Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 12925 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 12925 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 667/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che lo rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, in proprio e in qualità di erede di COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che lo rappresenta e difende;
-controricorrente-
Avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 6743/2019 depositata il 06/11/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/02/2024 dalla Consigliera NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il sig. NOME COGNOME proponeva opposizione tardiva avverso il decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Roma in favore del fratello NOME COGNOME.
A fondamento dell’opposizione deduceva di aver avuto conoscenza del decreto solo successivamente alla notifica di un atto di pignoramento presso terzi promosso nei confronti di NOME COGNOME a iniziativa dell’AVV_NOTAIO in forza di altro decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Grosseto in virtù di un patto di quota lite intercorso con l’AVV_NOTAIO, poi ceduto all’AVV_NOTAIO.
Sosteneva ulteriormente l’avvenuta definizione di tutte le vicende giudiziarie pendenti tra le parti e che aveva revocato il mandato conferito agli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Quest’ultimo si costituiva sostenendo la propria legittimazione ad intervenire in qualità di creditore di NOME COGNOME in riferimento alle spese della fase monitoria, lamentando la mancata notificazione dell’atto di opposizione al decreto ingiuntivo e contestando l’ammissibilità dell’opposizione tardiva.
Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 14883/2011, dichiarava inammissibile l’intervento dell’AVV_NOTAIO e accoglieva l’opposizione revocando il decreto ingiuntivo.
La Corte d’appello di Roma, con la sentenza n. 3975 del 12 Giugno 2014 , confermava la sentenza impugnata, in particolare, in relazione alla carenza di legitimatio ad causam dell’AVV_NOTAIO.
2.1. Avverso tale sentenza COGNOME proponeva impugnazione per revocazione ex. art. 395 n. 1 e 3 c.p.c. allegando la mala fede e/o colpa grave dei convenuti per aver celato alla Corte d’Appello
documenti e/o circostanze che avrebbero comportato una diversa decisione.
Sostiene che i fratelli COGNOME avevano indotto in errore il Giudice di primo grado dichiarando di aver definito bonariamente la lite nonostante alcun accordo fosse stato raggiunto come evincibile dall’ordinanza ex. art. 702 bis c.p.c. emessa dal Tribunale di Roma il 28 Gennaio 2011 e di cui l’AVV_NOTAIO avrebbe avuto conoscenza solo in data 3 febbraio 2015 e, quindi, successivamente al giudizio di primo grado.
La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 6743/2019 del 06 Novembre 2019, dichiarava inammissibile la domanda di revocazione ritenendo che il dolo processuale ed il ritrovamento dei documenti decisivi riguardassero la sentenza n. 14883/2011 e non le argomentazioni poste a fondamento della sentenza revocanda che si riferivano, invece, alle questioni in rito inerenti alla carenza di legittimazione del COGNOME ed alla correttezza circa la liquidazione delle spese di lite.
Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione il COGNOME, sulla base di quattro motivi, illustrati da memoria.
Resiste con controricorso il NOME COGNOME, che ha depositato anche memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
5.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 395 n. 1 c.p.c. in riferimento all’art. 360 n. 3 c.p.c. -motivazione perplessa o incomprensibile.
Si duole che nel dichiarare l’inammissibilità della revocazione la corte di merito abbia richiamato un orientamento della presente Corte riguardante un’ipotesi totalmente diversa dal caso in esame , in base al quale possono giovarsi della revocazione solo le parti nei cui confronti è stata pronunciata sentenza, con esclusione pertanto del l’estensione del contraddittorio a nuove parti.
Nel caso in specie non vi sarebbe stata però alcuna estensione del contraddittorio essendo le parti in causa sempre state NOME e NOME COGNOME e l’AVV_NOTAIO.
Il giudice di merito, quindi, avrebbe erroneamente interpretato i fatti di causa ed il diritto applicato ipotizzando una inesistente estensione del contraddittorio ed una ipotesi di actio nullitatis non risultante dagli atti processuali, con conseguente vizio di motivazione perplessa o incomprensibile.
