Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 8675 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 8675 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/04/2025
SENTENZA
sul ricorso 2658-2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
COGNOME NOMECOGNOME
– intimato – avverso la sentenza n. 754/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 13/11/2020 R.G.N. 921/2019;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/03/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
Oggetto
Mansioni pubblico impiego
R.G.N.2658/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 18/03/2025
PU
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza del 21/10/2019 la Corte di appello di Milano, pronunciando sul gravame dell’Agenzia delle Entrate contro la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva accertato il diritto di NOME COGNOME alla ricostituzione del rapporto, risoltosi per dimissioni volontarie, dichiarava (avendo nelle more il predetto rinunciato all’assunzione per motivi personali) cessata la materia del contendere e, in applicazione del principio della soccombenza virtuale, condannava l’appellante alla rifusione delle spese del giudizio.
La Corte ambrosiana, nel condividere le conclusioni del primo giudice, evidenziava che l’art. 32 c.c.n.l. di Comparto Agenzie Fiscali, recante «Ricostituzione del rapporto di lavoro», lasciava margini di discrezionalità all’amministrazione, ma non in termini ‘assoluti’, tant’è che era previsto l’obbligo di ‘rispondere motivatamente alla richiesta del lavoratore’.
Sicchè, ad avviso della Corte di merito, in difetto di enunciazione da parte dell’amministrazione (qui rimasta silente) di ragioni ostative alla ricostituzione del rapporto (infatti, erano disponibili ‘posti corrispondenti al profilo professionale di Molinaro come era possibile dedurre dall’avvio, in data 9 aprile 2018, di una selezione pubblica per l’assunzione a tempo indeterminato di 510 unità per la terza area funzionale, fascia retributiva F1, profilo professionale funzionario per attività amministrativa-tributaria’), ne seguiva che ‘la sentenza di primo grado non avrebbe potuto che essere confermata’ (beninteso) se non fosse intervenuto il fatto nuovo costituito dal rifiuto (in data 16.7.2019) di sottoscrizione del
contratto di lavoro per sopraggiunta perdita di interesse da parte del lavoratore.
Contro la sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate sulla base di un solo motivo, assistito da memoria, cui non si oppone il COGNOME che resta intimato.
La Procura Generale ha rassegnato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso e confermando tale richiesta in udienza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Nel suo motivo l’Agenzia denuncia ‘falsa applicazione dell’art. 32 del c.c.n.l. Comparto Agenzie Fiscali, quadriennio 2002/2005, sottoscritto il 28 maggio 2004, oggi confluito nell’art. 15 del nuovo contratto collettivo CCNL comparto funzioni centrali sottoscritto il 12 febbraio 2018’.
L’art. 32 CCNL Agenzie Fiscali cit. si era limitato a riscrivere, limitandone la portata, la disciplina della riammissione in servizio prevista dall’art. 132 d.P.R. n. 3/1957 che lasciava ampia discrezionalità all’amministrazione in ordine alla ricostituzione o meno del rapporto.
Secondo la ricorrente, la riammissione in servizio sarebbe atto di natura eminentemente discrezionale, sicché non poteva il giudice d’appello ritenere sussistente il diritto dell’ex-dipendente alla ricostituzione del rapporto, tutt’al più avrebbe potuto ‘configurarsi, nel caso di mancata tempestiva risposta all’istanza, un profilo di responsabilità per l’amministrazione per violazione degli obblighi di valutazione dell’interesse pubblico alla copertura del posto nonché all’esame tempestivo e secondo correttezza e buona fede della domanda nonché profili di risarcimento del danno da inadempimento per violazione di obblighi strumentali’ (qui, tuttavia, non richiesti dal Molinaro).
Il motivo, con cui si sostiene l’erronea applicazione dei principi in tema di soccombenza virtuale e si contesta di riflesso la regolamentazione delle spese operata dai giudici di secondo grado, è fondato.
Occorre muovere da una ricognizione della disciplina contrattuale applicabile.
