Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 22767 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 22767 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 24481-2021 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 186/2021 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 22/07/2021 R.G.N. 276/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
R.G.N. 24481/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 22/05/2025
CC
RILEVATO che
1.Con sentenza in data 10 giugno 2021, la Corte d’appello di Ancona ha accolto l’appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti di NOME COGNOME avverso la decisione del Tribunale di Pesaro che aveva condannato la società a corrispondere al lavoratore la somma di euro 20.383,32, oltre accessori, all’esito della compensazione operata tra il credito di euro 111.582,64 riconosciuto in favore dell’appellato a titolo di differenze retributive – maturate in forza del contratto di lavoro subordinato intercorso con la società per lo svolgimento di mansioni di impiegato direttivo e decurtate da una quota superminimo stipendiale – ed il credito di euro 91.199,32 accertato, in parziale accoglimento della spiegata riconvenzionale, a titolo di restituzione delle somme illecitamente sottratte dal lavoratore alle casse societarie.
In particolare, la Corte, andando di contrario avviso, sul punto, rispetto a quanto ritenuto in primo grado, ha reputato il complesso degli elementi acquisiti in giudizio sufficiente a ritenere tacitamente accettata la riduzione del superminimo prospettata al ricorrente da parte datoriale con raccomandata del 26 febbraio 2009.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso assistito da memoria NOME COGNOME affidandolo a due motivi.
3.1. Resiste, con controricorso, la RAGIONE_SOCIALE
CONSIDERATO che
1.Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione degli artt. 1326, 1362 e 1364 cod. civ., allegandosi l’erroneo convincimento della Corte d’appello nell’aver tratto dalla tolleranza da parte del lavoratore della riduzione stipendiale elementi da cui dedurre che fra le parti fosse stato raggiunto un accordo diretto alla decurtazione del superminimo tramite accettazione tacita o per fatti concludenti della comunicazione di cui alla raccomandata a mano inviata il 26 febbraio 2009.
2.Con il secondo motivo si denunzia la violazione degli artt. 1326, 2697 e 2727 cod. civ. affermandosi che la Corte avrebbe errato nel ritenere che la volontà del lavoratore nello stipulare un patto derogativo in senso peggiorativo della retribuzione fosse desumibile oltre che dalla condotta lavorativa anche dalla sottoscrizione della raccomandata e dal contegno processuale del lavoratore medesimo.
I due motivi, da esaminarsi congiuntamente per ragioni logico -sistematiche, non possono trovare accoglimento.
3.1. Giova premettere, in termini generali, che la discrezionalità del datore di lavoro, insuscettibile di limitazione, relativamente alla corresponsione del cosiddetto “superminimo” ed alla determinazione del suo ammontare, trova, una volta che l’eccedenza del trattamento economico, rispetto a quello minimo collettivo, sia entrata a far parte della retribuzione dovuta al lavoratore, un ostacolo insormontabile nella immodificabilità unilaterale dell’obbligazione retributiva, sancita dall’art. 2103 cod. civ., alla cui stregua il criterio dello assorbimento di detta eccedenza in successivi
miglioramenti economici si rende inoperante allorché essa integri un determinato elemento retributivo già erogato in misura generalizzata ed uniforme, non per ragioni di merito, ma per ragioni di opportunità aziendale, mentre il nuovo emolumento, produttivo di tali miglioramenti, abbia soltanto carattere incentivante ed eventuale.
3.2. Un orientamento consolidato, (precedente le modifiche all’art. 2103 c.c. e le interpretazioni più recenti della Cassazione in tema di “irriducibilità” della retribuzione), ha sempre riconosciuto la disponibilità del superminimo individuale da parte delle parti, proprio in virtù della sua natura di elemento non direttamente derivante da norme inderogabili di legge o CCNL, ma frutto di un accordo individuale.
Una delle pronunce più citate a supporto della tesi della disponibilità del superminimo individuale è la risalente Cassazione n. 5655 del 1985. Sebbene sia una pronuncia datata, ha a lungo costituito un punto di riferimento per l’orientamento secondo cui il superminimo, in quanto emolumento aggiuntivo e non legato a disposizioni inderogabili, sarebbe nella piena disponibilità delle parti, che potrebbero quindi accordarsi per la sua eliminazione o riduzione.
Questa pronuncia è stata oggetto di successive reinterpretazioni e, in alcuni casi, di un parziale superamento o, quantomeno, di un rafforzamento delle cautele necessarie.
