Ordinanza di Cassazione Civile Sez. U Num. 23224 Anno 2025
Civile Ord. Sez. U Num. 23224 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: TRICOMI IRENE
Data pubblicazione: 13/08/2025
Sul ricorso iscritto al n. r.g. 19287/2024 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona dei commissari liquidatori pro tempore , elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COMUNE DI PORTO CESAREO, in persona del Sindaco pro tempore , elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 5037/2024 del CONSIGLIO DI STATO, depositata il 05/06/2024.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 06/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale COGNOME COGNOME il quale chiede l’inammissibilità del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La società RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per eccesso di potere giurisdizionale e violazione di legge nei confronti del Comune di San Cesareo, avverso la sentenza n. 5037/2024 emessa dal Consiglio di Stato, IV Sezione, in data 5.6.2024.
Il Consiglio di Stato ha accolto l’appello incidentale del Comune di San Cesareo, con cui è stata censurata la statuizione del TAR Puglia, Sezione staccata di Lecce, che aveva respinto l’eccezione di tardività della riassunzione, effettuata dalla società RAGIONE_SOCIALE dinanzi al medesimo TAR, del ricorso inizialmente proposto dinanzi al Tribunale ordinario di Lecce.
Con la sentenza n. 5037/2024, in riforma della sentenza del TAR, il Consiglio di Stato ha dato atto dell’avvenuta estinzione del giudizio di primo grado.
1.1. Il ricorso è articolato in due motivi.
Il Comune di San Cesareo resiste con controricorso.
Con proposta formulata ai sensi del primo comma dell’art. 380 -bis c.p.c. (novellato), la Prima Presidente ha rilevato che il ricorso era da ritenersi infondato alla luce della ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte in materia e che, quindi, avrebbe potuto essere definito nelle forme previste dal menzionato articolo.
Il difensore della società ricorrente ha chiesto che il ricorso venga esaminato e deciso.
Resiste con controricorso il Comune di San Cesareo.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Il Procuratore Generale ha depositato requisitoria scritta con la quale ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile.
Il ricorso è stato avviato alla discussione in adunanza camerale dinanzi a queste Sezioni Unite, all’esito della quale è stato riservato in decisione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Occorre, in via pregiudiziale, dare atto che l’istanza di decisione del ricorso è stata proposta tempestivamente.
Ciò premesso, si osserva che la ricorrente censura la statuizione con cui il Consiglio di Stato ha statuito che la notifica dell’atto di riassunzione e il deposito del ricorso, avanti al TAR Puglia, Sezione distaccata di Lecce, dovevano essere effettuati entrambi entro il termine perentorio del 7 luglio 2017.
Poiché il deposito del ricorso è stato effettuato solo il 20 luglio 2017, la riassunzione del giudizio è avvenuta tardivamente, sebbene la notifica del ricorso sia avvenuta il 23 giugno 2017, e quindi nel suddetto termine.
Il Consiglio di Stato ha affermato che ai fini della riassunzione di un giudizio, a seguito di declaratoria di difetto di giurisdizione, nel processo amministrativo, il rapporto processuale può considerarsi instaurato solo all ‘ esito dell ‘ adempimento dell ‘ onere del deposito del ricorso, non essendo sufficiente a tali fini il completamento della sola procedura di notifica (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 4002 del 17 luglio 2007 e n. 2796 del 31 maggio 2007), e ha motivato la decisione , tra l’altro, come segue.
‘(…) se, dunque, l’adempimento del deposito del ricorso costituisce elemento essenziale della corretta instaurazione del rapporto processuale, nel processo amministrativo, non si scorge una ragione logica per la quale ai fini della riassunzione di un giudizio, a seguito di declaratoria di difetto di giurisdizione da parte di un giudice di diverso plesso, come pure a seguito di ordinanza di un tribunale amministrativo regionale che abbia dichiarato la propria incompetenza territoriale, tale adempimento non debba essere effettuato nel termine perentorio indicato per effettuare la ‘riassunzione’, o per la ‘riproposizione’ del giudizio, posto che l’esigenza di certezza delle situazioni legali implica che le parti del giudizio, e in particolare l’amministrazione, devono
poter conoscere con certezza il momento in cui il giudizio si estingue per mancata tempestiva riproposizione/riassunzione .’.
Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 11 e 15, c.p.a., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 , c.p.c. Irricevibilità del ricorso per violazione degli artt. 11 e 64, commi 2 e 3, c.p.a., e dell’art. 59 della legge n. 69 del 2009.
Benché nella rubrica si richiami anche l’art. 64 del c.p.a., la censura si incentra, oltre che sull’applicazione dell’ art. 59 della legge n. 69 del 2009, sulla contestazione dell’interpretazione degli artt. 11 e 15 del c.p.a ., prospettata con l’appello incidentale accolto dal Consiglio di Stato.
