Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 824 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 824 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso 25204-2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 113/2019 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 25/02/2019 R.G.N. 297/2017;
Oggetto
Iscrizione elenchi lavoratori agricoli
R.G.N. 25204/2019
COGNOME
Rep.
Ud. 13/11/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/11/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
La Corte di appello di Salerno ha accolto il ricorso proposto da NOME COGNOME ed in riforma della sentenza di primo grado ha dichiarato il suo diritto all’iscrizione negli elenchi dei braccianti agricoli del Comune di residenza anche per le 102 giornate di lavoro svolte nell’anno 2012 alle dipendenze della RAGIONE_SOCIALE condannando l’INPS nel ricorso dei presupposti di legge a corrispondere l’ indennità di disoccupazione per quell’annualità ed a pagare gli accessori di legge, compensando tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Il giudice di appello ha ritenuto che la riclassificazione operata dall’Inps con il verbale di accertamento, con il quale la RAGIONE_SOCIALE è stata ascritta al settore industriale e non più a quello agricolo, non potesse avere effetto retroattivo, e quindi non pregiudicasse la posizione previdenziale della lavoratrice per le giornate effettuate prima della riclassificazione.
Ad avviso della Corte di merito la riclassificazione avrebbe potuto avere effetto retroattivo nel solo caso di non veritiere dichiarazioni del datore di lavoro al momento dell’avvio dell’attività, e non a seguito di accertamenti successivi dell’Inps non determinati da false comunicazioni datoriali.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso l’Inps che articola due motivi. NOME COGNOME resiste con controricorso. In esito all’adunanza il collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di 60 giorni.
RITENUTO CHE
Con il primo motivo di ricorso, l’Inps deduce la nullità della sentenza per omessa motivazione, in violazione degli artt.132
c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., avendo la Corte motivato la sua decisione con un semplice rinvio ad altra sentenza del medesimo ufficio giudiziario, senza svolgere alcun accertamento e senza esplicitare le ragioni all’accoglimento della domanda della lavoratrice.
Con il secondo motivo di ricorso è denunciata la violazione e/o falsa applicazione dell’art.3, comma 8 della legge n.335 del 1995, degli artt.1, 2, 3, 4 della legge n.352 del 1978 e 44-bis del d.l. n.69 del 2003, convertito con modificazioni dalla legge n. 326 del 2003, per avere la Corte d’appello negato effetto retroattivo dell’inquadramento nel settore industriale, a fronte dell’accertamento ispettivo relativo all’omessa comunicazione di circostanze attinenti alla prevalenza dell’attività industriale s u quella agricola.
2.1. Ad avviso dell’Istituto ricorrente anche tale ipotesi andava ricondotta alla retroattività voluta dall’art.3, comma 8 della legge n. 335 del 1995.
Il primo motivo è infondato. Ed infatti la sentenza della Corte di appello nella sua motivazione richiama non soltanto le motivazioni di un suo precedente in una fattispecie sovrapponibile a quella esaminata ma anche esternando proprie ragioni di fatto e di diritto (v. p.7 e ss. della sentenza) sulla base delle quali l’art.3 comma 8 della legge n. 335 del 1995 non può riguardare il caso in questione in quanto per aversi il vizio di motivazione previsto dall’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dall’art. 111 Cost. la pronuncia deve essere obiettivamente carente nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento (cfr. Cass. 6758 del 2022 e 4166 del 2024), il che non è nel caso in esame.
Anche il secondo motivo di ricorso non può essere accolto.
4.1. Con orientamento ormai costante di questa Corte (cfr. tra le ultime e per una fattispecie sovrapponibile Cass. nn. 13086 e
12976 del 2024 ed ivi le richiamate Cass. n.568 del 2022, n.5541 del 2021, n.14257 del 2019, n.3460 del 2018 e n. 4521 del 2006), al quale deve essere data continuità (con il quale è stato superato il precedente di segno diverso Cass. n.8558 del 2014), è s tato affermato che la regola generale posta dall’art.3 comma 8 della legge n.335 del 1995 è quella per cui i provvedimenti dell’Inps di variazione della classificazione ai sensi dell’art.49 della legge n.88 del 1989 non hanno efficacia retroattiva e producono i loro effetti dal periodo di paga in corso alla data di notifica del provvedimento di variazione. Tale regola vale quand’anche la riclassificazione sia svolta d’ufficio dall’Inps in caso di omessa comunicazione dei mutamenti intervenuti nell’attività. La retroattività è limitata, secondo la lettera della norma, alla sola ipotesi di un inquadramento iniziale errato poiché determinato da inesatte dichiarazioni del datore di lavoro.
4.2. L’orientamento appena citato resiste alle critiche avanzate col motivo di ricorso, poiché, come già rilevato nei precedenti sopra citati ed in particolare da Cass. n.568 del 2022, la predetta lettura dell’art.3 comma 8 della legge n.335 del 1995 meglio si giustifica alla luce della ratio della norma, tesa a favorire la certezza nel rapporto contributivo, che ha ripercussioni sul bilancio dell’istituto e sulle posizioni previdenziali dei singoli lavoratori.
4.3. La retrodatazione degli effetti del nuovo inquadramento, inoltre, deve essere controbilanciata dall’esigenza dell’impresa a non essere soggetta a obbligazioni per periodi ormai passati.
4.4. Orbene la Corte d’appello, con accertamento di fatto non sindacabile in questa sede se non nei limiti dell’art.360 primo comma n.5 c.p.c., ha affermato che nessuna dichiarazione non veritiera fu comunicata all’Inps dall’azienda, sia in ordine all’atti vità industriale sia in ordine a quella agricola (cfr. pag. 8).
4.5. Ne consegue che, alla luce della giurisprudenza di legittimità su richiamata, la variazione operata dall’Inps ha effetto ex nunc come correttamente ritenuto dalla Corte d’appello e non opera con riguardo all’attività lavorativa svolta in precedenza.
Alla luce delle considerazioni esposte il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna l’Inps al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in € 2.500,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali e accessori di legge.
Dà atto che, atteso il rigetto del ricorso, sussiste il presupposto processuale di applicabilità dell’art.13 comma 1 quater, d.P.R. n.115 del 2002, con conseguente obbligo in capo a parte ricorrente di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
Così deciso in Roma il 13 novembre 2024