Le sentenze più recenti della Cassazione, anche dopo le modifiche all’art. 2103 c.c. (come riformulato dal D.Lgs. 81/2015), tendono a dare maggiore peso al principio di
irriducibilità della retribuzione, anche per quanto riguarda il superminimo individuale, sebbene con delle specificità (fra le altre, Cass. n. 22041 del 2023).
4. Con riguardo alla dedotta violazione dell’art. 2697 cod. civ., va rilevato che, per consolidata giurisprudenza di legittimità, ( ex plurimis, Sez. III, n. 15107/2013) la doglianza relativa alla violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne risulta gravata secondo le regole dettate da quella norma e che tale ipotesi non ricorre nel caso di specie.
5. Quanto alla lamentata lesione degli artt. 1362 e 1363 cod. civ., giova evidenziare che l’interpretazione del regolamento contrattuale è attività riservata al giudice di merito, pertanto sottratta al sindacato di legittimità salvo che per il caso della violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale, la quale, tuttavia, non può dirsi esistente sul semplice rilievo che il giudice di merito abbia scelto una piuttosto che un’altra tra le molteplici interpretazioni del testo negoziale, sicchè, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (sul punto, ex plurimis, Cass. n. 11254 del 10/05/2018).
Il giudice di secondo grado muovendo proprio da quella risalente decisione n. 5655 del 1985 dianzi richiamata, nel ritenere del tutto valida l’adesione del lavoratore alla proposta di riduzione, ha affermato che tale
emolumento, poiché si aggiunge alla retribuzione prevista dalla contrattazione collettiva, esula dalle componenti del c.d. ‘minimo inderogabile’ ed è nella piena disponibilità delle parti.
5.1. Tale impostazione va corretta in ossequio alla più recente giurisprudenza di legittimità (fra le più recenti, Cass. n. 22041 del 2023) che ha ribadito che il principio dell’irriducibilità della retribuzione, dettato dall’art. 2103 c.c., implica che la retribuzione concordata al momento dell’assunzione non è riducibile neppure a seguito di accordo tra il datore e il prestatore di lavoro e che ogni patto contrario è nullo in ogni caso in cui il compenso pattuito anche in sede di contratto individuale venga ridotto; tuttavia, in caso di legittimo esercizio, da parte del datore di lavoro, dello ius variandi, la garanzia della irriducibilità della retribuzione si estende alla sola retribuzione compensativa delle qualità professionali intrinseche essenziali delle mansioni precedenti, ma non a quelle componenti della retribuzione che siano erogate per compensare particolari modalità della prestazione lavorativa (così Cass. civ., sez. lav., 1.8.2017, n. 19092; e, tra le altre, in termini esatti o analoghi id., 9.8.2021, n. 22522; id., 18.3.2009, n. 6563; id., 19.2.2008, n. 4055; e, nella motivazione, id., 17.7.2019, n. 19258).
Secondo questa Corte, infatti, il livello retributivo acquisito dal lavoratore subordinato, per il quale opera la garanzia della irriducibilità della retribuzione, prevista dall’art. 2103 c.c., deve essere determinato con il computo della totalità dei compensi corrispettivi delle qualità professionali intrinseche alle mansioni del lavoratore, attinenti, cioè, alla professionalità tipica della
qualifica rivestita, mentre non sono compresi i compensi erogati in ragione di particolari modalità della prestazione lavorativa o collegati a specifici disagi o difficoltà, i quali non spettano ove vengano meno le situazioni cui erano collegati (in tal senso Cass. civ., sez. lav., 6.12.2017, n. 29247).
La richiamata giurisprudenza si occupa, ex professo, dell’ipotesi di esercizio dello ius variandi e, nondimeno, come rilevato da questa Corte con riguardo alla disciplina di cui all’art. 2103 c.c., come modificato dall’art. 3 del d.lgs. n. 81 del 2015 -secondo la quale accordi individuali di modifica delle mansioni, del livello di inquadramento o della retribuzione possono essere stipulati, a pena di nullità, alle condizioni da esso previste e nelle sedi di cui all’art. 2113 c.c. – la relativa interpretazione normativa deve ritenersi applicabile a tutte le ipotesi di accordo per la riduzione della retribuzione, anche se non ricorre un mutamento di mansioni o di livello di inquadramento (Cass. n. 26320 del 2024).
6. Nella specie, come si evince agevolmente dalle censure mosse dal ricorrente all’impugnata sentenza, non si è posta alcuna questione sulla natura del superminimo considerato e, quindi, sull’attinenza alla professionalità tipica della qualifica rivestita, – non essendo compresi i compensi erogati in ragione di particolari modalità della prestazione lavorativa o collegati a specifici disagi o difficoltà – né sulla necessità di un eventuale accordo per intervenire sullo stesso nelle sedi protette di cui all’art. 2113 c.c., allo scopo di
garantire la genuinità della volontà del lavoratore e prevenire future impugnazioni.
Le censure concernono esclusivamente la richiesta di uno scrutinio da parte di questa Corte circa l’ammissibilità del mero silenzio al fine di statuire consensualmente sul superminimo, nonché sul rilievo della mera tolleranza da parte del lavoratore e del contegno processuale dallo stesso tenuto quanto al formarsi di un consenso alla riduzione.
Orbene, escluso che la rinuncia tacita possa reputarsi rilevante ed efficace in presenza di un rapporto di lavoro, in quanto lo squilibrio contrattuale esistente tra le parti non consente di attribuire conseguenze giuridicamente rilevanti a comportamenti di semplice inerzia del lavoratore, deve ritenersi che la Corte abbia effettuato sul contegno delle parti – rilevante ai sensi degli artt. 2727 e segg. c.c. -un accertamento in fatto incensurabile in sede di legittimità.
6.1.Va rilevato, infatti, come la Corte abbia valorizzato non solo la sottoscrizione della raccomandata a mano del 26 febbraio 2009 senza alcuna riserva e senza alcuna specificazione che la stessa valesse solo quale segno dell’avvenuta ricezione, quanto, p iuttosto, il complessivo comportamento concludente tenuto dal lavoratore negli anni dal 2009 al 2016, caratterizzato dall’incondizionata accettazione della riduzione medesima.
Al riguardo, la Corte ha ritenuto che gli elementi complessivamente emergenti, il presupposto delle difficoltà finanziarie della società, unitamente al prevedibile intento del lavoratore di rinunciare ad una
quota del superminimo onde evitare le più gravi conseguenze derivanti da un possibile licenziamento, unitamente all’accettazione, in fatto, della riduzione, deponessero per la condivisione, per facta concludentia, della riduzione effettuata.
Deve, quindi, concludersi che la Corte ha compiuto una ricostruzione della volontà abdicativa, anche attraverso elementi indiziari ex art. 2729 c. c., in termini certi e idonei a consentire di attestare, in modo univoco, la volontà del lavoratore di rinunziare ad un diritto già entrato nel suo patrimonio (Cass. 3647 del 2019) e tale valutazione deve ritenersi sottratta al sindacato di legittimità.
Nel caso di specie, appare evidente che le censure, veicolate per il tramite dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., in realtà corrono lungo i binari della censura fattuale in quanto mirano ad una diversa ricostruzione della fattispecie oltre che ad una inammissibile diversa valutazione delle risultanze istruttorie di primo grado.
Parte ricorrente, infatti, pur denunciando, apparentemente, una violazione di legge, chiede in realtà alla Corte di pronunciarsi sulla valutazione di fatto compiuta dal giudice in ordine alle conclusioni raggiunte con riguardo alla sussistenza della ritenuta violazione del vincolo fiduciario, mentre le argomentazioni da essa sostenute si limitano a criticare sotto vari profili la valutazione compiuta dalla Corte d’Appello, con doglianze intrise di circostanze fattuali mediante un pervasivo rinvio ad aspetti di mero fatto, tentandosi di portare di nuovo all’attenzione del giudice di legittimità
una valutazione di merito, inerente il contenuto dell’accertamento compiuto circa gli accadimenti posti a base del ritenuto perfezionarsi dell’intesa.
Le valutazioni condotte, non implausibili, devono ritenersi sottratte al sindacato di legittimità.
Alla luce delle suesposte argomentazioni, deve concludersi che parte ricorrente, nel formulare le proprie censure mediante ricorso per cassazione, non si è conformata a quanto statuito dal Supremo Collegio in ordine alla apparente deduzione di vizi ex artt. 360 co. 1 nn.3 e 5 e, cioè, che è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (cfr., SU n. 34476 del 2021).
Il ricorso, deve, quindi, essere dichiarato inammissibile.
9.1. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato ai sensi del comma 1quater dell’art.13 d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna la parte ricorrente alla rifusione, in favore della parte controricorrente, delle spese di lite, che liquida in
complessivi euro 3.500,00 per compensi e 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, d a’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Cosi deciso nell’Adunanza camerale del 22 maggio 2025.
La Presidente NOME COGNOME