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Riconoscimento anzianità: no a discriminazione rovescia

Un medico, precedentemente in servizio presso l’amministrazione militare, dopo essere stato assunto da un’Azienda Sanitaria Locale, ha richiesto il riconoscimento dell’anzianità di servizio maturata. La sua domanda si basava sul principio di non discriminazione rispetto ai medici di altri Paesi UE, ai quali tale anzianità viene riconosciuta in virtù delle norme sulla libera circolazione. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5967/2024, ha rigettato il ricorso. Pur correggendo la motivazione della corte d’appello, ha stabilito che per invocare la tutela contro la “discriminazione alla rovescia” non è sufficiente una disparità di trattamento astratta. È necessario, invece, che il cittadino italiano dimostri di trovarsi in una situazione di conflitto e concorrenza concreta con un cittadino UE, dove la norma più favorevole per quest’ultimo si traduce in un pregiudizio diretto per il primo.

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Pubblicato il 4 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Riconoscimento Anzianità: la Cassazione fissa i paletti per la discriminazione alla rovescia

Il tema del riconoscimento anzianità per i lavoratori che transitano tra diversi comparti della Pubblica Amministrazione è da sempre complesso. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 5967 del 5 marzo 2024, aggiunge un tassello fondamentale, chiarendo i presupposti per l’applicazione del principio di non discriminazione del cittadino italiano rispetto a quello comunitario, la cosiddetta “discriminazione alla rovescia”.

I Fatti del Caso: Il Passaggio da Medico Militare a Civile

Il caso ha origine dalla vicenda di un medico specialista in anestesia, il quale, dopo aver prestato servizio per anni come medico militare presso il Ministero della Difesa, veniva assunto a seguito di un concorso pubblico da un’Azienda Sanitaria Locale (AUSL). Al momento dell’assunzione, l’AUSL lo inquadrava come un neoassunto, senza tener conto dell’anzianità di servizio maturata nel precedente impiego pubblico.
Il medico agiva in giudizio per ottenere la ricostruzione della carriera, con il pieno riconoscimento anzianità pregressa a fini giuridici ed economici. La sua tesi principale si fondava sulla violazione del principio di parità di trattamento. Egli evidenziava come, per effetto del diritto dell’Unione Europea, un medico proveniente da un altro Stato membro che si trasferisce in Italia avrebbe diritto al riconoscimento della propria anzianità. Negare lo stesso trattamento a un medico italiano che transita da un’altra amministrazione pubblica nazionale, seppur diversa (militare), costituirebbe una palese “discriminazione alla rovescia”.

La Decisione della Corte di Cassazione e il Riconoscimento Anzianità

I giudici di merito, sia in primo che in secondo grado, avevano rigettato la domanda. La Corte di Cassazione, pur confermando il rigetto del ricorso, ha corretto in modo sostanziale la motivazione della sentenza d’appello, cogliendo l’occasione per enunciare un principio di diritto di notevole importanza.

L’Errata Motivazione della Corte d’Appello

La Corte d’Appello aveva respinto la richiesta del medico sostenendo che egli non avesse provato che negli altri Paesi dell’UE fosse previsto il riconoscimento della continuità tra servizio medico militare e servizio sanitario civile. La Cassazione ha ritenuto questo ragionamento errato. Il punto focale della discriminazione lamentata non era il trattamento dei medici militari all’estero, ma il fatto che un medico straniero, proveniente da qualsiasi struttura pubblica di un altro Paese UE, avrebbe ottenuto in Italia il riconoscimento anzianità, a differenza del medico italiano.

La “Discriminazione alla Rovescia”: Teoria vs. Pratica

Il cuore della sentenza ruota attorno all’interpretazione dell’art. 53 della L. n. 234/2012, la norma cardine contro la discriminazione alla rovescia. Questa norma stabilisce che le disposizioni interne non trovano applicazione se producono effetti discriminatori a danno dei cittadini italiani rispetto ai cittadini comunitari. La Suprema Corte chiarisce che tale norma non opera un’automatica e generalizzata abrogazione di tutte le norme interne meno favorevoli. La sua funzione è quella di correggere le storture in concreto.

Il Requisito del “Conflitto Concreto”

La vera novità interpretativa consiste nell’aver stabilito che, per invocare la tutela, non basta la mera esistenza di una disciplina interna meno favorevole rispetto a quella applicata al cittadino UE. È indispensabile dimostrare l’esistenza di un effetto discriminatorio concreto. Questo si verifica quando il cittadino italiano e quello straniero entrano in diretta concorrenza per un bene limitato (ad esempio, una promozione, l’accesso a una posizione apicale, turni di lavoro più favorevoli). Solo in questo scenario, il vantaggio concesso allo straniero (il riconoscimento dell’anzianità pregressa) si traduce in un pregiudizio diretto e tangibile per l’italiano, giustificando la disapplicazione della norma interna discriminatoria.
Nel caso di specie, il medico aveva avanzato una richiesta generica di parificazione, senza però allegare e dimostrare una specifica situazione di conflitto con un potenziale collega europeo, in cui il mancato riconoscimento anzianità lo avesse effettivamente penalizzato.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha motivato la sua decisione attraverso un’articolata analisi del rapporto tra ordinamento interno e diritto dell’Unione Europea. Ha spiegato che le norme interne, come quelle dei contratti collettivi che limitano il riconoscimento dell’anzianità al solo servizio prestato nel medesimo comparto, perseguono una logica di coerenza e buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.). Queste regole non sono di per sé irragionevoli. Tuttavia, il principio di libera circolazione impone all’Italia di riconoscere l’esperienza dei lavoratori UE per non ostacolare la mobilità. Questo crea una potenziale disparità. L’art. 53 serve a risolvere questa tensione, ma solo quando essa sfocia in un conflitto reale e non meramente ipotetico. La disapplicazione generalizzata delle norme interne, in assenza di un pregiudizio concreto, porterebbe a vanificare le legittime scelte del legislatore e della contrattazione collettiva interna. Pertanto, l’onere della prova di tale conflitto concreto grava su chi lamenta la discriminazione.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha stabilito il seguente principio: l’art. 53 della L. n. 234/2012 si interpreta nel senso che le norme o prassi interne non trovano applicazione quando, nella regolazione di un medesimo caso, comportano contemporaneamente un pregiudizio per il cittadino italiano e un vantaggio per il cittadino dell’Unione Europea, realizzando in tal modo un effetto discriminatorio concreto ai danni del primo. La sentenza, pur rigettando il ricorso per la mancata prova di tale effetto, fornisce uno strumento giuridico più preciso a tutti i cittadini italiani che si sentono penalizzati da normative interne meno favorevoli di quelle applicate ai cittadini UE, a condizione che possano dimostrare un reale e attuale pregiudizio competitivo.

Un medico italiano che passa dal settore pubblico militare a quello sanitario civile ha automaticamente diritto al riconoscimento dell’anzianità di servizio pregressa?
No, secondo la normativa interna e la contrattazione collettiva analizzate nel caso, il riconoscimento dell’anzianità è generalmente limitato a quella maturata all’interno del medesimo comparto sanitario. Un’eccezione può verificarsi solo se si dimostra una specifica discriminazione concreta.

Cosa si intende per “discriminazione alla rovescia” in questo contesto?
Si intende la situazione in cui un medico italiano, transitando da un’amministrazione pubblica nazionale (militare) a un’altra (sanitaria), non ottiene il riconoscimento dell’anzianità pregressa, mentre un medico proveniente da un altro Stato membro dell’UE, in virtù delle norme sulla libera circolazione, otterrebbe tale riconoscimento.

Per ottenere tutela contro la “discriminazione alla rovescia”, è sufficiente dimostrare che la legge tratta meglio un cittadino UE rispetto a un cittadino italiano?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che non è sufficiente dimostrare una disparità di trattamento astratta. È necessario provare l’esistenza di un “effetto discriminatorio concreto”, ovvero una situazione reale di conflitto o concorrenza (ad es. per una promozione) in cui il trattamento più favorevole riservato al cittadino UE causa un pregiudizio diretto e tangibile al cittadino italiano.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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