L’art. 32 CCNL Agenzie Fiscali 2002-2005 dispone che:
‘ 1. Il dipendente il cui rapporto di lavoro si sia interrotto per effetto di dimissioni o per risoluzione per motivi di salute può richiedere, entro 5 anni dalla data delle dimissioni stesse, la ricostituzione del rapporto di lavoro. L’Agenzia si pronuncia motivatamente, entro 60 giorni dalla richiesta; in caso di accoglimento il dipendente è ricollocato nell’area, nella posizione economica (o fascia retributiva corrispondente) e nel profilo rivestiti all’atto delle dimissioni corrispondenti secondo il sistema di classificazione applicato all’Agenzia medesima al momento del rientro. 2. La stessa facoltà di cui al comma 1 è data al dipendente, senza limiti temporali, nei casi previsti dalle disposizioni di legge relative all’accesso al lavoro presso le pubbliche amministrazioni in correlazione con la perdita o il riacquisto della cittadinanza italiana o di uno dei paesi dell’Unione Europea. 3. Nei casi previsti dai precedenti commi, la ricostituzione del rapporto di lavoro avviene nel rispetto delle procedure di cui all’art. 39 della legge 449/97 e successive modificazioni e integrazioni ed è subordinata alla disponibilità del corrispondente posto nella dotazione organica dell’Agenzia ed al mantenimento del possesso dei requisiti generali per l’assunzione da parte del richiedente nonché del positivo accertamento dell’idoneità fisica qualora la cessazione del rapporto fosse dovuta a motivi di salute. 4. Qualora per effetto di dimissioni,
il dipendente goda di trattamento pensionistico si applicano le vigenti disposizioni in materia di cumulo ‘.
4. La formulazione della disposizione, laddove prevede, a fronte della richiesta dell’ex dipendente (‘può richiedere’), l’avvio di un iter da parte dell’amministrazione che si può concludere anche negativamente (‘in caso di accoglimento il dipendente è ricollocato’) per indisponibilità del posto nella dotazione organica, per perdita dei requisiti generali per l’assunzione da parte del richiedente ovvero in caso di sua inidoneità fisica (beninteso) qualora la cessazione del rapporto sia dipesa da motivi di salute, lascia chiaramente intendere come la riammissione in servizio supponga l’accettazione della richiesta da parte dell’amministrazione.
Resta in capo a quest’ultima, infatti, la decisione discrezionale volta alla verifica del soddisfacimento dell’interesse pubblico attraverso la copertura del posto vacante senza concorso, sicché è esclusa la configurabilità di un diritto soggettivo all’accettazione di quella che, a seguito della privatizzazione del rapporto di lavoro, è da qualificare in termini di proposta contrattuale (fra le tante: Cass. 14 agosto 2008, n. 21660; Cass. 5 novembre 2008, n. 26556; Cass. 15 marzo 2011, n. 6037; Cass. 11 giugno 2018, n. 15099).
D’altronde, l’istituto della riammissione in servizio non dà luogo alla reviviscenza del precedente rapporto di lavoro, ma alla costituzione di un rapporto nuovo, senza che rilevi in contrario l’eventuale previsione da parte di disposizioni di legge o di contratto collettivo della riammissione nello stesso ruolo precedentemente ricoperto o dell’attribuzione dell’anzianità pregressa (vedi, per tutte: Cass. 5 novembre 2008, n. 26556 cit.).
In tali sensi va intesa anche Cass. n. 14716/2016 che, pur individuando in capo all’ex dipendente una posizione di vero e proprio
diritto soggettivo, precisa comunque che la riammissione può essere impedita da motivi di superiore interesse pubblico.
Pronunce più recenti, cui si intende dare continuità, hanno chiarito, in relazione a disposizioni contrattuali non dissimili rispetto a quella che viene qui in esame (cfr. Cass. n. 15099/2018 che è intervenuta sull’art. 4 del CCNL del Comparto per gli Enti pubblici non economici e Cass. n. 31647/2022 che ha affrontato il tema in relazione all’art. 26 c.c.n.l. del 14.9.2010 Enti locali), che la PA deve esercitare la propria discrezionalità nella valutazione della sussistenza o meno dell’interesse pubblico alla riammissione in servizio rispettando i criteri generali di correttezza e buona fede (art. 1175 e 1375 c.c.) che, nel pubblico impiego contrattualizzato, sono applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento di cui all’art. 97 Cost. (Cass. 1° dicembre 2017, n. 28879).
In tali arresti si è altresì opportunamente precisato che chi richiede la riammissione, se non ha un diritto ad ottenere la stipulazione del relativo contratto, può domandare, tuttavia, il risarcimento del danno da inadempimento degli obblighi c.d. strumentali, relativi sia all’esame della domanda con tempestività e nel rispetto dei suddetti criteri generali sia all’adozione della decisione sulla riammissione (ancorché negativa) con una congrua motivazione (vedi, per tutte: Cass. 11 giugno 2018, n. 15099 cit.); questo perché la valutazione (discrezionale e non vincolata) spetta alla p.a., che l’assumerà – entro il termine, da ritenersi ordinatorio, come previsto dalla disciplina contrattuale -verificandone i presupposti con le capacità e i poteri del privato datore di lavoro (art. 5 co. 2 d. lgs. n. 165/2001).
Tale orientamento è, peraltro, in linea coi principi affermati da questa Corte in tema di diritto all’assunzione per scorrimento della graduatoria di concorso.
Non a caso Cass. n. 21408/2006 ha operato un tale accostamento delle due diverse fattispecie mettendo in chiaro che gli istituti giuridici prospettati (scorrimento della graduatoria, appunto, e riammissione in servizio), lungi dal fondare il diritto all’assunzione – e, rispettivamente, alla riassunzione – in favore dei beneficiari (candidati idonei in precedente concorso, appunto, e dipendenti cessati dal servizio per dimissioni o altre cause, parimenti rilevante allo stesso fine), presuppongono la scelta dell’amministrazione di coprire il posto vacante – non dissimile, nella sostanza, dalla scelta presupposta dall’avvio di procedura concorsuale – e conferiscono alla stessa amministrazione il potere discrezionale di non avviare una nuova procedura concorsuale, ma di utilizzare gli esiti di procedura precedente (assumendo candidati che ne siano risultati idonei, ma non vincitori, appunto, o riassumendo dipendenti, assunti mediante concorso, ma cessati dal servizio per una delle cause rilevanti a tale fine).
E ciò perché l’amministrazione, nel decidere sull’istanza di riammissione, deve non solo procedere al rigoroso accertamento dei requisiti oggettivi e soggettivi previsti dalla legge, ma anche esercitare ‘un ampio potere discrezionale nella valutazione dell’esistenza dell’interesse pubblico all’adozione del provvedimento” (così, testualmente, Corte Cost. n. 3 del 26 gennaio 1994).
A fronte di un potere discrezionale così ampio – esercitato, peraltro, in funzione esclusiva dell’interesse pubblico alla copertura del posto rimasto vacante a seguito delle dimissioni – non è, all’evidenza, configurabile il diritto soggettivo del lavoratore dimissionario alla riammissione in servizio, a prescindere dalle ragioni – che inducono
amministrazione a non disporre la riammissione – coerentemente sottratte al sindacato del Giudice (sul punto, vedi Corte Cost. n. 3 del 26 gennaio 1994, Cons. stato, sez. 6^, n. 7609/2005; sez. 5^, n. 1804/2005, 3055/2002; sez. 4^, n. 3515/2000);
Dall’applicazione dei suddetti principi derivano, in conclusione, le seguenti conseguenze con riguardo al presente ricorso: – il posto vacante in dotazione organica non è stato qui mai reso disponibile per il Molinaro, avendo l’amministrazione optato per una selezione pubblica, come desumibile dall’atto di indizione della relativa procedura (del 9.4.2018, e, dunque, di soli pochi mesi dopo l’istanza del Molinaro del 28/9/2017) per la copertura di ben n. 510 unità nello stesso profilo professionale; – il COGNOME in capo al quale era configurabile solo un diritto a che l’amministrazione svolgesse l’iter procedimentale ai sensi dell’art. 32 CCNL, cit., e non alla ricostituzione del rapporto, avrebbe potuto semmai dolersi dell’inadempimento degli obblighi c.d. strumentali, relativi sia all’esame della domanda con tempestività e nel rispetto dei suddetti criteri generali sia all’adozione della decisione sulla riammissione (ancorché negativa) con una congrua motivazione; senonché, come sottolinea l’Agenzia delle Entrate a p. 14, ultimo capoverso, del ricorso per cassazione, nessun profilo di responsabilità è stato fatto valere in tal senso dall’ex-dipendente, il quale si è limitato a richiedere, con l’originario ricorso – salvo poi rinunciare alla relativa pretesa -, di essere reintegrato in servizio.
Tanto basta per l’accoglimento del ricorso; non essendo necessari accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito ex art. 384 c.p.c., sicché, ferma la statuizione adottata dai giudici di secondo grado di cessazione della materia del contendere, le spese dell’intero processo vengono interamente compensate fra
le parti, ciò per la particolarità e complessità della questione che ha dato adito a orientamenti giurisprudenziali non sempre univoci.
P.Q.M.
La Corte: accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, fermo il resto, compensa le spese dell’intero processo.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione