Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 33693 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 33693 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5280/2023 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME e COGNOME presso l’indirizzo di posta elettronica certificata dei quali è domiciliata per legge;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE nella persona del legale rappresentante pro tempore in atti indicato, rappresentato e difeso dall’avvocato NOMECOGNOME presso l’indirizzo di posta elettronica certificata della quale è domiciliata per legge;
-controricorrente-
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE NOME, RAGIONE_SOCIALE BANCA DELL’ADRIATICO SPA, BANCA CARICHRAGIONE_SOCIALE BANCA BPLSRAGIONE_SOCIALE BANCA POPOLARE DI ANCONA, BANCA RAGIONE_SOCIALE
-intimati-
avverso la SENTENZA del TRIBUNALE di VASTO n. 333/2022, depositata il 15/12/2022; udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/11/2024 dal
Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ha proposto ricorso a questa Corte avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Vasto, avente ad oggetto opposizione agli atti esecutivi (art 617 cpc) mobiliare.
Soltanto dalla lettura combinata del ricorso, della sentenza impugnata e del controricorso si evince che la COGNOME si era costituita parte civile nell’ambito del procedimento penale pendente davanti al Tribunale di Vasto nei confronti di NOME COGNOMEquale legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME (socio della predetta società), chiedendo il sequestro conservativo di tutti i beni (mobili ed immobili) degli imputati sino alla concorrenza della somma di euro 100.000,00.
Il Tribunale penale di Vasto, con decreto del 23 marzo 2012, aveva accolto la richiesta, disponendo il sequestro conservativo di tutti i beni mobili ed immobili, somme o cose dovute a carico degli imputati COGNOME e COGNOME nei limiti in cui la legge ne consentiva il pignoramento, sino alla concorrenza della somma di euro 100.000,00 a garanzia dei crediti della parte civile.
Con atto del 23.04.2012, la COGNOME, al fine di soddisfare il proprio credito derivante dal sequestro conservativo disposto dal Tribunale penale di Vasto, aveva sottoposto a pignoramento i crediti che il COGNOME (suo debitore) vantava nei confronti di alcuni terzi, tra i quali – per quanto qui interessa – la società RAGIONE_SOCIALE (dando inizio al procedimento esecutivo n.r.g.e. 242/2012).
All’udienza ex art. 547 c.p.c. del 18.05.2012, la società RAGIONE_SOCIALE non era comparsa a rendere la prescritta dichiarazione del terzo, mentre il debitore COGNOME si era costituito in giudizio, eccependo
l’inammissibilità, l’illegittimità e/o l’improcedibilità dell’azione promossa dalla Candeloro.
Il giudice dell’esecuzione, con ordinanza del 26.7.2012, aveva assegnato un termine perentorio per l’introduzione della causa di accertamento dell’obbligo del terzo.
Il giudizio di cognizione per accertamento dell’obbligo del terzo, nel quale i convenuti COGNOME ed il COGNOME rimasero contumaci, si era concluso con la sentenza n. 238/2015 del Tribunale di Vasto, che, in accoglimento della domanda, aveva accertato e dichiarato che il COGNOME era creditore nei confronti della citata società, ma senza indicare un qualsiasi ammontare del credito.
Ad esito di tale giudizio, la COGNOME, con ricorso del 12.5.2016, aveva riassunto la procedura esecutiva insistendo per la prosecuzione della stessa, mentre il COGNOME aveva formulato opposizione all’esecuzione per essere rimasto incerto nel quantum l’asserito credito da lui vantato verso la società RAGIONE_SOCIALE
Il giudice dell’esecuzione, con ordinanza del 15.02.2017, aveva assegnato in pagamento alla creditrice Candeloro la somma di euro 103.506,79 da parte di RAGIONE_SOCIALE, comprensiva di quella dovuta come risultante dall’atto di sequestro e delle spese e competenze del procedimento come liquidate in favore del creditore pignorante, oltre interessi sulla sola sorte capitale e spese di registrazione.
Avverso la suddetta ordinanza di assegnazione la società, terza pignorata, proponeva ricorso in opposizione agli atti esecutivi, chiedendo dichiararsi la nullità o l’inefficacia dell’ordinanza di assegnazione per indeterminatezza del credito.
A tali conclusioni si opponeva la COGNOME la quale insisteva per il rigetto dell’opposizione.
Il giudice dell’esecuzione con ordinanza del 22.02.2018, ritenuta la sussistenza del periculum in mora , sospendeva la procedura
esecutiva ed assegnava il termine perentorio di 45 giorni per l’introduzione del giudizio di merito.
La società terza pignorata, nell’introdurre il giudizio di merito, reiterava le argomentazioni allegate nella fase sommaria, insistendo nella dedotta incertezza dell’ammontare del credito vantato dal COGNOME nei suoi confronti (non quantificato né nella sentenza di accertamento né negli atti di parte ad essa precedenti, né evincibile dal bilancio societario prodotto dalla creditrice nel giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo), aggiungendo che al tempo dell’esecuzione del sequestro (24.4.2012) il NOME non era più titolare di alcuna partecipazione sociale, per aver venduto la sua quota in data 12.10.2009.
Si costituivano in giudizio con distinte comparse: la COGNOME, che contestava le avverse pretese, in quanto tardive e comunque infondate; Poste Italiane S.p.A., che dichiarava la sua estraneità al procedimento e invocava la vittoria di spese e competenze legali; il COGNOME che si associava alle censure sollevate dalla società terza pignorata e chiedeva accertarsi di non essere creditore della società RAGIONE_SOCIALE per l’importo di euro 100.000,00 e che comunque la sua partecipazione sociale non era corrispondente a detto valore.
Istruita la causa, il Tribunale di Vasto, con sentenza n. 333/2022, emessa ai sensi dell’art. 281 sexies :
in accoglimento dell’opposizione proposta da RAGIONE_SOCIALE, quale terzo pignorato, annullava l’ordinanza di assegnazione, emessa dal giudice dell’esecuzione in data 15.2.2017, nella parte in cui disponeva che la terza pignorata RAGIONE_SOCIALE doveva rimettere in pagamento la somma di € 103.506,79 in favore della creditrice COGNOME;
dichiarava inammissibile la domanda di accertamento negativo avanzata dal COGNOME;
condannava la COGNOME a rimborsare a RAGIONE_SOCIALE le spese di lite, mentre compensava integralmente le spese di lite tra le altre parti del giudizio.
Avverso la suddetta sentenza, pronunciata dal giudice di primo grado su di una opposizione ex art. 617 c.p.c., ha proposto ricorso la Candeloro.
Ha resistito con controricorso la società RAGIONE_SOCIALE che ha chiesto la condanna della controparte alla rifusione delle spese, con attribuzione al difensore antistatario.
Nessuna difesa è stata svolta dalle altre parti intimate (NOME COGNOME, Poste Italiane spa, Banca dell’Adriatico spa; Banca Carichieti, Banca BPLS, Banca Popolare di Ancona, Banca Serfina, Unicredit Banca spa).
Per l’odierna adunanza il Procuratore Generale non ha rassegnato conclusioni scritte.
Il Difensore della società resistente ha depositato memoria insistendo nella richiesta di inammissibilità o di rigetto del ricorso.
La Corte si è riservata il deposito della motivazione entro il termine di sessanta giorni dalla decisione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Nella impugnata sentenza il Tribunale di Vasto – dopo aver ritenuto (pp. 5-8) tempestiva l’opposizione sia nella fase preliminare, davanti al giudice dell’esecuzione, che nella fase di merito, pendente davanti a sé, in quanto <> -:
da un lato, ha accolto l’opposizione (p.8 ss.), rilevando che: a) il procedimento esecutivo era stato azionato in data 4 maggio 2012 (e, quindi, prima della riforma compiuta con la legge n. 228/2012, entrata in vigore il 1° gennaio 2013), con conseguente applicabilità dell’art. 548 nella formulazione previgente, b) il giudice della cognizione con
sentenza n. 238/2015, passata in giudicato, aveva accertato che il COGNOME era creditore della RAGIONE_SOCIALE da data anteriore all’esecuzione del sequestro conservativo del 23.4.2012, ma non aveva specificato il quantum del credito vantato dal COGNOME verso la RAGIONE_SOCIALE e neppure l’effettiva entità della sua partecipazione sociale; c) la quantificazione del credito o dei beni di appartenenza del debitore non risultava effettuata dalla creditrice pignorante né nell’atto introduttivo del giudizio di accertamento e neppure nell’atto di sequestro, per cui alla mancata dichiarazione della terza pignorata non poteva riconoscersi valore di non contestazione; d) a tutto voler concedere, essendo risultato dall’espletata istruttoria che il valore della quota sociale del COGNOME (secondo il bilancio riferito all’anno 2008) era pari ad euro 19 mila, soltanto quest’ultima somma avrebbe potuto essere oggetto di assegnazione alla creditrice procedente (e non la maggior somma di euro 103.506,79);
dall’altro, ha dichiarato inammissibile (p. 10) la domanda di accertamento negativo avanzata dal COGNOME: sia perché domanda nuova; sia perché nonproposta nel giudizio per l’accertamento dell’obbligo del terzo, nel quale il COGNOME era rimasto contumace.
La COGNOME, creditrice procedente, articola sei motivi.
2.1.Con il primo motivo la ricorrente denuncia: <> nella parte in cui il giudice dell’opposizione ha dichiarato tempestivamente introdotto il giudizio di merito, anche se l’iscrizione a ruolo era avvenuta oltre il 45° giorno stabilito nel provvedimento del 22.02.2018 (e cioè il 10 aprile 2018, anziché il 9 aprile 2018).
2.2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia: <>.
2.3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia: <> nella parte in cui il giudice
dell’opposizione: da un lato, ha dichiarato inammissibile la identica domanda del COGNOME , qualificata come ‘accertamento negativo del credito’, ritenendola tardiva, e comunque da formulare nell’apposito giudizio di accertamento nell’obbligo del terzo, nel quale il COGNOME era rimasto contumace; e dall’altro, analoga statuizione non ha emesso anche per il terzo pignorato, di talché la sentenza sarebbe obiettivamente incomprensibile e dunque perplessa e nulla.
2.4. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia: <> nella parte in cui il giudice dell’opposizione ha omesso di considerare che la società RAGIONE_SOCIALE in qualità di terzo pignorato, nel procedimento RG 242/2012 definito con la citata ordinanza di assegnazione, non aveva reso la dovuta dichiarazione, pur avendo ricevuto l’atto di sequestro conservativo di crediti notificato il 24.4.2012, ove già era contenuta l’esatta indicazione delle somme che si richiedevano (‘ sino alla concorrenza dell’importo di euro 100.000,00’).
2.5. Con il quinto motivo la ricorrente denuncia: <> nella parte in cui il giudice dell’opposizione non ha rilevato che la RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto rendere la dichiarazione di legge nel procedimento NRG 242/2012 (cui aveva preferito invece non comparire) anziché, non renderla e poi opporre inammissibilmente la ordinanza di assegnazione, instando per la nullità della stessa.
2.6. Con il sesto motivo la ricorrente denuncia: <> nella parte in cui il giudice dell’opposizione – dopo aver rigettato la domanda proposta dal COGNOME dichiarandola inammissibile perché tardiva e comunque afferente il giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo non ha fatto seguire a tale statuizione la conseguente condanna alle
spese del soccombente COGNOME nel rapporto con essa creditrice procedente.
Dei motivi sopra indicati è superflua l’illustrazione, poiché il ricorso è inammissibile.
Com’è noto, infatti, l’art. 366 cod. proc. civ., nel dettare le condizioni formali del ricorso, ossia i requisiti di “forma-contenuto” dell’atto introduttivo del giudizio di legittimità, configura un vero e proprio “modello legale” del ricorso per cassazione, la cui mancata osservanza è sanzionata con l’inammissibilità del ricorso stesso.
In particolare, il requisito della esposizione sommaria dei fatti ed il requisito della specifica indicazione degli atti richiamati, prescritti a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366, primo comma n. 3 e n. 6, cod. proc. civ., essendo considerati dalla norma come specifici requisiti di contenuto-forma del ricorso, devono consistere in una esposizione che deve garantire alla Corte di cassazione, di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia, del fatto processuale e del contenuto degli atti richiamati, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso (come nel caso di specie è sopra avvenuto), compresa la stessa sentenza impugnata (Sez. un. n. 11653 del 2006).
La prescrizione di detti requisiti risponde ad una esigenza (non di mero formalismo, ma) di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e/o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (Sez. Un. n. 2602 del 2003).
Stante tale funzione, per soddisfare i requisiti imposti dall’articolo 366 comma primo n. 3 e n. 6 cod. proc. civ., è necessario che il ricorso per cassazione contenga, oltre alla specifica indicazione del contenuto e della localizzazione degli atti richiamati, l’indicazione, sia pure in modo non analitico o particolareggiato, ma sommario, delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che
le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni.
Tale indirizzo deve ritenersi a più forte ragione applicabile con riguardo alla nuova formulazione dell’art. 366, comma 1, n. 3 c.p.c. (non applicabile ratione temporis al ricorso odierno, ma evidente espressione del consolidamento del preesistente principio generale), che ha previsto in maniera ancor più stringente il requisito di ammissibilità del ricorso per cassazione costituito dalla <>.
Nella specie, il ricorso, nell’esposizione del fatto e nell’indicazione degli atti richiamati, non rispetta tali contenuti (e nemmeno la lettura della parte successiva, illustrativa delle doglianze, rimedia alla carenza), in quanto parte ricorrente ha omesso di riportare:
sia il dato letterale dell’atto di sequestro conservativo di crediti necessario a consentire l’individuazione dell’oggetto del pignoramento;
sia il contenuto dell’atto introduttivo del giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo (di cui riporta soltanto le conclusioni);
sia il contenuto e le conclusioni del ricorso per riassunzione del processo esecutivo;
sia il contenuto e le conclusioni rassegnate dalle altre parti a seguito del suo ricorso in riassunzione e della fissazione da parte del giudice dell’esecuzione dell’udienza per la prosecuzione del processo esecutivo;
sia il contenuto dell’opposizione agli atti esecutivi, che era stata proposta dal COGNOME avverso la medesima ordinanza di assegnazione (del quale riporta soltanto le conclusioni nell’illustrare il quarto motivo) e che era stata dichiarata inammissibile dal Tribunale di Vasto con sentenza n. 193/2018);
sia se a detto giudizio di opposizione avevano partecipato soltanto il COGNOME e la COGNOME ovvero anche i terzi pignorati (tra i quali per l’appunto la società RAGIONE_SOCIALE).
Pertanto, per ciò stesso, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Il motivo primo ed il motivo secondo sono inammissibili anche ai sensi dell’art. 360 comma primo n. 1 c.p.c.
4.1. Invero, quanto al primo motivo – premesso che nel caso di specie il giudice dell’esecuzione, con provvedimento del 22.2.2018, ha assegnato termine di quarantacinque giorni per l’introduzione del giudizio di merito ‘previa iscrizione della causa a ruolo’; e che l’atto di citazione è stato portato alla notifica il 6.4.2018, iscritto a ruolo il 10.4.2018 e ricevuto dalla ricorrente nel domicilio eletto il 11.4.2018 questa Corte ormai da anni (Cass. n. 17306/2015; n. 27533/2014) ha affermato che: <>. E, più di recente (Cass. n. 21512/2021), è stato precisato che: <>
A tale principio di diritto – al quale il Collegio, rimanendo convincenti (e non rese oggetto di puntuale critica in questa sede) le ragioni sviluppate a suo sostegno, intende dare continuità – si è attenuta la sentenza impugnata, che pertanto è immune dal vizio denunciato.
4.2. Quanto poi al secondo motivo di ricorso, secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr. tra le tante, Cass. n. 5489/2019, n. 5529/2011) con il rimedio dell’opposizione all’ordinanza di assegnazione possono denunciarsi vizi non soltanto di carattere formale, ma anche sostanziale (tra cui la sua intrinseca illegittimità per carenza dei presupposti, tra cui una dichiarazione qualificabile come valida e positiva, vera o ficta ).
Tanto è avvenuto per l’appunto nel caso di specie, nel quale il giudice dell’esecuzione, essendo mancato l’accertamento del quantum dell’obbligo del terzo, aveva erroneamente assegnato in pagamento la somma di euro 103.506,79; ed il terzo pignorato RAGIONE_SOCIALE – che aveva chiesto dichiararsi la nullità/inefficacia dell’ordinanza di assegnazione sul presupposto che il credito era rimasto indeterminato nel quantum anche all’esito del giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo aveva la facoltà di proporre opposizione agli atti esecutivi per far valere detto vizio del provvedimento di assegnazione (Cass. n° 16234/2022; cfr. anche, tra le successive, Cass. nn. 23123/2022 e nn. 11864 e 13223/2024).
D’altronde, tenuto conto delle doglianze della ricorrente, giova qui qui ribadire (Cass. n. 11566/2013) che, nel caso in cui il creditore pignorante (munito di titolo esecutivo rappresentato dall’ordinanza di assegnazione) agisce in via esecutiva in danno del terzo pignorato, quest’ultimo può valersi dell’opposizione all’esecuzione per opporre al creditore assegnatario fatti estintivi della sua pretesa sopravvenuti alla
pronuncia del titolo esecutivo, nonché per contestare la pretesa azionata con il precetto (quale, ad esempio, l’eccesso degli importi azionati).
4.3. In definitiva, all’inammissibilità del ricorso nel suo complesso (e dei suoi primi due motivi anche per le ulteriori ragioni esposte) conseguono la condanna alle spese e la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il pagamento dell’importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo, se dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315).
P. Q. M.
La Corte:
dichiara inammissibile il ricorso;
condanna la ricorrente alla rifusione, in favore della società resistente, delle spese del presente giudizio, spese che liquida in euro 5.000 per compensi, oltre, alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200 ed agli accessori di legge; e che distrae in favore del difensore dichiaratosi antistatario;
-ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera dei ricorrenti al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 18 novembre 2024, nella camera di