5.2. Con il secondo motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 395 n. 3 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. -motivazione perplessa o incomprensibile.
La c orte d’ appello, nel richiamare gli orientamenti giurisprudenziali seguiti per supportare la dichiarazione di inammissibilità, avrebbe fatto riferimento a casistiche non corrispondenti a quella oggetto del presente giudizio e non avrebbe permesso di comprendere l’iter logico-giuridico seguito. In particolare, avrebbe erroneamente richiamato il principio per cui sarebbe inammissibile un motivo di ricorso con il quale, per la prima volta, si denunci nullità afferenti a fasi processuali precedenti e, poi, una fattispecie in cui, diversamente dal caso concreto, era stata introdotta con note difensive successive un actio nullitatis mai evidenziata nella originaria domanda di revocazione e quindi inammissibile in base al principio del divieto di modifica del thema decidendum .
Erronea sarebbe anche la statuizione per cui la sentenza revocanda avrebbe inteso richiamare ‘in via puramente incidentale’ l’accordo intervenuto tra i fratelli COGNOME, essendo invece l’elemento chiave sulla cui base venne confermata la sentenza impugnata.
5.3. Con il terzo motivo denuncia i l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c. e violazione dell’art. 115 c.p.c.
La Corte d’Appello avrebbe errato nel non considerare il fatto decisivo inerente al rinvenimento dell’occultato procedimento civile
ex. art. 702 bis c.p.c. con cui si accertò la mancata riconciliazione familiare. Il Giudice avrebbe infatti dovuto considerare tale elemento acquisito ex. art. 115 c.p.c. in quanto allegato dal presente ricorrente e mai contestato dalle controparti.
5.4. Con il quarto motivo denuncia l’omesso esame di fatto decisivo prospettato e discusso tra le parti in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.
Il Giudice avrebbe erroneamente omesso di considerare i fatti allegati inerenti al procedimento penale instaurato dal ricorrente contro i fratelli COGNOME. Di tali elementi, che costituirebbero secondo il ricorrente fatti decisivi e prova per presunzioni circa il comportamento elusivo ed in mala fede dei convenuti, non si rinverrebbe alcun riferimento nella sentenza impugnata integrandosi così il vizio di omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti.
I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono inammissibili.
Innanzitutto, sono stati formulati in modo non conforme alle prescrizioni dettate dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6 c.p.c., stante l’inosservanza dei principi di specificità, anche declinato secondo le indicazioni della sentenza CEDU 28 ottobre 2021, Succi e altri c/ Italia, la quale ha ribadito, in sintesi, che il fine legittimo, in linea generale ed astratta, del principio di autosufficienza del ricorso è la semplificazione dell’attività del giudice di legittimità unitamente alla garanzia della certezza del diritto e alla corretta amministrazione della giustizia, (ai p.ti 74 e 75 in motivazione), investendo questa Corte del compito di non farne una interpretazione troppo formale che limiti il diritto di accesso ad un organo giudiziario (al p.to 81 in motivazione), esso (il principio di autosufficienza) può dirsi soddisfatto solo se la parte riproduce il contenuto del documento o degli atti processuali su cui si fonda il ricorso e se sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti
del giudizio di merito (così Cass., Sez. Un., 18/03/2022, n. 8950): requisito che può essere concretamente soddisfatto ‘anche’ fornendo nel ricorso, in ottemperanza dell’art. 369, comma 2°, n. 4 cod. proc. civ., i riferimenti idonei ad identificare la fase del processo di merito in cui siano stati prodotti o formati rispettivamente, i documenti e gli atti processuali su cui il ricorso si fonda’ (Cass. 19/04/2022, n. 12481);
Qualunque sia il tipo di errore denunciato (in procedendo o in iudicando), il ricorrente ha l’onere di indicare specificatamente, a pena di inammissibilità, i motivi di impugnazione, esplicandone il contenuto e individuando, in modo puntuale, gli atti processuali e i documenti sui quali il ricorso si fonda, oltre ai fatti che potevano condurre, se adeguatamente considerati, ad una diversa decisione. E ciò perché il ricorso deve ‘contenere, in sé, tutti gli elementi che diano al giudice di legittimità la possibilità di provvedere al diretto controllo della decisività dei punti controversi e della correttezza e sufficienza della motivazione della decisione impugnata’ (v. Cass. civ., Sez. III, Ord., 8/08/2023, n. 24179; Cass. civ., Sez. III, Ord., 13/07/2023, n. 20139; Cass. civ., Sez. V, Ord., 10/07/2023, n. 19524; Cass. civ., Sez. V, Ord., 22/06/2023, n. 17983; Cass. civ., Sez. I, Ord., 25/05/2023, n. 14595; Cass. civ., Sez. III, Ord., 14/02/2023, n. 4571; Cass. civ., Sez. V, 20/07/2022, n. 22680; Cass. civ., Sez. 1, 19/04/2022, n. 12481; Cass. civ., Sez. V, Ord., 13/01/2021, n. 342; Cass. civ., Sez. 1, 10/12/2020, n. 28184; Cass. civ., SS. UU., 27/12/2019, n. 34469).
Lo sono anche perché le censure mosse non colgono la ratio decidendi posta dalla Corte d’Appello alla base della statuizione di inammissibilità della revocazione.
Come correttamente affermato dal Giudice di merito, la revocazione è un gravame eccezionale a critica vincolata esperibile per i soli motivi ex. art. 395 c.p.c. e nei soli confronti delle sentenze pronunciate in appello o in unico grado.
Nel caso in specie però, nonostante l’odierno ricorrente impugni formalmente la sentenza d’appello, le censure sollevate non vertono sulle argomentazioni poste a fondamento di tale provvedimento. Difatti, la sentenza revocanda ha statuito unicamente sulle questioni di rito inerenti alla carenza di legittimazione attiva del COGNOME ed alla correttezza della liquidazione delle spese a carico di quest’ultimo. Il dolo processuale ed il ritrovamento di documenti decisivi sulla cui base il Giudice avrebbe potuto negare la revoca del decreto ingiuntivo riguardano, al contrario, statuizioni inerenti alla sentenza di primo grado e per questo inammissibili.
Tali conclusioni sono evidenziate dallo stesso dispositivo della sentenza revocanda in cui il Giudice d’Appello esplicita come l’esame del terzo e quarto motivo, inerenti proprio a questi aspetti del merito, fosse precluso a causa del preventivo accertamento del difetto di legittimazione attiva in capo al AVV_NOTAIO.
Anche nel caso in cui non fosse stato revocato il decreto ingiuntivo, quindi, la questione non sarebbe stata comunque decisiva ai fini della pronuncia circa l’intervento e le domande dell’odierno ricorrente che sarebbero state ugualmente respinte per carenza di legittimazione attiva, derivando anche da ciò l’inammissibilità della domanda.
E comunque le censure sollevate mirano esclusivamente ad accreditare una ricostruzione della vicenda e, soprattutto, un apprezzamento delle prove raccolte del tutto divergente da quello compiuto dai giudici di merito. E’ noto, infatti, che nel giudizio di legittimità non sono proponibili censure dirette a provocare una nuova valutazione delle risultanze processuali, diversa da quella espressa dal giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze che ritenga più attendibili ed idonee nella formazione dello stesso, essendo sufficiente, al fine della congruità della motivazione del relativo
apprezzamento, che da questa risulti che il convincimento nell’accertamento dei fatti su cui giudicare si sia realizzato attraverso una valutazione dei vari elementi probatori acquisiti. Non essendo questa Corte giudice sul fatto, il ricorrente non può pertanto limitarsi a prospettare una lettura delle prove ed una ricostruzione dei fatti diversa da quella compiuta dal giudice di merito, svalutando taluni elementi o valorizzando altri ovvero dando ad essi un diverso significato, senza dedurre specifiche violazioni di legge ovvero incongruenze di motivazione tali da rivelare una difformità evidente della valutazione compiuta dal giudice rispetto al corrispondente modello normativo.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo in favore del controricorrente, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 3.200,00, di cui euro 3.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore del controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza