Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 25722 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 25722 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 20/09/2025
I lavoratori indicati in epigrafe avevano prestato servizio dal 2008 al 2014 come operatori sanitari (infermieri, fisioterapisti ed operatori socio sanitari), in favore dell’Amministrazione penitenziaria del Ministero della Giustizia presso la Casa circondariale di Rebibbia in Roma sulla scorta di convenzioni stipulate ai sensi dell’art. 53 della legge n. 740/1970 . Avevano dedotto che in forza del DPCM del 1.4.2008, a decorrere dal 1.10.2008, i loro rapporti di lavoro erano ‘passati nella compete nza del RAGIONE_SOCIALE ed avevano chiesto, in via principale, l’accertamento del loro diritto alla rideterminazione biennale del compenso orario ed il risarcimento del danno per la mancata rideterminazione; in subordine avevano domandato la liquidazione di un equo indennizzo per indebito arricchimento.
Il Tribunale di Roma ha rigettato tali domande ed ha condannato i ricorrenti al pagamento delle spese di lite.
La Corte di Appello di Roma ha accolto l’appello dei lavoratori limitatamente al capo sulle spese di lite; per il resto ha confermato la sentenza di primo grado affermando che, a partire dal momento del trasferimento delle funzioni sanitarie della medicina penitenziaria al Servizio Sanitario Nazionale, il meccanismo di determinazione biennale del compenso orario di cui al comma 4 è divenuto del tutto inattuabile, non essendo più ipotizzabile l’emanazione di un D.M. da parte del Ministero della Giustizia, ormai spogliato di detta funzione.
In particolare, la Corte territoriale ha ritenuto che nel caso di specie, alla luce del tenore dell’art. 53 della legge n. 740/1970 , non potesse ravvisarsi un diritto degli appellanti ad un incremento biennale del compenso, bensì una situazione di mera aspettativa.
Ha evidenziato che la disposizione non prevede che il compenso debba necessariamente essere aumentato ogni due anni, ma solo che deve essere rideterminato, sicché può rimanere immutato come frequentemente avviene per ragioni di contenimento della spesa.
Conseguentemente, ha sostenuto il Collegio, stante la sopravvenuta inapplicabilità del meccanismo di cui al comma 4, il compenso orario spettante è quello già erogato dall’ASL sulla base dell’ultimo decreto adottato.
Per le medesime ragioni il giudice di appello ha ritenuto destituita di fondamento la domanda proposta ai sensi dell’art. 2041 cod. civ.
4 . A fronte dell’incertezza giurisprudenziale sulle questioni esaminate, ha compensato le spese di lite.
Avverso tale sentenza i lavoratori hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.
La ASL Roma 2 ha resistito con controricorso, illustrato da memoria.
DIRITTO
1.Con il primo motivo il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 53, comma 4 legge n. 740/1970, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto insussistente il diritto dei lavoratori alla determinazione del compenso ogni biennio, avendo il giudice di appello ravvisato una mera aspettativa.
Evidenzia che ai sensi dell’art. 53, comma 4 legge n. 740/1970, va corrisposto un compenso orario da fissare entro il mese di gennaio di ogni biennio e che nel caso di specie tale compenso non è stato determinato; precisa che tale disposizione prevede la determinazione, e non l’adeguamento dei compensi.
Aggiunge che le leggi citate dalla sentenza impugnata differiscono dall’art. 53 della legge n. 740/1970 sia per il dato letterale che per la loro ratio .
Sostiene che la ratio della norma è quella di consentire a tali lavoratori di fruire di una rideterminazione biennale dei loro compensi orari e che lo scopo del legislatore era quello di corrispondere alla categoria dei lavoratori in questione un compenso giusto ed attualizzato all’aumentare del costo della vita.
Con il secondo motivo il ricorso denuncia violazione dell’art. 2041 cod. civ. in relazione all’ art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto infondata la domanda proposta in via subordinata.
Evidenzia il particolare rilievo dell’ utilitas in relazione alla quale era stato chiesto l’indennizzo, la rilevanza degli interessi in gioco e l’esigenza di tutelare la salute dei cittadini, che impone di riconoscere il giusto valore all’attività degli operatori sanitari.
Aggiunge che il mancato adeguamento dei compensi per oltre 16 anni, nonostante l’aumento del costo della vita , comprova la necessità e la fondatezza della domanda proposta ai sensi dell’art. 2041 cod. civ. ; precisa che i ricorrenti avevano un contratto con l’Amministrazione penitenziaria e non con la ASL, che prevedeva espressamente la rivalutazione biennale delle loro prestazioni in forza di un D.P.C.M.
Assumono che i loro rapporti di lavoro avevano continuato ad essere disciplinati dalla legge n. 740/1970.
3. Il primo motivo è infondato.
Questa Corte ha infatti chiarito che i rapporti del personale sanitario a regime convenzionale scaduti dopo l’entrata in vigore del DPCM 1.4.2008, o comunque affidati o rinnovati dopo tale data non possono più essere disciplinati dalla legge n. 740/1970, essendo esclusa una iperestensione degli ambiti stabiliti dalla stessa legge.
Si è, pertanto, evidenziata l’inapplicabilità del meccanismo previsto dal terzo comma dell’art. 53 della legge citata e l’insussistenza di un diritto soggettivo all’adeguamento del compenso degli infermieri (ma il ragionamento è analogo per i fisioterapisti ed operatori socio sanitari) in convenzione ex art. 53 della legge n. 740/1970 (v. Cass. n. 10316/2025 e la giurisprudenza ivi richiamata).
Si è infatti ritenuto che la peculiarità di una prestazione d’opera sottoposta a vincoli di controllo del committente solo in ragione della complessa realtà del carcere, e non in ragione del potere direttivo tipico della subordinazione, non consenta una trasposizione della disciplina già prevista nella diversa realtà,
giuridica e professionale, determinata dal trasferimento ai sensi del D.P.C.M. del 1.4.2008 (v. Cass. n. 20159/2024).
Si è dunque chiarito che la previsione relativa all’adeguamento del compenso non era più invocabile in mancanza di una negoziazione collettiva che l’avesse recepita trasponendola anche nella diversa realtà giuridica.
La sentenza impugnata, che ha escluso il diritto soggettivo degli originari ricorrenti ad un incremento biennale del compenso, è dunque conforme a tali principi, che vanno qui ribaditi.
Questa Corte ha altresì escluso la possibilità di invocare l’art. 2041 cod. civ., non vertendosi in ambito di totale assenza del titolo causale, ma discutendosi di una fattispecie regolamentata da apposite norme legali ancorché non idonee a soddisfare le istanze dei ricorrenti (Cass. n. 20159/2024 cit.).
Deve inoltre rammentarsi che l’azione di ingiustificato arricchimento ha carattere sussidiario ed è quindi inammissibile, ai sensi dell’art. 2042 cod. civ., qualora il danneggiato, secondo una valutazione da compiersi in astratto e dunque prescindendo dalla previsione del suo esito, possa esercitare un’altra azione per farsi indennizzare il pregiudizio subito (v. Cass. S.U. n. 280452/2008; Cass. n. 25461/2010; Cass. n. 19988/2018).
Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità vanno compensate, in ragione della complessità della questione giuridica, sulla quale questa Corte ha pronunciato solo successivamente alla notifica del ricorso (Cass. n. 10316/2025).
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, dell’obbligo, per parte ricorrente, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione; dà atto della sussistenza dell’obbligo per i ricorrenti, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n.115 del 2002, di versare l’ulteriore importo a titolo
di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, il 10 settembre 2025.
La Presidente NOME COGNOME