La ricorrente, con plurimi argomenti, deduce l’erroneità del ragionamento giuridico della decisione del Consiglio di Stato, ed espone che nella specie ciò che assume rilievo è la proposizione della domanda. Il giudizio è regolarmente e legittimamente proposto o riproposto con la mera notifica del ricorso, essendo quest’ultima una cosa distinta e diversa dall’instaurazione del rapporto processuale che si instaura con il deposito; né a ciò ostano le eventuali esigenze di emendatio dell’atto introduttivo .
Con il secondo motivo di ricorso è dedotto eccesso di potere giurisdizionale, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 1, c.p.c. Ammissibilità e procedibilità del ricorso in cassazione avverso la sentenza del Consiglio di Stato.
Assume la ricorrente che la regola della non estensione agli errori in iudicando o in procedendo del sindacato della Corte di cassazione sulle decisioni del giudice amministrativo, si può derogare in casi eccezionali di radicale stravolgimento delle norme di riferimento, come si evincerebbe da alcune pronunce di queste Sezioni Unite.
Di talché, attraverso la censura per motivi attinenti alla giurisdizione si dà legittimo ingresso a questioni aventi ad oggetto errores in procedendo o in iudicando del Consiglio di Stato che attengono alla legittimità dell’esercizio del potere giurisdizionale.
Dunque, prospetta la ricorrente, considerando il principio per cui queste Sezioni Unite (è richiamata Cass., S.U., n. 32559 del 2023) hanno ritenuto
motivo inerente la giurisdizione l’esclusione della legittimazione attiva in capo all’interventore, p otrebbe affermarsi che anche la declaratoria di tardività del deposito del ricorso sia motivo inerente la giurisdizione, in quanto in entrambe le ipotesi non viene messo in discussione l’esercizio della propria giurisdizione da parte del giudice amministrativo, che anzi decide perché investito di essa, proprio perché ritiene esistente la propria giurisdizione applica, tuttavia, una regola di giudizio che lo porta a negare la tutela della situazione giuridica azionata, commettendo un errore in rito.
Entrambi i motivi, che devono essere esaminati congiuntamente in ragione della loro connessione, sono inammissibili, convenendosi con le conclusioni del Procuratore Generale.
Allo scrutinio delle doglianze giova premettere che, secondo il progressivo consolidarsi della giurisprudenza di queste Sezioni Unite (si v., Cass., S.U., n. 8818 del 2025, n. 34786, n. 23849 e n. 23850 del 2024, successive alle pronunce più risalenti richiamate dalla ricorrente), l’eccesso di potere giurisdizionale, denunciabile con il ricorso dinanzi al giudice di legittimità, deve riferirsi alle ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione, che vanno individuate nell’ipotesi in cui un giudice speciale affermi la propria giurisdizione nella sfera invece riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa (cosiddetta invasione o sconfinamento), ovvero quando la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non possa formare oggetto in assoluto di cognizione giurisdizionale (cosiddetto arretramento), ed, ancora, alle ipotesi in cui sia riscontrabile il difetto relativo di giurisdizione, ossia quando il giudice abbia violato i cd. limiti esterni della propria giurisdizione, pronunciandosi su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, ovvero negando la cognizione sull’erroneo presupposto dell’appartenenza della giurisdizione ad altro giudice.
Ciò, anche considerando che l’interpretazione delle norme di diritto costituisce il proprium della funzione giurisdizionale e non può integrare di per sé sola la violazione dei limiti esterni della giurisdizione, che invece si verifica nella diversa ipotesi di affermazione, da parte del giudice speciale, che quella
situazione soggettiva è, in astratto, priva di tutela per difetto assoluto o relativo di giurisdizione (Cass., S.U., 34786 del 2024).
Il cattivo esercizio della propria giurisdizione da parte del giudice, che decide la controversia nell’alveo di essa, ma applica malamente le regole di giudizio ed erroneamente nega la tutela richiesta, rientra nel perimetro di un errore interno alla giurisdizione (cfr. ex aliis , Cass., S.U., n. 8311 del 2019; Cass., S.U., nn. 19675 e 27770 del 2020; Cass., S.U., n. 15573 del 2021; Cass., S.U., n. 14301 del 2022; Cass., S.U., n. 5862 del 2023).
Quand’anche tale errore porti a negare tutela alla situazione giuridica fatta valere, statuendo in facto ed in iure o anche solo con pronuncia di rito, la fattispecie esula dal controllo sul corretto esercizio della giurisdizione, affidato al giudice di legittimità. Infatti, il limite di controllo da parte delle Sezioni Unite trova spazio nel perimetro in precedenza illustrato, perché, pur negandosi tutela in concreto ma nell’ambito della propria giurisdizione, manca qualunque violazione delle regole ad essa relative (Cass., S.U, n. 8818 del 2025, che richiama Cass., S.U., n. 22711 del 2019).
7. Ne è calzante il richiamo effettuata dalla ricorrente alla sentenza Cass., S.U., n. 32559 del 2023, che ha affermato ‘che non sia configurabile un mero ed incensurabile error in procedendo , ma un diniego o rifiuto di giurisdizione per avere la sentenza impugnata negato agli enti ricorrenti la legittimazione ad intervenire nel giudizio, sulla base non di specifici e concreti impedimenti processuali (ad esempio, per ragioni relative alla fase processuale in cui gli interventi sono stati proposti, al grado di rappresentatività dei soggetti intervenuti rispetto agli interessi fatti valere, ecc.) ma di valutazioni che negano, in astratto, la titolarità in capo agli stessi enti di posizioni soggettive differenziate qualificabili come interessi legittimi’.
In continuità con le pronunce già sopra richiamate al punto 6, il rifiuto che rileva è quello ‘astratto’, che deriva dall’affermazione da parte del giudice speciale che quella situazione soggettiva è priva di tutela per difetto di giurisdizione, in contrasto con la regula iuris che invece gli attribuisce il potere di ius dícere sulla domanda; non quello ‘ in concreto ‘, che si ha quando la
negazione della tutela alla situazione soggettiva azionata è la conseguenza dell’ipotizzata eventuale inesatta interpretazione delle norme o della non corretta ricognizione e valutazione degli elementi in fatto.
Le difese della ricorrente, benché articolate e suggestive, si frangono sulla palese constatazione che il giudice amministrativo, nell’accogliere l’appello incidentale, ha interpretato le norme del c.p.a., che sono venute in rilievo (in particolare, art. 35, comma 1, lett. a , e art. 45, comma 1, c.p.a.), nel contesto di un indirizzo ermeneutico già formatosi nella giurisprudenza amministrativa (la sentenza richiama le decisioni Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 4002 del 17 luglio 2007 e n. 2796 del 31 maggio 2007), e ha accertato che il deposito del ricorso era intervenuto tardivamente.
Il Consiglio di Stato, muovendo dal dato normativo codicistico esistente e da un proprio orientamento interpretativo, puntualmente richiamato ed esaminato, ha proceduto ad una normale operazione di ermeneutica normativa: tale essendo quella mediante la quale il giudicante estrae la voluntas legis , oltre che dal dato letterale delle singole disposizioni, anche dalla ratio che il loro coordinamento sistematico disvela.
Come ha ricordato il Procuratore Generale, peraltro, queste Sezioni Unite hanno già escluso l’eccesso di potere giurisdizionale in un caso in cui era stato dichiarato inammissibile l’appello nonostante la tempestiva costituzione in giudizio della controparte e benché le cartoline di ricevimento fossero state depositate in giudizio con ampio anticipo rispetto al termine di trenta giorni dal giorno in cui erano pervenute, giustappunto ravvisando una violazione endoprocessuale, e al contempo escludendo che si fosse denegata giustizia per un manifesto e radicale stravolgimento delle norme di riferimento (Cass., S.U. n. 3146 del 2018).
10. Nella specie, dunque non sono state dedotte, con il ricorso in esame, né ipotesi riconducibili al difetto assoluto di giurisdizione (in virtù di invasione o sconfinamento della decisione nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa ovvero di arretramento della stessa rispetto a materia giustiziabile), né ipotesi riconducibili al difetto relativo di giurisdizione
(in virtù di violazione dei limiti esterni della giurisdizione, per essersi il giudice amministrativo pronunciato su materia attribuita ad altra giurisdizione ordinaria o speciale, ovvero per avere erroneamente negato la propria giurisdizione).
Le censure di entrambi i motivi di ricorso sono, invero, dirette semplicemente a far valere pretesi vizi di violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, il che non è consentito nella presente sede.
– Conformemente alle conclusioni del Procuratore generale il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente soccombente al pagamento -in favore del controricorrente – dei compensi professionali del presente giudizio, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo.
Poiché il ricorso è stato deciso in conformità alla proposta formulata, ai sensi dell’art. 380 -bis, comma 1, c.p.c., possono essere adottate le statuizioni di cui al terzo comma della stessa norma, ovvero la condanne al pagamento a favore del controricor rente ed ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c., della somma equitativamente determinata nella misura di euro 2.500,00, la condanna al pagamento, in favore della Cassa delle ammende ed in applicazione dell’art. 96, comma 4, c.p.c., della somma di euro 2.500,00.
A quest’ultimo proposito è opportuno sottolineare che queste stesse Sezioni unite hanno recentemente chiarito -con le ordinanze n. 27433/2023 e 27195/2023 -che la disciplina del nuovo art. 380-bis c.p.c. (e, in particolare, di quella prevista nel suo terzo comma), contiene, nei casi di conformità tra proposta e decisione finale, una valutazione legale tipica per far luogo alla suddetta duplice condanna a carico della parte soccombente.
13 . Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della stessa ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento nei confronti del controricorrente dei compensi professionali del
presente giudizio, liquidati in euro 5.000,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, spese generali in misura del 15% e accessori di legge.
Condanna, altresì, la ricorrente al pagamento a favore del controricorrente ed ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c., della somma equitativamente determinata nella misura di euro 2.500,00, nonché al pagamento, in favore della Cassa delle ammende ed in applicazione dell’art. 96, comma 4, c.p.c., della somma di euro 2.500,00.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio delle Sezioni Unite civili in data 6