Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20225 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 20225 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 27056-2022 proposto da:
COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’ISTRUZIONE E DEL MERITO (già MIUR), in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 415/2022 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 25/05/2022 R.G.N. 65/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
PUBBLICO IMPIEGO
R.G.N. 27056/2022 Ud. 22/05/2025 CC
Fatti di causa:
Con ricorso innanzi al Tribunale di Pavia, in funzione di giudice del lavoro, NOME COGNOME conveniva in giudizio il MIUR ed esponeva di essere entrata in servizio nel 2006 quale docente di scuola primaria a seguito di concorso, di aver prestato attività quale docente per due anni e di avere di seguito usufruito di aspettative dal 2009 al 2017, di aver rassegnato le proprie dimissioni nel 2017, che il Dirigente scolastico aveva respinto l’istanza di dimissioni e aveva intimato alla lavoratrice di prendere servizio e, non avendo ripreso servizio la ricorrente, era stato attivato provvedimento disciplinare ed era stata comminata la destituzione dal pubblico impiego ai sensi dell’art. 498, comma 1, lettere a) e b) del d.lgs. 297/1994 e dell’art. 55 -quater , comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 165/2001; che la ricorrente aveva presentato istanza di riabilitazione e di riammissione in servizio ai sensi dell’art. 516 del d.lgs. 297/1974 e che il Dirigente dell’Ufficio scolastico regionale aveva negato la riammissione in servizio. La ricorrente concludeva chiedend o pronunciarsi l’illegittimità del provvedimento di diniego della riammissione e della riabilitazione adottato dalla amministrazione resistente e ordinarsi, anche in via cautelare, la riammissione in servizio della COGNOME. Il MIUR si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto della domanda. Il Tribunale di Pavia rigettava la domanda.
NOME COGNOME proponeva appello; il MIUR si costituiva nel secondo grado di giudizio chiedendo il rigetto dell’impugnazione. Con la sentenza n. 415/2022 depositata il 25/05/2022 la Corte di Appello di Milano, sezione lavoro, rigettava l’appello.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME articolando un motivo di impugnazione. Il Ministero ha depositato controricorso.
Il ricorso è stato trattato dal Collegio nella camera di
consiglio del 22 maggio 2025. Ragioni della decisione:
Con l’unico motivo di ricorso la difesa di NOME COGNOME deduce violazione ed errata applicazione dell’art. 501 d.lgs. 297/1974 in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.. Secondo la parte ricorrente la sentenza impugnata avrebbe errato nel c onsiderare inapplicabile l’istituto della riabilitazione per difetto di istanza amministrativa da parte del datore di lavoro perché l’istanza proposta dalla ricorrente riguardava sia la riammissione sia la riabilitazione e comunque erano rispettate le form alità necessarie alla valutazione dell’istanza di riabilitazione. La sentenza impugnata, secondo la parte ricorrente, avrebbe ancora errato nell’escludere l’applicazione dell’istituto della riabilitazione al lavoratore colpito dalla massima sanzione della destituzione mentre dal tenore e dal contesto dell’art. 501 d.lgs. 297/1974 si trarrebbe la conclusione della applicabilità della riabilitazione a ogni tipo di sanzione prevista per il dipendente del MIUR.
1.1. Il motivo di ricorso verte, essenzialmente, sulla possibilità di applicare la riabilitazione prevista dall’art. 501 d.lgs. 297/1994 alla sanzione della destituzione atteso che questa è la questione sulla quale si sono pronunciati i giudici di merito attraverso entrambi i gradi di giudizio e questa è la motivazione decisiva per il rigetto della domanda della ricorrente.
1.2. La sentenza della Corte di Appello ha escluso che la riabilitazione possa essere applicata dopo la destituzione
prevista dall’art. 492 dello stesso d.lgs. 297/1994 atteso che tale istituto presupporrebbe una sanzione conservativa.
Per valutare il motivo di ricorso va premesso che l’art. 492, comma 2, del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia, relative alle scuole di ogni ordine e grado, indica le sanzioni irrogabili al personale direttivo e docente e recita: «nel caso di violazione dei propri doveri, possono essere inflitte le seguenti sanzioni disciplinari: a) la censura; b) la sospensione dall’insegnamento o dall’ufficio fino a un mese; c) la sospensione dall’insegnamento o dall’ufficio da oltre un mese a sei mesi; d) la sospensione dall’insegnamento o dall’ufficio per un periodo di sei mesi e l’utilizzazione, trascorso il tempo di sospensione, per lo svolgimento di compiti diversi da quelli inerenti alla funzione docente o direttiva; e) la destituzione». Le sanzioni previste dalle lettere a), b), c) e d) sono, allora, di carattere conservativo presupponendo la permanenza del rapporto lavorativo, la sanzione della destituzione, prevista dalla lettera e) della stessa disposizione è di carattere definitivo dando luogo alla risoluzione del rapporto e alla destituzione dal pubblico impiego.
2.1. L’art. 501 del testo unico, nel disciplinare la riabilitazione stabilisce: «1. Trascorsi due anni dalla data dell’atto con cui fu inflitta la sanzione disciplinare, il dipendente che, a giudizio del comitato per la valutazione del servizio, abbia mantenuto condotta meritevole, può chiedere che siano resi nulli gli effetti della sanzione, esclusa ogni efficacia retroattiva. 2. Il termine di cui al comma 1 è fissato in cinque anni per il personale che ha riportato la sanzione di cui all’articolo 492, comma 2, lettera d)».
2.2. Ad avviso del Collegio è esatta l’interpretazione delle disposizioni offerta dalla Corte di Appello secondo la quale la
riabilitazione non può essere disposta in caso di sanzione definitiva della destituzione.
2.3. Sebbene l’art. 501 si riferisca in generale alla sanzione disciplinare («Trascorsi due anni dalla data dell’atto con cui fu inflitta la sanzione disciplinare») senza effettuare esplicite esclusioni circa le sanzioni per le quali può essere effettuata l’istanza di riabilitazione, sussistono evidenti ragioni di natura letterale e sistematica per ritenere l’art. 501 applicabile solo alle prime quattro sanzioni, conservative, previste dall’art. 492, comma 2, del testo unico. Si consideri, infatti, che la disposizione attribuisce esplicitamente la legittimazione attiva a chiedere la riabilitazione al «dipendente», segno di un rapporto di lavoro persistente idoneo a mantenere la qualifica di dipendente in capo al soggetto colpito dalla sanzione disciplinare. La disposizione stabilisce, poi, che il dipendente possa «chiedere che siano resi nulli gli effetti della sanzione, esclusa ogni efficacia retroattiva», e cioè gli effetti della riabilitazione, ove abbia tenuto una «condotta meritevole» da sottoporsi «al comitato per la valutazione del servizio»: per questa vi appare chiaro che deve essere valutato il servizio reso dal dipendente e che sulle modalità di espletamento del servizio deve esprimersi il comitato competente. La disposizione è palesemente non applicabile a chi, avendo subito la destituzione, non sia più in servizio perché la sua condotta, evidentemente extra-lavorativa, non potrebbe essere utilmente ed obiettivamente valutata dal comitato.
2.4. La sentenza impugnata sottolinea, del tutto esattamente, anche un altro elemento letterale che milita per l’esclusione della destituzione dalle sanzioni per le quali possa chiedersi la riabilitazione: l’art. 501, comma 2, del testo unico prevede che il termine di necessaria osservazione del servizio e
di valutazione della condotta del dipendente, previsto in due anni per tutte le altre sanzioni, è fissato in cinque anni per il personale che ha riportato la sanzione di cui all’articolo 492, comma 2, lettera d), e cioè per la più grave delle sanzioni conservative e cioè per la sospensione dall’insegnamento o dall’ufficio per un periodo di sei mesi. Volendosi ammettere alla riabilitazione anche il soggetto destituito dal servizio dovrebbe concludersi, con evidente contraddizione, che il periodo di osservazione della condotta da applicarsi sarebbe di due anni ai sensi del comma 1 piuttosto che di cinque anni come previsto dal comma 2 per la sanzione, meno grave della destituzione, della sospensione per il termine di sei mesi.
Il Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, recato dal d.P.R. 10/01/1957, n. 3, offre ulteriori indicazioni che valgono a sostenere l’interpretazione a fondamento della sentenza impugnata e criticata nel ricorso.
3.1. Si consideri che l’art. 87 recita: «trascorsi due anni dalla data dell’atto con cui fu inflitta la sanzione disciplinare e sempre che l’impiegato abbia riportato nei due anni la qualifica di ottimo, possono essere resi nulli gli effetti di essa, esclusa ogni efficacia retroattiva; possono altresì essere modificati i giudizi complessivi riportati dall’impiegato dopo la sanzione ed in conseguenza di questa. Il provvedimento è adottato con decreto ministeriale, sentiti il Consiglio di amministrazione e la Commissione di disciplina».
3.2. Anche in ragione di questa disposizione, riguardante il sistema sanzionatorio previsto per gli impiegati dello Stato, può concludersi che la riabilitazione è un istituto applicabile alle sanzioni di natura conservativa e che si fonda su un periodo di valutazione del servizio idoneo a dimostrare che la condotta
lavorativa del dipendente successiva alla sanzione è esente da ulteriori censure e tale da rendere meritevole il dipendente di emenda dal precedente disciplinare e dalle sue conseguenze. Anche per questa disposizione la riabilitazione è esclusa per la sanzione definitiva che, facendo cessare il rapporto di lavoro, esclude qualsiasi ipotesi di rivalutazione del servizio.
Può, allora, affermarsi il seguente principio di diritto: «nell’ambito del sistema sanzionatorio previsto per il personale della scuola dal testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia, relative alle scuole di ogni ordine e grado d.lgs. 16/04/1994, n. 297, l’istituto della riabilitazione previsto dall’art. 501 è applicabile alle sole sanzioni conservative previste dall’art. 492, comma 2, lettere a), b), c) e d) del medesimo testo unico e non è applicabile ai dipendenti cessati dal servizio in ragione della applicazione della massima sanzione della destituzione prevista dall’art. 492, comma 2, l ettera e)».
La sentenza impugnata ha esattamente interpretato le disposizioni di rilievo e ha applicato il principio di diritto che da dette disposizioni può trarsi e, per questa via, va esente da censure.
Il ricorso deve, allora, essere integralmente respinto.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso, condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 4.000,00 oltre alle spese prenotate a debito;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo
a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione