessivo delle risorse per il trattamento accessorio, come cristallizzato e mano a mano riproporzionato, va
quindi suddiviso per il numero dei lavoratori in servizio in ragione della graduazione esistente.
Contrasta con la lettera della norma una riduzione operata attraverso un taglio percentuale come quello effettuato dalla A.S.L. in misura del 30%.
18. È indubbio che, se non si sia proceduto ad applicare la ‘cristallizzazione’ al 2010, con riduzione proporzionale alle cessazioni dal servizio, la suddivisione del Fondo può avere portato, negli anni dal 2011 in avanti, al pagamento di somme eccedenti quanto dovuto.
Tuttavia, non è legittimo che si sia provveduto ad un taglio del 30 % della quota variabile per ciascun medico, anche perché, come stabilito da questa Corte (Cass. n. 6930 del 2012 cit., punto 64), ‘il trattamento economico complessivamente goduto … non po teva certo aumentare ma nemmeno essere riformato in peius ‘.
In mancanza di una tempestiva applicazione della regola di cui all’art. 9, comma 2 -bis cit, l’operazione rideterminativa ex post deve invece seguire le dinamiche normative e contrattuali e quindi procedere attraverso:
-il ricalcolo dei Fondi secondo il disposto dell’art. 9, comma 2bis , depurando gli stessi dalle quote riguardanti il personale cessato;
-il calcolo di quanto spettante a ciascun medico;
-la detrazione dal percepito di quanto così calcolato come spettante a ciascun medico;
-la conseguente individuazione degli importi che ciascun medico avrebbe dovuto restituire.
Tale ricalcolo non attiene in sé alla determinazione economica dei Fondi, ma al diritto soggettivo di ciascun medico a che non si determini una riduzione rispetto a quanto spettante nel 2010 e dunque si tratta di pretesa che non esorbita dalla competenza del giudice ordinario.
Viene in rilievo, infatti, la lesione di diritti soggettivi rispetto ai quali la legittimità del comportamento datoriale è censurata in via del tutto incidentale; come già affermato da questa Corte a Sezioni Unite (in fattispecie relativa al pagamento delle differenze arretrate in relazione alla quote residue di fondi contrattuali), il diritto soggettivo dei ricorrenti, nella prospettazione degli stessi e sulla base delle richieste avanzate, non necessita per assumere consistenza della rimozione provvedimenti di macro-organizzazione (Cass., S.U., n. 33365 del 2022).
Potrà semmai essere valutato se un tale calcolo possa avvenire più semplicemente prendendo a base gli importi della componente variabile di interesse corrisposta annualmente dal 2011 in avanti e detraendo quanto attribuito annualmente per essa nel 2010; la differenza tra il primo importo ed il secondo essendo in effetti quanto la ASL aveva in ipotesi diritto a recuperare sulla base di una corretta applicazione della normativa.
È dunque su tali basi che si deve procedere alla valutazione dell’esistenza o meno di un dare -avere tra le parti.
Non può poi dirsi che -come ritenuto dal giudice di prime cure -a giustificare il taglio del 30 % possa addursi un generico intento di rivedere le graduazioni.
La revisione delle graduazioni in sé riguarda solo le proporzioni, attraverso punteggi ponderati, in cui i Fondi vanno divisi tra gli aventi diritto (v. art. 51 CCNL 26.11.1996) e dunque non ha a che vedere con l’ammontare di tali Fondi.
L’attuazione di una revisione postula di regola l’avvio di un procedimento identico a quello di originaria graduazione (art. 51, cit. comma 3), se del caso con fissazione di una data ex tunc da cui far decorrere tale rideterminazione.
Ma se anche si volesse ammettere che il datore di lavoro possa dare corso a misure provvisorie in attesa dell’ iter proprio delle nuove graduazioni, ciò dovrebbe evidentemente avvenire richiamando le
ragioni di un tale necessità di revisione dell’assetto ponderale e dando contestualmente avvio al procedimento di revisione.
Presupposti tutti che nulla hanno a che vedere con la rideterminazione dei Fondi che sta alla base del taglio a forfait del 30 % per tutti i dipendenti interessati, quale attuato dalla RAGIONE_SOCIALE
20 . La Corte d’Appello in sede di rinvio dovrà quindi accertare con compiutezza, se necessario, a quanto ammonti, ai sensi dell’art. 9, comma 2bis , del d.l. n. 78 del 2010, la riduzione del fondo per il trattamento accessorio variabile, nelle voci per cui è causa e comunque dovrà quantificare quanto dovuto per tali voci ai lavoratori negli anni successivi al 2010 e quanto da essi percepito nei medesimi anni, sulla base dei parametri di graduazione vigenti, determinando su tale base il dare-avere tra le parti per il periodo oggetto di contenzioso».
Pertanto, la sentenza di appello deve essere cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione, che nella decisione della controversia si atterrà ai principi sopra indicati, eseguendo le necessarie verifiche contabili. Il giudice di appello provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione. Cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del giudizio di legittimità alla Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione.
Così deciso in Roma nella adunanza camerale dell’8 novembre 2024.