Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 25020 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 25020 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18393/2022 R.G. proposto da: COGNOME NOME, rappresentato e difeso in proprio (CODICE_FISCALE) ed elettivamente domiciliato in ROMA al INDIRIZZO, presso il proprio studio, con domicilio digitale come in atti
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, DI TARANTO LIVIA, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME
– intimati –
avverso la SENTENZA della CORTE d ‘ APPELLO di ROMA n. 3505/2022 depositata il 23/05/2022;
udita la relazione svolta, nella camera di consiglio del 19/06/2024 dal Consigliere relatore NOME COGNOME;
Rilevato che:
NOME COGNOME, avvocato e difeso in proprio, impugna, con plurime censure, la sentenza della Corte d ‘ appello di Roma n. 3505 del 23/05/2022, nei confronti di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME;
alcuna delle controparti ha svolto attività difensiva;
il ricorso è stato avviato alla trattazione con proposta di definizione accelerata;
NOME COGNOME ha chiesto la decisione in forma ordinaria a seguito di fissazione di adunanza camerale o udienza;
fissata per la decisione l ‘ adunanza del 19/06/2024, il Procuratore Generale non ha presentato conclusioni scritte;
il ricorrente ha depositato memoria;
Considerato che:
la causa verte in materia di opposizione a un precetto promosso su sentenza;
in primo grado il Tribunale di Roma ha affermato, con ordinanza del 17/01/2017, a scioglimento di riserva, l ‘ inammissibilità dell ‘ opposizione all ‘ esecuzione proposta dal COGNOME per mancato rispetto del termine previsto dall ‘ art. 616 cod. proc. civ., fissato dallo stesso Tribunale, per l ‘ instaurazione del giudizio di merito a seguito della fase cautelare proposta dal COGNOME;
in appello l ‘ inammissibilità è stata pronunciata dalla Corte d ‘ appello di Roma, con sentenza n. 3505 del 23/05/2022, per mancanza nell ‘ atto di impugnazione dei requisiti previsti dall ‘ art. 342 cod. proc. civ., pur nell ‘ interpretazione ampia che ne è stata fornita dalla giurisprudenza nomofilattica;
la proposta di definizione accelerata è del seguente testuale tenore: « Il ricorso presenta evidenti profili di inammissibilità.
Anzitutto, tutti i motivi di doglianza, all ‘ infuori del primo (rubricato al n. 3) sono completamente estranei alle ragioni della decisione del giudice d ‘ appello, che ha pronunciato l ‘ inammissibilità del gravame per difetto di specificità dei motivi, ritenendo per nulla attinta la ratio decidendi della sentenza di primo grado (imperniata, a sua volta, sull ‘ accertato mancato rispetto del termine di cui all ‘ art. 616 c.p.c. nell ‘ introduzione del giudizio di merito da parte dell ‘ opponente).
Il primo motivo, infine, si fonda sull ‘ assunto di una pretesa specificità dei motivi dell ‘ appello, idonei a censurare detta ratio, ma nel ricorso non è riportato con la necessaria analiticità, neanche per riassunto, il contenuto del gravame, così non consentendosi a questa Corte di valutare la decisività del mezzo dalla sola lettura del ricorso: ne consegue l ‘ inammissibilità della censura, ex art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis»;
a fronte di ciò il Collegio è stato investito della decisione con un atto, composto di quarantanove pagine, contenenti ventitré motivi, che, neppure potendo valere -per granitica giurisprudenza di legittimità -a colmare le lacune del ricorso originario, non contiene alcun chiarimento o idoneo ragionamento volto a infirmare quanto già affermato nella proposta di definizione accelerata: e ciò senza omettere di rimarcare che il ricorso è un mero elenco di norme e di asserite violazioni di esse, senza alcuna critica argomentata e financo di adeguata esposizione dei fatti di rilievo sostanziale e processuale, nei limiti in cui essa è richiesta nel giudizio di legittimità, con radicale difetto specificità e conseguente radicale e insanabile violazione dell ‘ art. 366, comma 1, nn. 3, 4 e 6;
il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile;
tutte le parti nei cui confronti il ricorso è stato proposto sono rimaste intimate cosicché, pur essendovi sostanziale coincidenza tra le ragioni poste a fondamento della proposta di definizione accelerata e le ragioni di inammissibilità del ricorso a seguito di trattazione in forma camerale, non può esservi luogo a condanna ai sensi dell ‘ art. 96, comma 3, cod. proc. civ., per responsabilità processuale aggravata, alla quale può farsi luogo nei casi in cui vi siano delle controparti costituite, in cui favore liquidare il danno;
nondimeno il Collegio, aderendo a orientamento che va consolidandosi e che in questa occasione si intende ribadire, ritiene che debba farsi luogo, in considerazione dell ‘ inammissibilità del ricorso, alla condanna ai sensi dell ‘ art. 96, comma 4, cod. proc. civ., liquidando la somma nella misura massima consentita dalla detta norma, pari a euro cinquemila, in considerazione (così testualmente Cass. n. 27947 del 04/10/2023 Rv. 669107 -01, pure richiamata da Cass. n. 13149 del 13/05/2024 Rv. 670921 -01 e in precedenza Sez. U n. 27195 del 22/09/2023 Rv. 668850 0:) « dell ‘ autonoma valenza precettiva del richiamo a tale ultima disposizione, contenuto nel citato art. 380-bis, comma 3, c.p.c., che si giustifica in funzione della ratio di disincentivare la richiesta di definizione ordinaria a fronte di una proposta di definizione accelerata (esigenza che sussiste anche nel caso di mancata costituzione dell ‘ intimato) » e in quanto l ‘ art. 96, comma 4, codice di rito è stato dalla giurisprudenza nomofilattica (Sez. U n. 10955 del 23/04/2024 Rv. 670894 – 01) ritenuto applicabile anche ai giudizi di cassazione pendenti, come quello in esame, alla data del 28/02/2023, poiché l ‘ art. 35, comma 6, del d.lgs. n. 149 del 10/10/2022 fa riferimento ai giudizi introdotti con ricorso già notificato alla data dell ‘ 1/01/2023 per i quali non sia stata ancora fissata udienza o adunanza in camera di consiglio e una diversa interpretazione, volta ad applicare la normativa in esame ai giudizi
iniziati in data successiva al 28/02/2023, depotenzierebbe lo scopo di agevolare la definizione delle pendenze in sede di legittimità, anche tramite l ‘ individuazione di strumenti dissuasivi di condotte rivelatesi prive di giustificazione;
ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1 quater, del d. P.R. n. 115 del 2002, stante l ‘ inammissibilità dell ‘ impugnazione, deve, infine, darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente e in favore del competente Ufficio di merito, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (in forza del comma 1 bis dello stesso art. 13), se dovuto;
il deposito della motivazione dell ‘ ordinanza è fissato nel termine di cui al secondo comma dell ‘ art. 380 bis 1 cod. proc. civ.;
p. q. m.
la Corte dichiara inammissibile il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento, in favore della Cassa delle Ammende della somma di euro 5.000,00;
ai sensi dell ‘ art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall ‘ art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente e in favore del competente Ufficio di merito, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Corte di