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Riconoscimento anzianità precari: sì alla carriera

Una ricercatrice, assunta a tempo indeterminato dopo anni di contratti a termine, si è vista negare la progressione di carriera basata sull’anzianità pre-ruolo. La Corte di Cassazione ha stabilito che il principio di non discriminazione impone il pieno riconoscimento dell’anzianità dei precari. Il datore di lavoro pubblico non può negare la progressione stipendiale adducendo la mancata valutazione della performance, ma ha l’obbligo di attivarla considerando l’intero periodo di servizio.

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Pubblicato il 25 agosto 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Riconoscimento anzianità precari: La Cassazione tutela la carriera

L’ordinanza della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, n. 18913 del 2025, affronta una questione cruciale per migliaia di lavoratori del settore pubblico: il riconoscimento anzianità precari ai fini della progressione di carriera. La Suprema Corte ha riaffermato un principio fondamentale derivante dal diritto europeo: il servizio maturato con contratti a tempo determinato deve essere pienamente valutato una volta che il lavoratore viene stabilizzato, senza discriminazioni rispetto ai colleghi assunti da sempre a tempo indeterminato.

I Fatti di Causa

Una ricercatrice impiegata presso un ente pubblico di ricerca, dopo un lungo periodo di lavoro con contratti atipici e a tempo determinato iniziato nel 2001, veniva finalmente assunta a tempo indeterminato nel 2008. L’ente, tuttavia, ai fini della progressione stipendiale, considerava unicamente l’anzianità di servizio maturata a partire dalla data di stabilizzazione, ignorando i sette anni precedenti di lavoro continuativo.

La lavoratrice ha quindi agito in giudizio per ottenere il riconoscimento del suo pieno diritto alla progressione di carriera, chiedendo l’inquadramento nelle posizioni stipendiali superiori che le sarebbero spettate se tutta la sua anzianità fosse stata conteggiata, con le relative differenze retributive. Mentre il Tribunale di primo grado aveva parzialmente accolto le sue ragioni, la Corte d’Appello aveva respinto la domanda, sostenendo che la progressione non fosse automatica ma subordinata a una valutazione positiva della performance, mai effettuata per i periodi di lavoro a termine.

Il corretto riconoscimento anzianità precari secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della lavoratrice, cassando con rinvio la sentenza d’appello. La decisione si fonda sul principio di non discriminazione sancito dalla clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva europea 1999/70/CE.

I giudici hanno chiarito che negare la valutazione del servizio pre-ruolo crea una disparità di trattamento ingiustificata. L’anzianità di servizio, infatti, è una condizione di impiego che deve essere trattata allo stesso modo per i lavoratori a termine e per quelli a tempo indeterminato.

L’obbligo di valutazione del datore di lavoro

Il punto centrale della pronuncia riguarda il requisito della valutazione positiva. La Corte d’Appello aveva errato nel considerarlo un ostacolo insormontabile. La Cassazione ha invece precisato che la necessità di una valutazione non giustifica la discriminazione. Al contrario, essa fa sorgere un obbligo in capo al datore di lavoro.

Quando il lavoratore stabilizzato matura, grazie al cumulo dei periodi pre-ruolo, l’anzianità richiesta per la progressione, il datore di lavoro è tenuto ad attivare la procedura di valutazione. Non può trincerarsi dietro la propria inerzia, soprattutto se questa deriva dall’erroneo presupposto di non dover conteggiare il servizio a termine.

Le Motivazioni della Decisione

Le motivazioni della Corte si basano su un solido impianto giuridico che combina normativa nazionale e principi europei. La Cassazione ha ribadito la propria giurisprudenza consolidata, secondo cui al lavoratore stabilizzato deve essere riconosciuta l’anzianità di servizio maturata precedentemente, a condizione che le funzioni svolte siano identiche.

Il divieto di discriminazione ha carattere incondizionato e deve essere applicato dal giudice nazionale, disapplicando qualsiasi norma interna, anche contrattuale, in contrasto. La Corte ha specificato che il datore di lavoro non può giustificare la disparità basandosi semplicemente sulla natura del contratto (a termine vs. indeterminato). Per essere legittima, una differenza di trattamento deve fondarsi su elementi precisi e concreti che differenzino le modalità di lavoro, non sullo status giuridico del rapporto.

La sola circostanza che la progressione stipendiale sia legata anche a una valutazione positiva non è una ragione oggettiva sufficiente per escludere a priori il diritto del lavoratore precario stabilizzato. Se il datore di lavoro, contrattualmente obbligato, omette la valutazione sull’erroneo presupposto della non computabilità dei periodi a termine, non può poi usare tale omissione a danno del lavoratore.

Conclusioni

Questa ordinanza rappresenta una vittoria significativa per i lavoratori precari del pubblico impiego. La Corte di Cassazione stabilisce un principio chiaro: il riconoscimento anzianità precari è un diritto che non può essere compresso. Il datore di lavoro pubblico ha il dovere di considerare tutto il servizio prestato e, di conseguenza, di attivare le procedure valutative necessarie per la progressione di carriera. Il lavoratore non può essere penalizzato due volte: prima con la precarietà del rapporto e poi con la perdita dell’anzianità maturata. La sentenza impugnata è stata quindi cassata e il caso rinviato alla Corte d’Appello, che dovrà riesaminare la vicenda attenendosi a questi fondamentali principi di diritto.

Il servizio svolto con contratti a termine prima della stabilizzazione vale per la progressione di carriera?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che, in applicazione del principio di non discriminazione, l’anzianità di servizio maturata durante i rapporti di lavoro a tempo determinato deve essere pienamente riconosciuta ai fini della progressione stipendiale e di carriera dopo l’assunzione a tempo indeterminato.

La necessità di una valutazione positiva della performance può impedire il riconoscimento dell’anzianità pre-ruolo?
No. La circostanza che la progressione di carriera sia subordinata a una valutazione positiva non costituisce una ragione oggettiva per discriminare i lavoratori a termine. Anzi, quando il lavoratore matura l’anzianità richiesta sommando anche i periodi pre-ruolo, il datore di lavoro ha l’obbligo di avviare la procedura di valutazione.

Cosa succede se il datore di lavoro non ha mai effettuato la valutazione per i periodi di lavoro a termine?
Il datore di lavoro non può usare la propria omissione come giustificazione per negare la progressione di carriera. Se ha omesso la valutazione basandosi sull’erroneo presupposto che il servizio a termine non fosse computabile, è comunque tenuto ad attivare la procedura una volta che il lavoratore stabilizzato raggiunge l’anzianità richiesta. Il giudice dovrà accertare il diritto del dipendente a essere valutato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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