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Riconoscimento anzianità estero: la decisione chiave

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3860/2024, ha stabilito che l’anzianità di servizio maturata da un dirigente medico in una struttura sanitaria pubblica di un altro Stato membro dell’UE deve essere riconosciuta ai fini giuridici ed economici in Italia. La Corte ha cassato la decisione d’appello che negava tale diritto, affermando la prevalenza del principio di libera circolazione dei lavoratori e delle norme europee sulla legislazione nazionale e sulla contrattazione collettiva. La decisione si fonda sull’obbligo di non discriminare i lavoratori che hanno esercitato il loro diritto alla mobilità all’interno dell’Unione, imponendo la valutazione dell’esperienza pregressa acquisita all’estero.

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Pubblicato il 31 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Riconoscimento anzianità estero: la Cassazione tutela la mobilità UE

Con la sentenza n. 3860 del 12 febbraio 2024, la Corte di Cassazione ha affrontato un tema cruciale per i professionisti che si muovono all’interno dell’Unione Europea: il riconoscimento anzianità estero nel settore pubblico italiano. La decisione stabilisce un principio fondamentale: l’esperienza maturata in un altro Stato membro non può essere ignorata, in virtù del principio di libera circolazione dei lavoratori.

Il caso: l’esperienza professionale in Austria e la richiesta di riconoscimento

Una dirigente medico, dopo aver conseguito la laurea e la specializzazione in Austria e avervi lavorato per circa dieci anni, veniva assunta a tempo indeterminato da un’importante Azienda Ospedaliera italiana. I suoi titoli erano stati pienamente riconosciuti dal Ministero della Sanità. La dottoressa chiedeva quindi il riconoscimento dell’anzianità di servizio maturata dal 1994 al 2004 presso l’Università di Vienna, ai fini della ricostruzione di carriera e del trattamento economico.

La decisione della Corte d’Appello e il ricorso in Cassazione

Inizialmente, il Tribunale aveva accolto la domanda della dottoressa. Tuttavia, la Corte d’Appello, riformando la sentenza di primo grado, respingeva la richiesta. Secondo i giudici d’appello, nell’ordinamento italiano mancava una norma specifica che consentisse di valutare, ai fini dell’anzianità di servizio, l’attività lavorativa prestata all’estero. Sostenevano che l’equiparazione dei titoli fosse valida solo per l’accesso alla professione, ma non per la carriera. Contro questa decisione, il medico proponeva ricorso per cassazione, basandosi sulla violazione dei principi di diritto dell’Unione Europea in materia di libera circolazione e non discriminazione.

Riconoscimento anzianità estero secondo la Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha ribaltato completamente la decisione della Corte d’Appello, accogliendo i motivi del ricorso. I giudici hanno affermato che negare il riconoscimento anzianità estero costituisce un ostacolo alla libera circolazione dei lavoratori, principio cardine del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE).

Il principio di libera circolazione dei lavoratori nell’UE

La Corte ha richiamato la consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la quale ha più volte sancito che un lavoratore migrante non può essere penalizzato per aver esercitato il suo diritto alla mobilità. Una normativa nazionale che non tenga conto dei periodi di lavoro equivalenti svolti in un altro Stato membro è discriminatoria e dissuade i cittadini dal muoversi all’interno dell’Unione. Tale normativa, pertanto, deve essere disapplicata dal giudice nazionale.

Le motivazioni

La Cassazione ha fondato la sua decisione su un solido impianto normativo e giurisprudenziale. In primo luogo, ha evidenziato come il legislatore italiano sia intervenuto più volte per adeguare l’ordinamento interno ai principi comunitari. In particolare, l’art. 5 del D.L. n. 59/2008 e successive modifiche (art. 44 del D.L. n. 69/2013) impongono alle pubbliche amministrazioni di valutare l’esperienza professionale e l’anzianità acquisite in altri Stati membri, anche per il personale medico e sanitario.

Questa normativa neutralizza esplicitamente le clausole dei contratti collettivi che limitano il riconoscimento dell’anzianità al solo servizio prestato nel comparto sanità nazionale. La Corte ha chiarito che, se la contrattazione collettiva richiede la “soluzione di continuità” per la maturazione dell’anzianità, questa condizione non si applica quando l’interruzione è dovuta al passaggio da una struttura sanitaria di un altro Stato membro a una italiana.

I giudici hanno quindi affermato che la Corte d’Appello ha errato nel ritenere inesistente una disciplina applicabile. La legislazione d’urgenza citata, nata proprio per dare esecuzione a sentenze della Corte di Giustizia UE, fornisce la base giuridica per il riconoscimento richiesto dalla ricorrente. L’avvenuto riconoscimento dei titoli di studio e professionali da parte delle autorità italiane conferma, inoltre, l’equivalenza del servizio prestato all’estero.

Le conclusioni

La sentenza rappresenta un punto fermo a tutela dei diritti dei cittadini europei che lavorano in Italia nel settore pubblico. In conclusione, la Corte ha stabilito i seguenti principi di diritto:
1. L’esperienza professionale e l’anzianità maturate dal personale medico in strutture sanitarie pubbliche di un altro Stato membro devono essere considerate valide in Italia ai fini del riconoscimento di vantaggi economici e professionali.
2. Le norme della contrattazione collettiva nazionale (C.C.N.L.) che prescrivono il requisito della continuità del servizio all’interno del comparto italiano devono essere disapplicate quando contrastano con questo principio, in particolare quando il passaggio avviene da una struttura sanitaria UE a una italiana.
3. Anche ai fini del conferimento di incarichi dirigenziali, l’esperienza maturata all’estero deve essere valutata, nel rispetto delle ulteriori condizioni previste dall’ordinamento per tali posizioni.

La causa è stata rinviata alla Corte d’Appello, che dovrà riesaminare il caso attenendosi a questi principi.

L’anzianità di servizio maturata da un medico in un altro Stato UE deve essere riconosciuta in Italia?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, in base al diritto dell’Unione Europea e alla specifica legislazione nazionale di adeguamento, l’esperienza professionale e l’anzianità acquisite in strutture sanitarie pubbliche di un altro Stato membro devono essere valutate ai fini giuridici ed economici anche in Italia, per non ostacolare la libera circolazione dei lavoratori.

La contrattazione collettiva nazionale può limitare il riconoscimento dell’anzianità maturata all’estero?
No. La Corte ha stabilito che le clausole dei contratti collettivi che limitano la valutazione dell’anzianità al solo servizio prestato in Italia, o che richiedono una continuità di servizio interrotta dal passaggio da uno Stato membro all’altro, devono essere disapplicate in quanto contrastanti con norme di legge e con i principi superiori del diritto dell’Unione Europea.

Quali sono le condizioni per riconoscere il servizio sanitario prestato all’estero?
La condizione principale è che il servizio sia stato prestato in una struttura sanitaria pubblica di un altro Stato membro e che vi sia stato un riconoscimento dei titoli professionali da parte delle autorità italiane competenti (in questo caso, il Ministero della Sanità), che attesti l’equivalenza delle attività svolte.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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